Un paese che pretende di controllare al meglio i destini del mondo e invece rinfocola e accresce atti di arbitrio e violenze
L’America è comunemente conosciuta come la patria della libertà, come la nazione che più di ogni altra ha contribuito all’affermazione della democrazia nel mondo. Il suo modello di società è considerato dai suoi estimatori come l’unico in grado di assicurare a tutti pace e benessere e di stabilire un nuovo ordine mondiale basato sugli ideali di concordia e fratellanza. Ma è proprio così? Siamo proprio sicuri che questa immagine sia reale e non un quadro dipinto ad arte? Partiamo dalle origini. Nel nuovo mondo venivano spediti direttamente dalle carceri europee i delinquenti di ogni risma, gli ergastolani, gli emarginati e gli avventurieri
pronti a tutto. Puritani fanatici e vogliosi di rinverdire i fasti della Santa Inquisizione anche all’interno delle loro sétte, cattolici perseguitati dai protestanti, ebrei vittime dei pogrom, affamati, asociali e spostati di ogni sorta. Da tutto ciò nasce la “civiltà” americana. Ha mosso i primi passi massacrando i pellerossa per sottrarre loro la terra, lasciandoli morire di fame, di inedia e di alcolismo dopo averli ristretti in riserve sempre più piccole e prive di pascoli, la loro unica fonte di nutrimento.
E’ diventata potente anche con il lavoro degli schiavi africani strappati con la forza alla loro terra e trattati alla stregua di animali buoi e di muli su cui esercitare diritto di vita e di morte. Si sono dovuti attendere gli anni ’60 per porre fine alla vergognosa segregazione razziale in vigore in molti Stati USA.
Durante il secondo conflitto mondiale l’America ha massacrato milioni di civili inermi nei bombardamenti a tappeto delle città tedesche. Ad Amburgo come a Dresda perirono, bruciati vivi dagli ordigni incendiari o mitragliati dal volo radente dei caccia, oltre duecentomila civili, per poi completare l’opera con le bombe atomiche gettate su due delle più popolose città del Giappone.
I prigionieri tedeschi della Wehrmacht, anche ragazzi di 15 e 16 anni, rinchiusi nei campi diconcentramento americani e inglesi venivano volutamente lasciati morire di fame, di malattie e di stenti. Costretti a scavarsi con le mani delle buche dove ripararsi dal freddo o dal sole cocente, sotto lo sguardo indifferente degli aguzzini alleati pronti ad uccidere al primo segno di insofferenza.
A guerra finita i “liberatori” si girarono dall’altra parte quando i partigiani massacravano i fascisti o presunti tali, familiari compresi. Quando riempivano le fosse comuni con i corpi straziati dei giovani soldati e delle ausiliarie, spesso violentate prima di essere barbaramente uccise, arresisi dopo il 25 aprile. Penalizzarono oltre ogni limite l’Italia per arrecare vantaggi da Tito dal quale speravano chissà quali assurdi e occulti, improoponibili mercanteggiamenti
Nel dopoguerra, dopo averci distrutto le città con i bombardamenti terroristici del ’44, l’America, con il piano Marshall, ha investito in Italia grandi capitali per farci diventare una sua docile e redditizia colonia. Al riguardo si parla tanto degli aiuti americani, ma si dimenticano gli enormi contributi, veramente disinteressati, provenienti dall’Argentina. Ogni giorno navi stracolme di ogni cosa hanno fatto la spola tra il Paese di Evita Peron e l’Italia, ma di questo nessuno ne parla. Per di più, dall’Argentina e dal Su America rientrarono molti antifascisti (mentre si attuava un fenomeno inverso, di migrazione di fascisti), come dagli USA, ma dal Su America non arrivò nessuna organizzazione mafiosa, a differenza del Pese a stelle e strisce.
In Vietnam per stanare i Vietcong gli americani non esitarono a bruciare con le bombe al napalm interi villaggi , attuando inauditi crimini contro l’inerme popolazione civile. Tali operazioni venivano cinicamente chiamate “disinfestazioni”.
Negli anni settanta e ottanta l’America ha sostenuto le più sanguinose dittature militari sia in sud America, dove la CIA ha organizzato e finanziato i più cruenti colpi di stato, sia in Grecia e in Turchia con i regimi dei colonnelli. Salvo poi disconoscerli dopo che ebbero fatto il lavoro sporco o essere diventati poco utili ai suoi disegni geopolitici.
L’Iraq, per giungere ai giorni nostri, era uno Stato sovrano, retto da una dittatura non tanto diversa da quella che possiamo trovare nei Paesi islamici amici dell’America come l’Arabia Saudita e gli Emirati arabi, e sicuramente meno feroce di quella cinese con la quale l’amministrazione americana (e l’Italia) intrattiene ottimi rapporti d’affari.
Le varie etnie e religioni coesistevano nei limiti del possibile (l’ex vice di Saddam Aziz era cristiano) anche grazie al pugno di ferro del Rais. Con gli americani, non c’è più un edificio in piedi, neppure i luoghi di culto sono risparmiati e lo spettro della guerra civile è sempre alle porte. Per non parlare dell’economia divenuta totalmente dipendente dall’America dopo che questa si è impadronita del suo petrolio. Sotto le macerie delle loro abitazioni, distrutte dalle bombe a stelle e strisce, sono morte 160 mila persone e almeno 30 mila bambini (1); un’intera città, Falluja, è stata bombardata giorno e notte con ordigni al fosforo che hanno bruciato vivi e corroso migliaia di uomini, donne, vecchi e bambini; ai posti di blocco i soldatini di Bush e Obama dal grilletto facile uccidono decine di persone al giorno (come è successo al nostro povero Calipari). In Afghanistan, per rimanere nel campo delle guerre preventive, con l’occupazione è ripresa con vigore la produzione di oppio che serve, beffardamente, a finanziare la resistenza talebana e a drogare la gioventù americana. L’America conserva un poco invidiabile primato, quello di essere la prima produttrice, esportatrice e utilizzatrice al mondo di armi di distruzione di massa, una vera e propria democrazia a mano armata: dalle bombe atomiche gettate sul Giappone, che ancora oggi mietono vittime a causa delle radiazioni, alle armi chimiche utilizzate in Vietnam e Iraq e per finire agli ordigni all’uranio utilizzati nei Balcani, causa primaria delle morti per cancro tra la popolazione e tra gli stessi soldati, molti dei quali italiani.
Il business degli armamenti rappresenta una voce primaria del bilancio USA: le armi americane sono esportate in tutto il mondo, ovunque vi siano focolai di guerra. Nei paesi poveri scarseggiano il cibo e le medicine, ma non le pallottole made in Usa. Noè un caso che negli ultimi vent’anni la fame del mondo invece di diminuire èaumentata ed è tutt’ora in costante crescita, come la diffusione delle armi.
“Le guerre si fanno per vendere armi” afferma il Santo Padre riferendosi alla smania d’intervento in Siria del presidente americano Obama (premio Nobel per…la pace). Venuta meno la minaccia sovietica, ci saremmo aspettati un progressivo disimpegno militare americano in Europa, invece la Nato (leggi America) ha mantenuto sul nostro suolo il suo enorme apparato bellico (113 basi, di cui alcune nucleari, oltretutto mantenute con i nostri soldi). A quale scopo? Per difenderci dalla Svizzera o per rimarcare, anche militarmente, il nostro stato di impotenza e di dipendenza dagli USA?
Anche in campo economico l’America si esprime al meglio condizionando con la sua spregiudicata finanza le economie dei popoli. Infatti le due più spaventose crisi, quella del 1929 e quella attuale, hanno avuto origine a Wall Street, dalle operazioni speculative della borsa americana. La cultura e lo stile di vita americani sono intrisi di violenza: un’arma non si nega a nessuno, neppure agli adolescenti (vedi le ricorrenti stragi nelle scuole e nei campus universitari), e i loro violenti telefilm dilagano in tutti i canali del piccolo schermo. Nei sobborghi delle città americane, all’ombra degli sfavillanti grattacieli, l’emarginazione, la violenza e l’alcolismo sono di casa e proliferano senza sosta, così come lo sfruttamento e l’emarginazione di interi strati della popolazione. Tutto questo non viene detto e non viene fatto conoscere in Europa dagli “americanisti”. Non è un caso che l’America è oggi l’unico Paese del mondo occidentale a praticare la ena di morte su larga scala seguendo la Cina e, su proporzione demografica, l’Arabia Saudita.
L’America è sicuramente un grande Paese sotto il profilo economico e, soprattutto, ilitare, ma dal punto di vista umano e civile non ha proprio nulla da insegnarci. E attrista vedere i nostri politici e intellettuali di destra, ma anche di sinistra, guardare con simpatica e acritica ammirazione all’America.
Note
(1) Complessivamente, secondo una ricerca di Michael Schwartz professore di sociologia
all’Università Broock di New York, in Iraq 160.000 civili di cui 32.000 bambini sono morti sotto
le macerie delle loro abitazioni distrutte dalle migliaia di bombe dirompenti e missili sganciati
dai bombardieri anglo americani e durante le incursioni e rastrellamenti delle forze speciali