23 Febbraio 2014
Domenico Cambareri
Empasse e cul de sac: dove va a sbattere la faccia il governo indiano?
Basta la sciagurata, pervicaca e sciovinista stupidità di qualche ministro perché New Delhi si cacci in una quarantena internazionle?
C’è da rimanere sconsolati, se non allibiti, su come parte della stampa indiana ha trattato negli ultimi giorni l’assurda e dolorosa empasse (per molti versi tragicomica) del suo governo in merito allo scandaloso e criminale sequestro dei due marò italiani e all’accusa loro mossa di attività terroristica, accusa che simultaneamente e imprescindibilmente viene a valere direttamente ed esplicitamente per l’Italia. E, come immediata e coerente conseguenza, per le altre nazioni che in sede internazionale hanno attivato contestuali e condivise misure di dissuasione e interdizione degli attacchi dei pirati sia tramite proprie unità da guerra sia tramite l’imbarco di militari armati sulle navi mercantili.
Siffatto esercizio di attività terroristica verrebbe a configurarsi ogni qualvolta in cui navi battenti bandiere degli Stati aderenti dovessero a navigare in acque internazionali, unilateralmente “rivendicate” dal governo dell’Unione Indiana alla stregua di acque territoriali.
Rivendicazione fatua e, nel contesto in cui viene sollevata, strumentale, ridicola e scandalosa. Ancora di più: apertamente arrogante e fortemente provocatoria e minacciosa, in quanto non si è a conoscenza di alcuna sua esplicita, prolungata, circostanziata e fondata rivendicazione nei fori internazionali deputati all’eventuale formalizzazione della controversia sul reale status delle acque contese. Quanto di unilaterali atti di riconoscimento da parte di Paesi terzi (in particolare di Paesi bagnati dal mare e forniti di marina mercantile), nell’ ipotetica somma numericamente minoritaria e marginale, di queste pretese da parte di un governo che vanterebbe il prestigio di rappresentare la democrazia più popolosa del mondo intero.
Questo atteggiamento non è meno incomprensibile e scandaloso di quello del governo di New Delhi. Ed è al tempo stesso aggravato dal fatto che quanto abbiamo appreso dalla segnalazione apparsa su Televideo Rai su talune gravi affermazioni, in particolare del Times of India, secondo cui l’Italia starebbe ricorrendo alle “intimidazioni”.
Non sappiamo in quali ipotetiche tresche e in quali oscure motivazioni siano coinvolti giornalista e direzione del giornale, a supporto dell’abissale stupidità criminale del governo indiano e del perché costoro vogliano aprire un nuovo fronte di contrasti internazionali, visto che già sono saturi di contenziosi e di confronti poco amichevoli o apertamente di cronico, pluridecennale e logorante stallo pre-conflittuale con altre nazioni per di più confinanti e anche di rincorse frenetiche per il contenimento di un’egemonia strategica ed economica regionale e subcontinentale. Contenziosi e contrasti che si nutrono nei modi più diversi di attività persistenti e mai sopite di guerriglie e di attacchi terroristici. Per non parlare degli endemici problemi interni, talora fonti di forti squilibri e di non minori logoramenti per guerriglie che non costituiscono uno svago, quale è lo specifico caso del Kerala.
Voler strumentalizzare piccoli e insignificanti atti di cittadini italiani (dando per scontato che lo siano sempre tutti), che spediscono un proiettile e lettere dal tono offensivo e minaccioso all’ambasciata indiana a Roma, è la cosa meno opportuna e più superficiale e imprevidente poiché può coinvolgere reazioni emotive ( a meno che non è questo che ciò a cui si mira) più estese e radicali in India, in Italia e in Europa. E non solo. Voler lapidariamente utilizzare l’espressione che così l’Italia vuole intimidire, significa non solo fare del pessimo giornalismo ma fare esercizio di pericolosa demagogia e di voluta disinformazione e accentuare la perseveranza del governo indiano nella sua inconcludente, lesiva azione di auto isolamento diplomatico e di lacerazione degli ottimi rapporti con l’Europa e con le marinerie di tutto il mondo e i loro Stati. Men che mai all’India conviene scimmiottare le pretese brasiliane e di altre nazioni oceaniche in merito ai contesti delle acque marine e della zona economica esclusiva (ZEE) sia per le profonde difformità che caratterizzano i confronti geomarini sia perché queste altre pretese non hanno riscosso alcun riconoscimento nei fori internazionali.
In realtà, molti giornalisti indiani, come tanti italiani, è indubbio che sapevano sin dal primo momento che le autorità del Kerala avevano commesso gravissimi abusi che andavano immediatamente perseguiti dal governo di New Delhi, il quale avrebbe dovuto subito avocare la questione, trattandosi di temi di politica e di diritto internazionali.
L’Italia, pur precisando in maniera chiara da subito il reale contesto internazionale della insussistente controversia, ha tenuto sempre in sordina la sua immediata e giusta reazione perché ha considerato che – visti gli ottimi rapporti di amicizia affetto con il popolo indiano e i non meno ottimi rapporti politici ed economici con il governo e le classi imprenditoriali, e visti i problemi interni indiani anche nel caso del Kerala – convenisse assumere una posizione “soft” e di attesa di accomodamento in seconda battuta, senza dover creare imbarazzi e problemi al governo federale.
Così le cose purtroppo non sono andate. L’avere avocato con troppo ritardo e con nessuna chiarezza del contesto entro cui inserire l’accaduto (compresa l’uccisione dei due pescatori indiani la cui imbarcazione era stata scambiata per scafo di pirati da parte dei marines italiani, e avvenuta perciò per mero errore o, come suole dirsi in così fortuite non volute e tragiche circostanze, per “fuoco amico”), con il sopraggiungere e l’incrociarsi di più che ipotetiche interferenze di speculazione politica ad uso interno, ha velocemente reso una matassa inestricabile il “fattaccio”.
Speculazioni politiche interne di natura partitica, di natura sciovinista e sicuramente di lotte nascoste relative interessi economici in precisi settori industriali e dei settori della tecnologia avanzata.
Certo è che all’interno del governo indiano si staglia in maniera inequivocabile la figura il ruolo e l’azione del ministero degli interni come fonte primaria di inadeguatezza gravissima, di persistente erroneità – oramai volutamente perseguita – della linea d’azione messa in atto modo estremamente contraddittorio, specie in riferimento alle indicazioni prescrittive ordinate dalla Corte Suprema, e perciò in modo apertamente corrivo e subdolo.
Certo è che in tutto ciò non hanno brillato per coerenza e correttezza il ministero della giustizia, che avrebbe avuto ed ha titolo per stoppare le ingerenze grossolane, fuorvianti e pericolose di quanti hanno operato nel ministero degli interni ad iniziare dallo stesso ministro, e i ministeri degli esteri e della difesa. A questi tre ministeri e alle loro autorità politiche di vertice, oltre che al presidente indiano, sarebbe toccato subito intervenire con determinazione per assegnare al preciso contesto internazionale e delle relazioni diplomatiche l’incidente, senza scivolare nella stupidissima sceneggiata che sta facendo sorridere ma anche arrabbiare tutto il mondo, ovverosia quella di avere esplicitamente fatto ricorso al tentativo di incriminazione dei due marò e dell’Italia per attività terroristica.
Avrebbero dovuto capire e intuire i responsabili di questi giornali indiani il rischio di isolamento internazionale che il governo indiano a questo punto ha messo in atto contro gli interessi della sua stessa nazione. Avrebbero dovuto capire che ogni barlume di buon senso era repentinamente scomparso. Così non è stato.
A nulla è valso l’apparente e non meno stupido, improprio e momentaneo “appoggio” fornito al governo indiano dalla battuta del segretario generale dell’ONU, il quale aveva dichiarato che l’incidente non aveva motivo essere esaminato dagli organi dell’ONU in quanto rappresentava un fatto da risolvere bilateralmente. Affermazione che si è dovuto rimangiare poco dopo e che per nulla giustifica l’ulteriore stupidità manifestata, per di più dal segretario generale dell’ONU (la cui figuraccia denotava, più che disattenzione, superficialità dovuta ad ignoranza grave o non meno grave compromissione morale) in un contesto ormai diventato delicatissimo.
Infatti, sebbene l’Italia si augurasse che l’incidente venisse chiuso in modo veloce e indolore a livello di rapporti bilaterali, nel contesto degli ottimi rapporti bilaterali, il contesto entro cui l’avevano collocato i responsabili del governo indiano invece si muoveva in direzione di diretto e spinoso scontro non più solo con l‘Italia e con l’Unione Europea ma con l’intera comunità internazionale.
In merito alle infondate e unilaterali pretese del governo indiano su acque di libero transito mercantile e militare, il governo indiano non si può e non si deve illudere in un tacito consenso della maggiore potenza navale, gli USA, in grazia del loro avvicinamento strategico, e perciò militare nucleare e industriale. Gli USA sono irremovibili sul principio della libertà di navigazione e su quello correlativo del rigettare gli unilaterali allargamenti delle acque territoriali o della fascia contigua, come non meno nel disconoscere rivendicazioni sulle acque di golfi (es: Gheddafi e il cosiddetto golfo della grande Sirte) e perfino ostacolano il riconoscimento delle acque nazionali di golfi e baie storiche come nel caso del golfo di Taranto, e violano le acque di una baia di un Paese confinante, estremamente amico e alleato, delle stesse origini etnico-linguistiche: il Canada. Il basso profilo assunto nella vicenda dall’amministrazione Obama, che per adesso preferisce trincerarsi dietro le prime dichiarazioni della Nato, non costituisce alcun dolce per il governo di New Delhi, quanto solo ragioni di momentanea opportunità (sta all’interlocutore indiano capirlo). Né tantomeno esso si può aspettare aperture e appoggi da parte della Russia. In un precedente articolo, infine, abbiamo sottolineato come l’arbitraria rivendicazione indiana è venuta a costituire un gravoso precedente nella geografia politica dell’Oceano Indiano, di cui in futuro proprio l’India potrebbe pagare un non indifferente tributo. Una intemerata e acritica scelta, dunque, che le si potrebbe venire a ritorcere davvero contro, visto che essa è una potenza in ascesa e che altri Stati, anche minuscoli, potrebbero fare propria la miope mossa indiana.
Torniamo all’India e all’Italia. In Italia vive una numerosissima comunità indiana, in generale ben intergrata, una delle maggiori presenti in Europa. I rapporti culturali fra i due Paesi sono stati sempre intensi, ampi e dei più alti livelli qualitativi. L’India, sin da prima della sua indipendenza, era nel cuore dell’Italia e molti progetti politici e culturali avevano come punto di riferimento l’India. I recenti sviluppi dei rapporti industriali hanno coinvolto settori molto importanti come la cantieristica navale militare e in e in generale la tecnologia avanzata. L‘India, da lunga data alleata dell’URSS prima (sia pure in uno specifico contesto bilaterale e non di “blocchi” essendo sempre stata l’India una Nazione non allineata) e della Russia poi, è stata fortemente dipendente sul piano degli armamenti da esse. Solo da poco più di un decennio ha intrapreso rapporti proficui con le Nazioni occidentali, fra cui figura l’Italia, che occupa una posizione non insignificante. Abbiamo fornito alla marina militare indiana due nuove modernissime navi di rifornimento di grandi dimensioni una sofisticata nave di ricerche oceanografiche e di intelligence, abbiamo dato un contributo di rilievo nella costruzione della prima nuova portaerei indiana. Le vicende legate alla fornitura del grosso elicottero trimotore AW101 (a detta degli esperti, il migliore prodotto mondiale) e al contenzioso in atto con il ricorso a un arbitrato internazionale, e la mancata scelta indiana del caccia intercettore EFA (prodotto da Regno Unito, Germania, Italia e Spagna) in favore del più piccolo e meno potente aereo francese (cosa inspiegabile per una potenza in ascesa e di grande dimensione geografica, per la quale il requisito dell’autonomia operativa dovrebbe costituire un fattore irrinunciabile) non possono costituire punti così gravi di attrito.