05 Luglio 2013
Domenico Cambareri
E’ tempo di tornare alla politica. Con chi e per cosa?
Moffa e Malgieri: Azione Popolare
La loro iniziativa, le aspirazioni di tanti e i dubbi di molti. E le nostre domande.
Da alcuni mesi in qua, Silvano Moffa e Gennaro Malgieri, con alcuni altri sodali, hanno dato il via a una campagna nazionale atta a diffondere la presenza di Azione Popolare. Questa presenza è ovvio che mira ad essere tale attraverso la raccolta di consensi e di iscrizioni.
In particolare, a partire dalla presentazione dell’associazione avvenuta al teatro Adriano di Roma lo scorso maggio, e quindi all’ulteriore incontro di Ferrara del 31 maggio – 1° e 2 giugno a Ferrara (consultare la home page del sito di Azione Popolare).
Moffa e Malgieri si sono fatti carico di un oneroso e difficilissimo impegno. Non sappiamo se i tempi sono adatti e se soprattutto sono maturi. Infatti, è da chiedere sia quali siano gli intenti reali non esplicitati, sia, soprattutto, quale è la platea a cui si rivolgono.
Diversi amici delle più disparate parti d’Italia, che ho interloquito, mi hanno risposto con rabbioso scherno quasi all’unisono qualcosa come << Che, vogliono fare il partito dei trombati ? >>.
La disaffezione, la disistima, il senso di tradimento, di tradimento così lungamente, vilmente perpetrato da un establishment d’accatto che metaforicamente andrebbe liquidato con dei semplici colpi alla nuca (purché qui non si intenda che si voglia promuovere un’istigazione all’assassinio: è già forte e bastevole la coltre di silenzio che è scesa immantinente e circonda e circonderà questi sgherri della partitocrazia, questi omuncoli ancora appesi al predellino del tram del danaro e/o del potere a loro dispensato dalla dittatura dei partiti ) ha ingenerato livore e rancore oltre ogni limite in tante persone. Ma anche crisi esistenziali, abulia, disaffezione per ciò che riporta alla politica, reiezione di quanto utilizza i termini quali “ideali”, valori, etica, coerenza civile, impegno politico, dare credito percepiti come i cavalli di Troia del disvalore e dell’ipocrisia più abietti..
Il sentiero intrapreso da Silvano e da Gennaro è difficile e irto di pericoli, non ultimo il fatto che esso si presenta già, agli occhi dei tanti famelici sgherri della partitocrazia (pesudofascisti sfascisti, neofascisti di comodo, uomini di apparato e di tappezzeria che agognano solo l’enfasi del proprio io e sono pronti a interpretare qualsiasi ulteriore copione, come narcisistiche facce di bronzo giammai scosse da nessun disprezzo), come un’eccezionale possibilità atta a farli risalire sulle diligenze del”partito” e del palazzo.
Il passato? Tutto cancellato? Non fa una piega? Altro che. Guardiamo al futuro e pensiamo a come andare a sgrassare sull’altrui groppa, giammai.
La poliedrica e variegatissima realtà di tutto quel modo del neofascismo e del post fascismo (!) rimasta spesso nell’impasto dell’equivoco sia sul piano storico che della contemporaneità degli ultimi tre decenni su tantissime cose, ad esempio su cosa debba essere una “destra sociale” ossia, per capirci senza equivoci nell’adoperare ad hoc lo schema della diposizione dei gruppi nelle aule parlamentari, una destra sociale definitivamente collocata tra quella che fu la rappresentanza socialdemocratica e quella che fu quella repubblicana; questa variegatissima realtà oggi non ha bisogno di una chiamata alla raccolta per riproporre solo dei vieti luoghi comuni. Consentire cioè a qualcuno d tornare ad occupare qualche scranno in parlamento, ad altri la possibilità di intessere traffici e commerci paludati da esigenze di partito ed altro ancora.
Oltre a tutta la sequela di problemi aperti, e non ultimo il definitivo affrancamento da scandalose posizioni codine e clericali che hanno irretito lo svolgimento autonomo della storia del partito fascista dapprima e poi di tutta la vita del MSI; oltre a tutto ciò, il nodo centrale rimane quello della qualità degli uomini. Quello della loro onestà e della loro coerenza civile e “antipartitocratica”, prima di ogni latra considerazione.
E’ lo stesso problema che tragicamente affligge con estremo assillo la vita della Nazione tutta, al di là dalle divisioni e dagli schieramenti politici, rivelatisi fittizio schermo di un connubio partitocratico criminale che ha consentito di preservare le greppie delle caste al di fuori e dal di sopra delle costituzione e degli interessi del popolo italiano. Connubio partitocratico criminale in cui Fini e i suoi bellamente si cacciarono subito con immenso gaudio.
Il tentativo di Silvano e di Gennaro va tuttavia doverosamente e sinceramente rispettato e valutato. E aiutato. Esso, nel contesto dell’ammorbante deserto di uomini, ha diritto ad avere concesso almeno un minimo di credito morale, se non di credito politico. Anche se tardivamente Silvano e Gennaro presero le distanze dalle ultime e folli posizioni di Fini; è anche altrettanto vero che seppero compere e consumare questa divisione, e che seppero fornire un’ancora indispensabile in un momento critico per il Paese al governo in carica e sappiamo che come dono per questa azione altruistica e sul filo del rasoio, alla fine sono stati beffardamente ripagati dal teatrante Silvio, il quale preferisce svolgere l’esclusivo ruolo di smargiasso pupazzaro. E nient’altro.
Un vero contraffattore della politica intesa in senso proprio, un vero simpatico sbruffone regista – primo attore del placoscenico dei politicanti. Ciò non significa tuttavia che lui abbia avuto, sic et simpliciter, in ogni caso e sempre torto. Ed è per questo che, senza spirito di rivalsa a causa dei suoi ulteriori e proditori voltafaccia, lo abbiamo difeso davanti alle incongrue strumentalizzazioni della sinistra che vuole abbatterlo, come avversario politicante, servendosi dei doviziosi servigi resi da dei magistrati che ci paiono non essere proprio del tutto ligi all’indipendenza richiesta alla magistratura giudicante quale irrinunciabile presupposto all’esercizio delle loro funzioni. Non di meno, per il ruolo a cui è chiamatala pubblica accusa.
Delle domande di fondo che desideriamo rivolgere in modo franco e doveroso a Silvano e Gennaro, probabilmente anche a nome di tante altre persone, sono le seguenti: quali filtri e entro quali tempi e modalità intenderanno porre all’associazione per non farla diventare un guazzabuglio ben servito per redivivi sciacalli? Con quali obiettivi e entro quale precisa cornice di riferimento intenderebbero trasformare l’associazione in movimento politico? Si inginocchieranno davanti al tabù “Israele non si tocca” e alla truce carnevalata della Repubblica con confessione religiosa di Stato? Per realizzare le finalità, sin da adesso, sarà proprio necessario appoggiarsi a tutti i sopravvissuti del vecchio apparato? Questo non comporterebbe un’elefantiasi di presenze (di individui grigi e squalificati, a dir poco) e di rincorse ma altrettanto un abbandono generalizzato da parte dei soggetti della pubblica opinione che si è nel corso degli anni orientata verso la forza politica finita per finfincasotto allo sfacelo? Chi proporrà le facce nuove: l’agglomerato di questi tristi individui?
Hanno infine avuto opportunità e curiosità di riflettere sul Documento politico de L’Europa della Libertà?
Invitiamo gli amici a dare loro una mano e a farsene direttamente partecipi, giacché siamo convinti che questa iniziativa avrà bisogno del concorso di molte risorse umane, ideative e organizzative. Ma soprattutto morali. Al fine di sventare i pericoli reali che qui abbiamo in parte velocemente rappresentato.
Secolo d’Italia on line
Notizie
Giovedì 13 Giugno 2013
Con la sconfitta di Alemanno a Roma si chiude un ciclo
Redazione
Con la sconfitta di Alemanno a Roma si chiude un ciclo. Quello della Destra al governo. Sono passati venti anni esatti da quando, con la prima elezione diretta dei sindaci, caldeggiata da Giorgio Almirante, proprio a Roma, Gianfranco Fini contrastò con un risultato all’epoca sorprendente Francesco Rutelli in un ballottaggio che lo vide soccombere ma non sconfitto politicamente. Prima dell’exploit di Roma, in alcuni Comuni uomini del Msi si erano affermati rompendo in alcuni casi l’egemonia della sinistra, proponendo una destra di governo che di lì a non molto seppe diffondersi in varie province, imponendosi spesso per stile, onestà e spirito innovativo nella amministrazione locale. Esperienze, per la verità, non sempre apprezzate dalle oligarchie del partito e di cui non si seppe valorizzare la forza penetrante nella comunità per renderne solida e duratura la presenza nella società.
Si spegne quindi l’ultima luce di una stagione punteggiata da una escalation che portò la destra nelle stanze del governo nazionale, fino ai più alti livelli istituzionali. Scende il sipario. Nella netta sconfitta del centrodestra nelle amministrative di oggi non c’è nulla che aiuti a lenire le ferite. La ferrea regola della politica abbandona i protagonisti al loro destino, dopo anni di errori, di grossolane ambizioni coltivate senza la necessaria caratura, di ottuse chiusure verso il meglio che pur fioriva su quel versante, a tutto vantaggio del peggio, sia in termini di uomini che di linea politica. Rotture identitarie, pragmatismo declinato all’infinito come antidoto alla pochezza delle idee e all’inaridirsi degli ideali. Uno stile sempre meno nobile e signorile fatto entrare prepotentemente nella casa delle istituzioni. La presunzione eretta a sistema mentre gli italiani invocavano competenza ed umiltà. Il tutto condito con spregiudicato cinismo, con una ottusità tale da rendere superflua e dannosa ogni presenza in posti di rilievo che pur contano se davvero ci fosse stata piena e responsabile consapevolezza del ruolo e della funzione che veniva assegnata. Così la Destra si è persa rendendosi indistinta nei tratti che la nobilitavano e dannatamente visibile nella connotazione che ne infangava la reputazione. La sconfitta porta in sé questi connotati. Inutile negarlo. A Roma, Alemanno paga lo scotto di una stagione amministrativa punteggiata dalle malversazioni di un personale approssimativo chiamato a rivestire ruoli non confacenti e dalla mancanza di una Idea forte per una Capitale internazionale. Allo stesso modo come nella Regione Lazio, qualche mese fa, si è pagato il caso Fiorito con tutti gli ammennicoli di indecenza che quelle vicende hanno rappresentato. Nascondere la polvere sotto il tappeto è stato inutile oltre che spocchioso esercizio di sovrana presunzione.
Ora che la Destra di governo tramonta a Roma, dopo essere stata espulsa dal Pdl, non resta che sperare in un nuovo inizio per riempire la voragine che si è aperta. Senza inutili nostalgie, sterili ritorni al passato, vuote elucubrazioni di colonnelli senza stellette e senza eserciti. Ci vuole umiltà per ridare dignità alla Destra. Ma ci vuole, soprattutto, la forza delle idee da mettere in campo. Una proposta concreta e credibile che poggi su una salda cultura di fondo. Ci sono temi, come quello della Sovranità , in un mondo scompaginato dalla finanza globale distruttrice dei valori portanti delle Nazioni, che richiamano la Destra ad un ruolo centrale. Per non parlare delle dinamiche demografiche, del rapporto nord-sud, della domanda di senso che pone un paese frantumato e disperso nella giungla degli egoismi e dei particolarismi. Ci sono nuove frontiere da attraversare. Senza paura e senza il complesso della sconfitta. In fondo, a pensarci bene, quei voti che oggi sono mancati alla destra ( e al centrodestra nel suo complesso) in gran parte non sono andati a nessun altro. Sono rifluiti nell’astensionismo. Problema enorme, certamente. Ne abbiamo trattato appena ieri in maniera diffusa. Ma problema non insormontabile. Quella platea di cittadini attende da noi una proposta credibile abbinata a comportamenti e stili onesti, puliti, disinteressati, in linea con una forte domanda di moralità pubblica . È troppo chiedere a noi stessi uno sforzo per essere all’altezza di quella richiesta? Passa di qui la costruzione di una destra possibile, onesta e necessaria
Si spegne quindi l’ultima luce di una stagione punteggiata da una escalation che portò la destra nelle stanze del governo nazionale, fino ai più alti livelli istituzionali. Scende il sipario. Nella netta sconfitta del centrodestra nelle amministrative di oggi non c’è nulla che aiuti a lenire le ferite. La ferrea regola della politica abbandona i protagonisti al loro destino, dopo anni di errori, di grossolane ambizioni coltivate senza la necessaria caratura, di ottuse chiusure verso il meglio che pur fioriva su quel versante, a tutto vantaggio del peggio, sia in termini di uomini che di linea politica. Rotture identitarie, pragmatismo declinato all’infinito come antidoto alla pochezza delle idee e all’inaridirsi degli ideali. Uno stile sempre meno nobile e signorile fatto entrare prepotentemente nella casa delle istituzioni. La presunzione eretta a sistema mentre gli italiani invocavano competenza ed umiltà. Il tutto condito con spregiudicato cinismo, con una ottusità tale da rendere superflua e dannosa ogni presenza in posti di rilievo che pur contano se davvero ci fosse stata piena e responsabile consapevolezza del ruolo e della funzione che veniva assegnata. Così la Destra si è persa rendendosi indistinta nei tratti che la nobilitavano e dannatamente visibile nella connotazione che ne infangava la reputazione. La sconfitta porta in sé questi connotati. Inutile negarlo. A Roma, Alemanno paga lo scotto di una stagione amministrativa punteggiata dalle malversazioni di un personale approssimativo chiamato a rivestire ruoli non confacenti e dalla mancanza di una Idea forte per una Capitale internazionale. Allo stesso modo come nella Regione Lazio, qualche mese fa, si è pagato il caso Fiorito con tutti gli ammennicoli di indecenza che quelle vicende hanno rappresentato. Nascondere la polvere sotto il tappeto è stato inutile oltre che spocchioso esercizio di sovrana presunzione.
Ora che la Destra di governo tramonta a Roma, dopo essere stata espulsa dal Pdl, non resta che sperare in un nuovo inizio per riempire la voragine che si è aperta. Senza inutili nostalgie, sterili ritorni al passato, vuote elucubrazioni di colonnelli senza stellette e senza eserciti. Ci vuole umiltà per ridare dignità alla Destra. Ma ci vuole, soprattutto, la forza delle idee da mettere in campo. Una proposta concreta e credibile che poggi su una salda cultura di fondo. Ci sono temi, come quello della Sovranità , in un mondo scompaginato dalla finanza globale distruttrice dei valori portanti delle Nazioni, che richiamano la Destra ad un ruolo centrale. Per non parlare delle dinamiche demografiche, del rapporto nord-sud, della domanda di senso che pone un paese frantumato e disperso nella giungla degli egoismi e dei particolarismi. Ci sono nuove frontiere da attraversare. Senza paura e senza il complesso della sconfitta. In fondo, a pensarci bene, quei voti che oggi sono mancati alla destra ( e al centrodestra nel suo complesso) in gran parte non sono andati a nessun altro. Sono rifluiti nell’astensionismo. Problema enorme, certamente. Ne abbiamo trattato appena ieri in maniera diffusa. Ma problema non insormontabile. Quella platea di cittadini attende da noi una proposta credibile abbinata a comportamenti e stili onesti, puliti, disinteressati, in linea con una forte domanda di moralità pubblica . È troppo chiedere a noi stessi uno sforzo per essere all’altezza di quella richiesta? Passa di qui la costruzione di una destra possibile, onesta e necessaria