Lo spettacolo “sinistro” in onda su Sky: c’è veramente poco da stare allegri
Chissà che cosa avrebbe pensato Arthur Schopenhauer se avesse potuto seguire il confronto tra i candidati alle primarie del Pd, andato in onda su Sky ? Ci perdonino i lettori l’ardita escursione negli spazi della filosofia pura, fino a scomodare un così dotto studioso dell’Ottocento. Visto però che, ormai, l’unica cosa che sembra abbia senso per ridare un senso alla politica è la qualità del messaggio televisivo, il richiamo a Schopenhauer non ci sembra affatto improprio. Del filosofo tedesco ricordiamo un’opera postuma dedicata all’arte di ottenere ragione. Un trattatello, redatto a Berlino tra il 1830 e il 1831, che contiene qualche decina di consigli sui trucchi di cui si serve l’ordinaria natura umana per celare i suoi difetti. Al contrario di Hegel che indicava nella dialettica la via per giungere al culmine dello Spirito, Schopenhauer la raccomandava come un fioretto da impugnare in quella sorta di “scherma spirituale” che è il discutere , senza badare alla verità. Ecco, ad esprimere un giudizio sul confronto soft tra Renzi, Cuperlo e Civati in stile X Factor, ci sembra che calzi a pennello una tale teoria filosofica, che mette in evidenza una certa distorsione della tele-politica , nelle forme attuali e moderne, sulla essenza stessa della Dialettica. La Dialettica implica una disputa, evoca un duello, presuppone l’intelligente confutazione dell’affermazione dell’avversario. Nel suo essere Arte, sostiene con una buona dose di provocazione il filosofo tedesco, prescinde persino dalla stessa validità dell’assunto e dalla verità di una proposizione. Il che accade per “la naturale cattiveria del genere umano”. “Se questa non ci fosse, se nel nostro fondo fossimo leali, in ogni discussione cercheremmo solo di portare alla luce la verità”, sostiene amaramente Schopenhauer. E veniamo allo “spettacolo” andato in onda su Sky. Pochi gli spunti tra i concorrenti che avessero dignità di duello. Nessun affondo a dare pregnanza ad un Progetto. Tanta educazione, questa sì, a fornire l’immagine di bravi ragazzi: una immagine che, onestamente, non guasta e aiuta a fare la differenza con i rissosi talk-show cui siamo abituati, e di cui faremmo volentieri a meno. Una scontata ripetizione, però, di parole e concetti ormai fin troppo angusti e stretti nel cliché che ognuno dei tre si è dato con lo scopo di sottrarre elettori all’avversario. Nelle poche volte in cui il confronto poteva assurgere ad un livello dialettico degno di tal nome, è prevalsa la sottile leggerezza della battuta rispetto alla concretezza di un pensiero profondo, compiuto e convincente. L’assillo di mostrasi rassicuranti e moderati ha cancellato in tutti e tre i protagonisti l’esuberanza, scolorendo quel poco che resta di una virtù per lo più giovanile. Sarà che alcune tecniche della comunicazione, quando è in gioco la politica, non ci convincono più di tanto, ma se questo è il nuovo che avanza, c’è poco da stare allegri. Non si tratta di pregiudizio, per carità. È solo una semplice constatazione. L’idea che la politica possa rigenerarsi rincorrendo formule stereotipate, di apparenza più che di sostanza, non ci sembra la via maestra per uscire dalla crisi che l’attraversa e la comprime, fino ad annullarla. Bisognerebbe partire da qui, da un questa eclissi, da una tale consapevolezza di annullamento, dalla analisi di una devastazione ed indagare sulle cause che sono molte e collettive. Esse chiamano sul banco degli imputati più di una classe dirigente. Ma non assolvono chi classe dirigente non è. Tornado alla puntata di X Factor, nella chiave di primarie del Pd, l’unica certezza che è venuta a galla riguarda il giudizio che i tre contendenti hanno del governo. La scarsa sufficienza nei voti di Cuperlo e Renzi ( Civati, rispetto ai due, ha avuto almeno il coraggio di ammettere una bocciatura senza riserve) riflette il clima che si respira nel partito democratico. Qui, Il governo Letta è più tollerato che amato. A dimostrazione che da quelle parti non hanno ancora digerito il doppio smacco di un risultato elettorale abbondantemente al di sotto delle aspettative e di una lotta per l’elezione del Presidente della Repubblica che ha lasciato per strada morti e feriti. In termini politici, ovviamente. Una cosa è certa: dopo l’ 8 dicembre, quando Renzi, come sembra scontato, siederà sulla poltrona più alta del Pd, si aprirà una stagione non meno instabile di quella che si è immaginato di lasciare alle spalle, espellendo Berlusconi dal Senato. Qualcuno, con acuta miopia, archiviata la pratica della decadenza del Cavaliere, ha creduto che tutto potesse filare liscio come l’olio. Nutriamo il sospetto che quel qualcuno abbia fatto i conti senza l’oste. Se Letta ed Alfano non riusciranno ad ancorare una maggioranza più ristretta ( dopo la defezione di Forza Italia) ad un patto di ferro su alcune essenziali riforme di cui è inutile ripetere i titoli, perché ormai li conoscono tutti; se non fisseranno un cronoprogramma puntuale e verificabile con certosina accuratezza, cui collegare gli indispensabili passaggi parlamentari; se non riusciranno ad imprimere un cambiamento di rotta nelle politiche economiche e ad imporre all’Europa una linea più blanda sul terreno dell’austerità, e più diretta sul versante della crescita; se nel Pd prevarrà la fretta renziana di conquistare Palazzo Chigi sulla pelle di Letta, che milita nel suo stesso partito; se tutto questo accadrà,ed è possibile che accada, parlare di stabilità diventerà uno sterile luogo comune. Il flebile canto delle sirene mentre la nave si allontana.