19 Marzo 2014
Filippo Giannini
con articolo di Giusi Federici da DVaC on line
Nota di Domenico Cambareri
Crestomazia criminal partigiana (da Filippo Giannini: ecco le frasi di Giorgio Bocca e di Benigno – ironia del nome! – Zaccagnini):
<< Il terrorismo ribelle non è fatto per prevenire quello dell’occupante, ma per provocarlo, per inasprirlo. Esso è autolesionismo premeditato: cerca le ferite, le punizioni, le rappresaglie per coinvolgere gli incerti, per scavare il fosso dell’odio. E’ una pedagogia impietosa, una lezione feroce >>. (“Storia dell’Italia partigiana”)
<< L’ostacolo più grande da sormontare per il timore delle rappresaglie contro la popolazione, il pensiero che per un’azione militare compiuta contro un tedesco o un fascista decine d’inermi e di innocenti sarebbero stati giustiziati. Allora non era ancora evidente a tutti che l’unico modo per stroncare il terrorismo (!) dei nazifascisti fosse quello di non dar tregua al nemico, di raddoppiare i colpi (…) >>.
<< La rappresaglia che veniva compiuta era un mezzo per suscitare maggiore spirito di rivolta antinazista e antifascista, e quindi si giustificava >> (Dalla parte dei vinti di Piero Buscaroli).
Pubblichiamo “in differita” questo articolo di Filippo Giannini, con i suoi annessi, da lui inviato a dicembre, volutamente solo oggi perché – per quanto il bombardamento propagandistico e il lavaggio del cervello operato attraverso i media sia ininterrotto su scala mondiale ma particolarmente in Italia – è da gennaio che ritualmente ogni anno rinvigorisce la campagna di scandalosa falsificazione storica che raggiunge l’apoteosi puntualmente in aprile. E il mese di marzo costituisce un primo repentino acme, dopo quello di gennaio legato alle distorsioni e amplificazioni che si annidano dentro la ricorrenza degli eccidi perpetrati in lager nazisti, in particolare contro quelli considerati ebrei, ma non solo.
La pubblicazione assume oggi maggiore forza anche in risposta alle incredibile affermazioni fatte dal neo ministro della Difesa, la ministra Pinotti, proprio .. a Cassino, città martire dei bombardamenti alleati e delle violenze sessuali perpetrate nei confronti di bambini/e e migliaia di donne e di uomini ciociari di ogni età dai soldati della divisione marocchina in forza alla divisione degaullina della France libre ( di quel De Gaulle bastonato sul campo di battaglia da un’unità tedesca con forze notevolmente minori, di quel De Gaulle che si divertiva a preparare la “liberazione” della Francia con torture sistematiche, nella sua centrale londinese, contro tanti malcapitati connazionali che erano riusciti a “riparare” oltre Manica). Sulla violenza inaudita di americani e, per altro verso, marocchini, l’Italia della mafia partitocratica “antifascista” finora non ha avuto nulla da ridire. Ha soltanto indecentemente riutilizzato il blasfemo cliché della “liberazione”. Delle violenze perpetrate in Ciociaria ho già avuto modo di fare cenno su queste pagine, anche in maniera più precisa in riferimento allo belva del generale Juin … beffardamente ricordato come un eroe in una lapide a Roma, nella chiesa di S. Luigi di Francesi. Sui misfatti subiti, non c’è proprio il minimo di dignità nel volerli respingere e denunciare, ministro Pinotti?
La sensibilità di donna e l’esigenza di voltare pagina davanti a cotanta complicità morale dei “resistenti liberatori” vendutisi al nemico, fanno sì che queste violenze e questi eccidi possano essere configurati come legittimi atti di guerra, ministro Pinotti, come nel caso dell’attentato di “partigiani” (termine lapalissiano in tutte le sue più possibili interpretazioni, liberamente scelto … perciò niente affatto patrioti: a cosa serve la sentenza del tribunale supremo militare, se non ad offuscare ancora di più la realtà storica e la dignità del popolo italiano?) a Via Rasella in Roma per imporre ai tedeschi la rappresaglia? Il PCI è morto da un pezzo, l’Unione Sovietica non esiste da più di vent’anni, i “trattati di pace” hanno cessati di avere vigenza da alcuni anni … e ancora si continua con questa turpe sceneggiata, mentre l’Italia soggiaceva a una violenza inaudita, accentuata dal baratro della guerra intestina?
Già da alcuni anni, storici (perfino in convegni di studi internazionali degli storici militari), magistratura e stampa si sono occupati di queste violenze estreme avvenute in Ciociaria, ma il risalto che è stato dato è stato inesistente. Perché mai? Perché dovuto alla connivenza politico-mafiosa con i vincitori e con il “patto” rappresentato dalla sigla del CLN e da quella dei suoi ulteriori custodi, l’ANPI, oltre che, ovviamente, dall’egemonia incontrasta del PCI e dei suoi epogoni? Ecco qui di seguito una denuncia vecchia di quasi quindici anni.
tratto da: http://digilander.libero.it/folgore4a/
le marocchinate – Dal Volturno a Cassino www.dalvolturnoacassino.it/DOC/marocchinate2.pdf
furono violentati dalle truppe francesi, con il consenso del comando, nel Centro-
sud. Un capitolo rimosso che una denuncia ha ora riaperto
LE MAROCCHINATE – «STUPRATE LE ITALIANE»
di Giusi Federici
Durante la seconda guerra mondiale diecimila tra donne e bambini
furono violentati dalle truppe francesi, con il consenso del
comando, nel Centro-sud. Un capitolo rimosso che una denuncia ha
ora riaperto.
Alberto Moravia ci scrisse un libro e Vittorio De Sica ne ricavò un film, La
Ciociara, con Sofia Loren, dove si mostra lo stupro delle due protagoniste,
madre e figlia. Dopo più di cinquant’anni si torna a parlare di «marocchinate».
Con questo brutto termine vengono indicate quelle donne – ma anche bambini di
entrambi i sessi, uomini, religiosi e in qualche caso animali – vittime delle
violenze dei soldati marocchini del Corps expeditionnaire francais (Cef),
comandati dal generale Juin. Furono migliaia.
A mezzo secolo da quegli orrori, una donna tra le prime a subire violenza,
vicino ad Esperia fucinate ha deciso di sporgere denuncia nei confronti dei
quattro soldati che abusarono di lei, giovanissima. «Per la prima volta –
afferma il legale, l’avvocato romano Luciano Randazzo – verrà inoltrata una
denuncia-querela, presso la procura militare e quella della Repubblica, per far
aprire un processo penale a carico degli ufficiali francesi viventi. Quei
signori, tramite lo stesso Stato francese, dovranno rispondere di omicidio
plurimo aggravato da motivi futili e abietti, senza nessun riscontro nel diritto
internazionale di guerra. Le dico di più: ipotizzo il reato di genocidio».
Oltre che sulle dichiarazioni della signora, l’avvocato si baserà sulle ricerche
storiche e sui documenti rinvenuti da Bruno D’Epiro, da Massimo Lucioli e Davide
Sabatini, autori questi ultimi, per le edizioni Tusculum, del libro La Ciociara
e le altre. È questo il primo tentativo di far conoscere il fenomeno degli
stupri francesi in tutta la loro portata. Come afferma lo studioso belga Pierre
Moreau: «Mai tali tragici avvenimenti sono stati menzionati nella letteratura
storica della seconda guerra mondiale, tanto in quella di lingua francese,
quanto in quella di lingua olandese ed inglese». Invece è dimostrato che non fu
solo la popolazione degli Aurunci a subire le violenze durante le famose
cinquanta ore di «premio» promesse da Juin alle truppe se avessero sfondato la
linea di Cassino, ma che il fenomeno parti dal luglio ’43 in Sicilia, attraversò
il Lazio e la Toscana e terminò solo con il trasferimento del Cef in Provenza,
nell’ottobre del ’44.
Un’altra fondamentale novità che la denuncia e gli studi apportano alla vulgata
su questi fatti è che non furono solo i marocchini a macchiarsi di tali
nefandezze, ma anche algerini, tunisini e senegalesi. Nonché «bianchi» francesi:
ufficiali, sottufficiali e di truppa. E qualche italiano aggregato ai
«liberatori» (volgari criminali o qualcuno con la divisa? Le fonti non sono
chiare…).
Il professor D’Epiro, deportato a sedici anni dai tedeschi perché non volle
aderire alla Repubblica Sociale Italiana – dai cui reduci viene spesso invitato
a tenere conferenze – dopo una serie di vicissitudini tornò a casa. E cominciò a
raccogliere le testimonianze delle vittime in libri come Dramma di un popolo e
La battaglia di Esperia. È stato insignito da Pertini del titolo di Cavaliere al
merito della Repubblica Italiana, ma vanta anche riconoscimenti come la Gran
Croce «Deutsch dee Sektion dee Ceca». Un personaggio, quindi, non sospettabile
di revisionismo strumentale a fini politici.
«La spinta me l’hanno data le donne di Esperia. Nel 1950, quando si cominciarono
a dare i primi miseri indennizzi alle donne marocchinate, io scrivevo le domande
per loro e ne raccoglievo le testimonianze. A quel tempo se ne parlava ancora
molto, quasi tutte in zona erano state stuprate, dalle bambine alle vecchie.
Trovai poi riscontri nelle fonti tedesche». La ricerca portò a risultati
tratto da: http://digilander.libero.it/folgore4a/
sconvolgenti. Durante l’offensiva del ’44, ad esempio, il parroco di Esperia,
don Alberto Terrilli, un uomo in odore di santità, cercò invano di salvare tre
donne. Fu legato e sodomizzato tutta la notte. Mori poco tempo dopo per le
violenze subite. E mentre i francesi ancora oggi negano tutto, diventa sempre
più evidente che il fenomeno ebbe dimensioni colossali.
Sono ben 9.000 le vittime che ancora aspettano un indennizzo, secondo
l’Associazione nazionale vittime di guerra. E già il 12 novembre 1946, Giovanni
Moretti, primo cittadino di Esperia, durante riunione di sindaci della Ciociaria
denunciò che su 2.500 abitanti erano state violentate 700 donne. Tutte si erano
ammalate, molte in modo grave, o erano decedute in seguito agli stupri. E
l’avvocato Randazzo sostiene che il risarcimento si può ottenere ormai solo dal
governo francese. E che sul piano penale, per il principio della responsabilità
applicato anche in altre situazioni (vedi caso Priebke), vadano puniti gli
ufficiali francesi. Juin è morto, ma altri pari grado o subalterni
presumibilmente sono ancora vivi.
A quale tipo di querelle giuridico-diplomatica la denuncia darà luogo non è
difficile immaginarlo. Basti dire, come ricorda D’Epiro, che «alle celebrazioni
per il cinquantesimo della battaglia di Esperia, nel ’94, si erano autoinvitati
dei francesi che non furono fatti salire sul palco insieme agli inglesi e agli
americani. Anzi, minacciati dai paesani, richiusero la portiera del pullman e se
ne andarono. Un ufficiale mi chiese il perché di tanto astio io risposi: “Noi
non possiamo dimenticare quello che avete fatto sui monti Aurunci, dove si
sentono ancora le grida delle vittime”. Non presero solo donne, ma anche
bambini. Un tedesco fu decapitato». Tagliare la testa era, infatti, un’usanza
marocchina, come recidere le orecchie per farne collane. Si racconta persino che
durante le violenze qualche ufficiale francese si nascondeva per paura di fare
la stessa fine della popolazione.
Su questo punto, però, Massimo Lucioli è di parere diverso. «Nel libro noi non
abbiamo sposato questa tesi fino in fondo, perché a nostro avviso gli ufficiali
bianchi, spesso e volentieri, partecipavano alle sevizie». «Ma anche gli
italiani che seguivano le truppe – conferma D’Epiro – non solo violentavano ma,
approfittando del momento, derubavano i civili di soldi e oro». Purtroppo, però,
tranne la famosa «Ciociara» che ha ispirato il film, nessuno dei protagonisti
sembra avere più voglia di parlare. È difficile trovare testimoni. Sono quasi
tutti morti e qualche superstite ha problemi di memoria. Ma anche chi ricorda
non vuole rivangare un trauma in cinquant’anni rimasto intatto. Le efferatezze
compiute dai marocchini furono motivate dai francesi con la necessità assoluta
di sfondare la linea di Cassino. Juin diceva che l’unico modo per riuscirci era
passare per la «penetrante Esperia». Dalla piana di Scauri, il generale
osservava l’andamento giornaliero delle operazioni sui monti Aurunci e i
tedeschi si accorsero troppo tardi di quell’azione di accerchiamento. Tedeschi
che in zona sono rispettati e benvoluti, contrariamente che altrove in Italia.
Nel 1985, durante una giornata per la riconciliazione, gli ex combattenti sono
stati invitati da tutta la cittadinanza e dalle autorità. Durante la guerra
molti esperiani aiutarono i soldati germanici in difficoltà proprio per
l’atteggiamento corretto che avevano sempre avuto verso la popolazione e
soprattutto verso le donne. Un ucraino che aveva tentato di violentare una donna
fu preso dai commilitoni della Wehrmacht e fucilato senza tanti complimenti.
Introvabile resta ancora, però, il famigerato volantino in arabo – o in francese
e arabo – in cui Juin prometteva ai suoi uomini le cinquanta ore di totale
licenza in caso di vittoria. L’originale non si trova, ma esiste una traduzione
dell’Associazione nazionale vittime civili: «Oltre quei monti, oltre quei nemici
che stanotte ucciderete c’è una terra larga larga e ricca di donne, di vino e di
case… Per 50 ore potrete avere tutto, fare tutto, distruggere e portare via,
se lo avrete meritato…». «Probabilmente – osservano Massimo Lucioli e Davide
Sabatini – la storia del volantino è stata messa in giro per attribuire solo a
Juin la responsabilità di fatti così vergognosi. Con la scusa del volantino di
cui tutti parlano ma che nessuno ha mai visto, si finisce per negare che il
fenomeno abbia interessato, com’è certo, mezza Italia. Il tutto si circoscrive a
tratto da: http://digilander.libero.it/folgore4a/
50 ore sugli Aurunci: cosa grave é ma limitata. È anche inquietante l’esistenza
di denunce prestampate. La pretura di Esperia realizzò addirittura dei moduli,
presso la Tipografia Trombetta di Pontecorvo, per presentare le denunce contro
le violenze commesse dai marocchini. Ce n’erano anche al comando francese.
Un’ulteriore dimostrazione che nulla fu casuale e limitato nel tempo. Un’altra
conferma della sistematicità di tali «gesta» è data, indirettamente, dalla
presenza in zona del generale De Gaulle, che ha seguito gran parte della strada
percorsa dai goumiers: possibile che non sapesse nulla? De Gaulle arrivò da
Ausonia, dove aveva sede il Cef, a Esperia, dove si trovava il comando avanzato.
Fu visto dagli osservatori tedeschi che avvertirono tempestivamente
l’artiglieria posta a Sant’Oliva e spararono sul casolare: lo testimonia anche
Jacques Robichon, uno storico francese che ha preso parte alla campagna d’Italia
come ufficiale del Cef. In zona, poi, oltre a un reparto di carri leggeri della
divisione «Francia libera», c’erano elementi della Quinta Armata americana che
con i mezzi corazzati supportavano l’avanzata dei francesi. Ci sono foto che
ritraggono insieme Juin, Alexander e Clark. «A Pico – racconta Lucioli – abbiamo
testimonianze che gli americani arrivarono mentre i goumiers stavano violentando
in piazza donne e bambini. I soldati cercarono di intervenire, ma gli ufficiali
li bloccarono dicendo che non erano lì per fare la guerra ai marocchini. In
Toscana sono successe le stesse cose. Le violenze poi non avvenivano durante
combattimenti, ma a battaglia terminata. Quando le ragazze portavano fiori ai
«liberatori». A Polleca, il 17 maggio, furono seviziate molte donne e i tedeschi
non c’erano già più. Così a Pico, a Castro dei Volsci e altrove».
Uno degli aspetti ancora poco noti è poi che gli stupri sono continuati a Roma,
a due passi da San Pietro, ai Castelli romani, a Grottaferrata e a Frascati. In
Sicilia, nel ’43, appena arrivati, i goumiers ebbero degli scontri molto accesi
con la popolazione per questo motivo. Alcuni di questi soldati furono trovati
uccisi con i genitali tagliati: un chiaro segnale. Nell’alto Lazio e in Toscana,
lo stesso: Poggibonsi, Colle Val d’Elsa, Murlo, la Val d’Orcia. All’isola d’Elba
si verificarono altri fatti eclatanti: lì si accanirono addirittura sui
carabinieri reali. «Diversi partigiani – concludono Sabatini e Lucioli – si
trovarono ad avere a che fare con i goumiers in Toscana, e furono disarmati e
violentati. Come alcuni elementi della Spartaco Lavagnini, una brigata
garibaldina comunista molto nota e attiva. Tra loro c’era una staffetta, Lidia,
e un ragazzo, ribattezzato Paolo in guerra. Testimonianze riportate dagli stessi
partigiani, come Pasquale Plantera, arruolato nella Lavagnini, che ne parla in
un suo racconto rimasto inedito. Eppure queste cose non sono mai state dette né
scritte».
Il caso italiano è particolare nel contesto europeo, anche in riferimento alla Germania, perché qui è cresciuto e si è affermato per decenni il più forte partito comunista filosovietico occidentale del secondo’900, il quale ha condizionato ab imis la crescita e lo sviluppo di una pseudo-democrazia o quanto meno di una democrazia solo apparente, basata sulla sistematica “compensazione” di potere tra la DC e il partito delle “masse proletarie”. E’ ciò che altrimenti e propriamente chiamiamo partitocrazia, ossia il regime dei partiti (garantito e tenuto in vita dalla regia della sistematica “compensazione” tra DC e PCI), che ha tenuto in scacco il popolo italiano e la stessa costituzione scritta e approvata da un parlamento in cui per l’appunto DC e PCI erano le forze preponderanti presenti in Parlamento, con il tristo codazzo dei partiti minori tutti non di meno assetati di spirito di vendetta “antifascista”. Ovvero, in termini più propri, di partecipare e non rinunciare all’ininterrotto festino mafioso con cui, messi al di fuori e al di sopra delle leggi partiti e sindacati, hanno provveduto a disossare il popolo italiano sino ani nostri giorni e di ipotecare per questo nuovo secolo il futuro delle nuove generazioni per pagare i debiti.
Il PCI e le ulteriori sue trasformazioni avvenute dopo l’implosione del’Unione Sovietica, e i suoi addentellati più estremi hanno esercitato , e i loro epigoni continuano a farlo, con implacabile e fanatica cura il ruolo di custodi esclusivi della “resistenza” e delle memorie dei “massacri” degli ebrei italiani. Una condizione che è parsa sempre irrinunciabile priorità della loro strategia ai capi comunisti , per potere esercitare il ruolo di diretta ipoteca della vita “democratica” del Paese.
Una irrinunciabile priorità che ha significato e significa piena responsabilità politica e morale perché basata sulla quali totale falsificazione storica e di occultamento delle vicende reali di allora, che non esclude pressoché nessun personaggio di questo partito e di quanti con loro hanno traghettato l’apparato di potere, l’elettorato, i controllori dei gangli della cultura nazionale della scuola e dell’università sino ad oggi, all’interno del PD.
Il caso a cui più in avanti fa riferimento Filippo Giannini è emblematica espressione dell’attività di occultamento e flasificazione storica, in uno con la contemporanea demonizzazione del ventennio fascista e del suo capo politico e di governo. Una trivialità illimitata, che ha portato all’ininterrotta degenerazione di un sistema politico già corrotto, marcio e violento sin dalle origini del servaggio alle potenze straniere, il peggio del fascismo che l’antifascismo comunista e partitocratico potesse mai realizzare. E che ha portato all’ignominia di avere le centrali della devastazione del Paese ancora oggi al di fuori dalla legge e dalla costituzione, visto che i loro bilanci non sono sottoposti al controllo della magistratura contabile né di altri organi a ciò appositamente deputati. Non vorrei che l’autore di simili fanatismi ci verrà a dire tra qualche mese o tra qualche anno che … dei misfatti commessi dai comunisti nulla sapeva. E’ la solfa che diversi cinquantenni e quarantenni ex comunisti hanno recitato a proposito delle stragi titine lungo confine orientale .. in quanto il partito in cui militavano e il regime partitocratico …li avevano derubricati dalla storia.
Cosa di più insulso?
Giovedì 5 dicembre ho ricevuto dal quotidiano Brescia Oggi una mail contenente un allegato dal titolo: “I rischi della continua rincorsa al revisionismo"”. Sono d’accordo che il revisionismo possa essere un pericolo, si tratta di stabilire PER CHI!
L’allegato ricevuto contiene una serie di accuse nei confronti di Mussolini circa le Leggi Razziali del 1938. E allora, Signori del Brescia Oggi, contestate quanto Vi ho inviato e qui di seguito riportato.
SIGNORI DEL QUOTIDIANO BRESCIA OGGI VI SFIDO AD UN CONFRONTO SULLA VERITA’ STORICA
In occasione della ricorrenza della “Giornata della Memoria”, leggo su “Il Messaggero”: “Nasce il museo della Shoah nel cuore di Villa Torlonia”. E’noto che Villa Torlonia fu, per un certo periodo, la residenza di Benito Mussolini. Con questa iniziativa si vuole rafforzare la tesi della responsabilità del Duce circa le malefatte – reali, supposte o false che siano – di Hitler.
Il 25 aprile 1945 Luigi Longo, uno dei massimi esponenti del Pci e quindi del CLNAI (Comitato Italiano Liberazione Alta Italia), nell’impartire disposizioni per l’esecuzione della condanna a morte del Duce, ordinò: <Lo si deve accoppare subito, in malo modo, senza processo, senza teatralità, senza frasi storiche>.
A distanza di oltre settanta anni ancora si parla di questo argomento. Perché?
Per avere una visione più chiara su quell’Uomo, è necessario partire dal “Trattato di Pace” del febbraio 1947. Indicare questo Trattato come iniquo è riduttivo. Ricordiamo quanto recita l’articolo 17 (Sezione I – Clausole Generali): <L’Italia, la quale, in conformità dell’art. 30 della Convenzione di Armistizio, ha preso misure per sciogliere le organizzazioni fasciste in Italia, non permetterà, in territorio italiano, la rinascita di simili organizzazioni>. E i politici italiani succeduti dal 1945 ad oggi, si sono piegati vergognosamente a questo diktat, inventando, manipolando e storpiando la storia, non curandosi minimamente, per giungere allo scopo prefisso, di infangare la memoria di un morto che operò in modo completamente difforme dalle accuse di cui è stato fatto carico.
Una qualsiasi persona di media intelligenza dovrebbe chiedersi “cosa può interessare ad una grande democrazia come quella americana, se ci sia o meno un movimento fascista in Italia?”. La risposta la dette proprio Mussolini in una delle sue ultime interviste: “Le nostre idee hanno spaventato il mondo”; per “il mondo” intendeva quello del grande capitale, la plutocrazia, l’imperialismo liberista. E allora, ecco la necessità delle grandi menzogne e delle mascalzonate.
“L’operazione demonizzazione del fascismo” è sviluppata con diversi tentacoli. Leggiamo, sempre su “Il Messaggero”: <A scuola. Lezioni, mostre e percorsi virtuali nei campi di sterminio>. In pratica “il sistema” fa dei nostri ragazzi degli automi, il cui carburante è la menzogna.
Per costruire il mostro (e i mostri) si è montata un’accusa che riteniamo la più infamante e la più menzognera: l’essere stato Mussolini un vessatore e il responsabile della consegna degli ebrei ai tedeschi. I detrattori, per rendere l’accusa più plausibile hanno coniato il sostantivo “nazifascista”: termine dispregiativo tendente ad accomunare in un’unica responsabilità fascismo e nazismo per le atrocità commesse da quest’ultimo, sempre che queste non siano frutto di una enorme montatura, come molti studiosi sostengono.
Le diversità dottrinali fra fascismo e nazionalsocialismo sono trascurabili per i detrattori, ma sono evidenziate da diversi studiosi e, tra questi, citiamo Renzo De Felice (“Intervista sul Fascismo”, pag. 88): <Fra fascismo italiano e nazismo tedesco ci sono semmai più punti di divergenza che di convergenza, più differenze che somiglianze>.
Trattare l’argomento “fascismo – ebrei” è stato (e lo è ancora) un cozzare contro un muro eretto dall’antifascismo internazionale: muro costruito e cementato da falsità che con la Storia non hanno nulla a che vedere. Cerchiamo allora un varco che possa dissipare le nebbie artatamente montate e avvicinarci a qualche sprazzo di verità. Questo lavoro è dedicato, quindi, a tutti gli Ebrei di cui ho la massima stima, come d’altra parte l’aveva Benito Mussolini che ad una domanda di Yvonne De Begnac, rispose: <Io preminentemente contro gli ebrei? Ma se lo fossi stato, avrei portato in Parlamento i Dino Philpsin, i Gino Arias, i Guido Jung, i Riccardo Luzzati, i Gino Olivetti (…)?>.
E allora, facciamo un po’ di Storia. Ma documentata.
Il 29 aprile 1945, dopo la barbara e macabra esposizione dei corpi appesi a Piazzale Loreto, a Charles Poletti (plenipotenziario americano in Italia occupata) fu detto: “La storia è fatta così. Alcuni devono non solo morire, ma morire vergognosamente”. Così ancor oggi, le accuse reiterate su “quel morto” sono le più variegate e le più singolari e tutte poco convinte e, ancor meno convincenti. Ma l’accusa più falsa e più infamante, ripetiamo, e nello stesso tempo più menzognera, è quella di essere stato un vessatore e il responsabile della consegna degli ebrei ai tedeschi.
Lo dobbiamo ricordare: anche se in Italia l’adesione al fascismo da parte degli ebrei era pressoché totale, l’ebraismo internazionale, invece, si era schierato contro il Fascismo, sia nella guerra civile di Spagna che nel decretare le sanzioni, per continuare poi negli anni successivi. Mussolini impose per il problema ebraico le leggi razziali (certamente odiose e inique), ma con l’ordine “discriminare, non perseguire”. Stabilito ciò, <il fascismo fece propria la dottrina razziale più per opportunità politica – evitare una difformità così stridente all’interno dell’Asse – che per interna necessità della sua ideologia e della sua vita politica> (De Felice, pag. 102). E nel prosieguo vedremo le motivazioni.
All’orizzonte si stagliava, intanto, sempre più minacciosa la figura di Adolf Hitler, bramoso (non davvero a torto) di riscattare le terre strappate alla Germania a seguito del delinquenziale Trattato di Versailles. E’ sufficiente leggere la storia di quel decennio per ricavare la netta impressione che le democrazie spinsero l’Italia fascista verso un’alleanza con Hitler, alleanza non assolutamente voluta da Mussolini.
Se questo è vero e se è vero che la spina dorsale della dottrina nazionalsocialista era il principio della superiorità della razza ariana, anche biologica e, l’antisemitismo, perché allora le leggi razziali del 1938? Nel contempo non possiamo dimenticare che nello stesso momento nel quale Hitler salì al potere in Germania, le lobby ebraiche internazionali dichiararono guerra alla Germania nazionalsocialista. Eppure sino a quel momento nessun attentato alla vita o ai beni ebraici venne attuato. Le teorie hitleriane sull’antisemitismo si fermavano ad una pura teoria filosofica.
A solo titolo di esempio proponiamo quanto scrisse a settembre 1933 (attenzione alle date) il dottor Manfred Reifer nella rivista ebraica Czernowitzer Allgermeine Zeitung: <La Germania è il nostro nemico pubblico numero uno. Ė nostra intenzione dichiararle guerra senza pietà>. Oppure: il 24 marzo 1933 il Daily Express scrisse nella prima pagina: <L’Ebraismo dichiara guerra alla Germania: Ebrei di tutto il mondo unitevi. Il popolo israelita del mondo intero dichiara guerra economica finanziaria alla Germania. Il commerciante ebreo lasci il suo commercio, il banchiere la sua banca, il negoziante il suo negozio, il mendicante il suo miserabile cappello allo scopo di unire le forze nella guerra santa contro il popolo di Hitler>. Tutto questo nel pieno della crisi economica che aveva investito il mondo.
E’ ovvio e accettato che per dare un giudizio storico su un certo avvenimento accaduto in un determinato periodo, è necessario riportarci alla situazione politica di “quel periodo” e, nel caso specifico alla situazione politica internazionale degli anni ’30
“La Seconda Guerra Mondiale”, Vol. 2°, pag. 209 di Winston Churchill: <Adesso che la politica inglese aveva forzato Mussolini a schierarsi dall’altra parte, la Germania non era più sola>. O anche lo storico inglese George Trevelyan nella sua “Storia d’Inghilterra”, pag. 834: <E l’Italia che per la sua posizione geografica poteva impedire i nostri contatti con l’Austria e con i Paesi balcanici, fu gettata in braccio alla Germania>. Oppure la denuncia del grande giornalista svizzero, Paul Gentizon: <Solo Mussolini si levò non soltanto a parole ma a fatti contro Hitler, il nazionalsocialismo, il pangermanesimo. Se le democrazie occidentali lo avessero ascoltato, il destino del mondo sarebbe stato ben differente>.
Ed ecco, allora, di nuovo, l’interpretazione, di Renzo De Felice. <Una volta che Mussolini fu gettato nelle braccia della Germania di Hitler, era impensabile che anche l’Italia non avesse le sue leggi razziali”. Anche lo studioso israeliano Meir Michaelis osserva: “Non si trattava quindi di un problema interno, bensì di un aspetto di politica estera>. E, più specificatamente De Felice (“Intervista sul Fascismo”, pagg. 101-102): <Il fascismo fece propria la dottrina razziale più per opportunità politica – evitare una difformità così stridente all’interno dell’Asse – che per interna necessità della sua ideologia e della sua vita politica>.
Se è vero che trattare l’argomento “fascismo-ebrei” è stato (e lo è tutt’ora) come accostare un fiammifero ad una polveriera, ma questo solo per circoscritti motivi di interessi, che non hanno nulla a che vedere con la verità storica. La verità è che anche intorno a quei drammi è stata costruita una cortina di falsità per i motivi sopra indicati. Vediamo, allora, di cercare uno spazio fra le nebbie, chiamando a testimoniare studiosi e personaggi non davvero fascisti.
Un attento storico dell’”Olocausto ebraico” (oltretutto il termine “Olocausto” è improprio nel caso specifico) Mordekai Poldiel, israelita, che scrive: “L’Amministrazione fascista e quella politica, quella militare e quella civile, si diedero da fare in ogni modo per difendere gli ebrei, per fare in modo che quelle leggi rimanessero lettera morta”.
Sarebbe sufficiente questa attestazione di uno dei massimi storici israeliani per chiudere l’argomento. Ma dato che l’informazione non consente un libero dibattito, ci vediamo costretti ad approfondire il tema. Quelle certamente odiose leggi, furono concepite per necessità politica e, proprio per questo applicate in modo da arrecare il minor danno possibile. Per approfondire l’argomento rimandiamo il lettore al mio volume: “Uno schermo protettore – Mussolini, il Fascismo e gli Ebrei” dove troverà ampissima documentazione.
Continuiamo nella Storia.
Nel 1934 in occasione dell’incontro con Weizmann, Mussolini concesse tremila visti a tecnici e scienziati ebrei che desideravano stabilirsi in Italia. Nel 1939 (l’Asse Roma-Berlino era già in atto) vennero aperte delle aziende di addestramento agricolo, le “haksharoth” (tecniche poi trasferite in Israele) che entrarono in funzione ad Ariano (Como), Alano (Belluno), Orciano e Cavoli (Pisa). Così, sempre in quegli anni, nei locali della Capitaneria di Porto, la scuola marinara di Civitavecchia ospitava una cinquantina di allievi che poi diverranno i futuri ufficiali della marina israeliana.
Tutto ciò può essere un sufficiente esempio per illustrare il criterio delle applicazioni delle “Leggi Razziali” in Italia. Nel 1979, in occasione della presentazione del film “Olocausto”, la televisione francese “Antenne 2”, riunì un gruppo di scampati dai “campi di sterminio”. Di questo gruppo faceva parte Simon Veil, che se non esistesse uno strano caso di omonimia, dovrebbe essere stata l’ex Presidentessa del Parlamento europeo. Le domande dell’intervistatore vertevano sul tema: “E’ vero che in Francia nella zona di occupazione italiana non ci fu alcuna persecuzione? E’ vero che sulla Costa Azzurra i carabinieri italiani impedirono ai poliziotti francesi l’arresto degli ebrei?” E la risposta fu unanime: Sì, è proprio così, rispose per tutti la signora Veil.
<Era la fine del 1939, quindi la Germania e l’Urss avevano già invaso la Polonia e l’Italia era alleata del Terzo Reich, e nasceva in Italia la Delasem (Delegazione Assistenza Emigrati), un’organizzazione ebraica che avrebbe salvato migliaia di israeliti profughi dai Paesi dell’Est europeo e, in particolare dalla Germania e dai territori che i nazisti andavano occupando. Il 1 dicembre 1940 Dante Almani (Rappresentante ufficiale della Delasem) ebbe un colloquio chiarificatore con il capo della polizia Bocchini>. Così scrive Rosa Paini, ebrea, nel volume “I sentieri della speranza, pag. 28”. E’ da tener presente che Bocchini era l’unica persona alla quale Mussolini concedeva ogni mattina udienza per essere relazionato sui fatti giornalieri.
Mentre si svolgevano questi drammi, il Governo italiano intensificò i suoi sforzi per salvare e assistere i fuggitivi. In merito De Felice scrive (“Storia degli Ebrei sotto il Fascismo”, pag. 404): <Già abbiamo visto come in pratica il Ministero dell’Interno non impedì mai l’afflusso in Italia degli ebrei stranieri in cerca di salvezza (…). Egualmente fu respinta la richiesta di estradizione avanzata da Berlino per alcuni ebrei tedeschi rifugiati in Italia e accusati di attività antinazista>.
Ancora Rosa Paini (pag. 111) riferisce: “Nella sua visita di febbraio ’43 a Roma, Ribbentrop insistette per tre giorni presso Mussolini per ottenere la consegna degli ebrei jugoslavi; alla fine, dopo parecchio tergiversare il duce accondiscese”.
A questo punto si inserisce un fatto che illustra lo “stile” con il quale è stato condotto lo studio della storia in questo interminabile dopoguerra. Nel gennaio 1998, il giornalista della televisione italiana, Paolo Frajese, conduttore di un servizio sulla vita degli ebrei nelle zone occupate dalle nostre truppe durante l’ultimo conflitto, nel ricordare il “visto” concesso da Mussolini alla richiesta di Ribbentrop, commentando il fatto, con voce di rimprovero e di condanna, disse: “Così il Duce dette l’ordine di consegnare gli ebrei ai nazisti”. Il solerte Frajese ha trascurato un particolare, ricordato da De Felice (e altri studiosi onesti e seri) con queste parole: “Ma subito dopo il Duce, parlando con il Generale Robotti, confermò il suo disappunto: E’ stato a Roma per tre giorni e mi ha tediato in tutti i modi il Ministro Ribbentrop che vuole a tutti i costi la consegna degli ebrei jugoslavi. Ho tergiversato, ma poiché non si decideva ad andarsene, per levarmelo davanti, ho dovuto acconsentire (…). Ma voi inventate tutte le scuse che volete per non consegnare neppure un ebreo”.
E così fu: non fu mai consegnato un ebreo, sia esso residente in Grecia, a Salonicco, in Jugoslavia, in Francia, in Italia. Qualunque sia la storia stroppiata scritta e ripetuta con la penna della “vulgata resistenziale”, mai a un ebreo fu torto un capello: esso era protetto, come ha scritto lo storico ebreo Lèon Poliakov (“Il nazismo e lo sterminio degli ebrei”, pagg. 219-220): <Mentre, in generale, i Governi filofascisti dell’Europa asservita non opponevano che fiacca resistenza all’attuazione di una rete sistematica di deportazioni, i capi del fascismo italiano manifestarono in questo campo un atteggiamento ben diverso. Ovunque penetrassero le truppe italiane, uno schermo protettore si levava di fronte agli ebrei (…). Un aperto conflitto si determinò fra Roma e Berlino a proposito del problema ebraico (…). Appena giunte sui luoghi di loro giurisdizione, le autorità italiane annullavano le disposizioni decretate contro gli ebrei”.
Anche il dottor Salim Diamond, autore del libro “Internment in Italy – 1940-1945”, ha scritto: “Non ho mai trovato segni di razzismo in Italia (…). Nel campo controllato dai Carabinieri e dalle Camicie Nere, gli ebrei stavano come a casa loro”. Il dottor Diamond attesta che il Governo fascista concedeva otto lire (al valore dell’epoca) al giorno agli internati i quali potevano spenderle come desideravano.
Il famoso docente dell’Università ebraica di Gerusalemme, George L. Mosse, nel suo libro: “Il Razzismo in Europa”, a pag. 245, fra l’altro scrive: <Come abbiamo già detto, era stato Mussolini stesso a enunciare il principio: discriminare non perseguire. Tuttavia l’esercito italiano si spinse anche più in là, INDUBBIAMENTE CON IL TACITO CONSENSO DI MUSSOLINI>.
Potrei continuare a lungo, ma non posso abusare più di tanto dello spazio a me concesso. Però desidero porgere alcune domande (che sicuramente non avranno risposta) al signor Pacifici e alle signore Fiamma Nirestein e Tullia Zevi:
1) perché gli ebrei che fuggivano dalla Germania e dalle zone occupate dai nazisti si rifugiavano in Italia? Eppure, qui, erano in atto le “leggi razziali”;
2) perché, invece di cercare rifugio nell’Italia fascista non si recarono in Gran Bretagna, o in Francia, o negli Stati Uniti? Forse perché quelle frontiere erano a quegli infelici sbarrate? Infatti Roosevelt fece intervenire la Us Navy per impedire con la forza l’approdo di un gruppo di ebrei fuggiaschi da Amburgo. E che fine fecero quei disgraziati? Lo dice il giornalista Franco Monaco (“Quando l’Italia era ITALIA”, pag. 175): “Quando fu vietato l’attracco a New York quei fuggiaschi vennero accolti in Italia e poi dislocati in varie zone della Francia, della Dalmazia e della Grecia” (neanche a dirlo, vero?). Oppure perché no nella regina delle Democrazie: in Gran Bretagna? Forse perché gli inglesi, in Palestina fucilavano e impiccavano gli ebrei? Oppure perché a Solina, nel Mar Nero il Console britannico salì a bordo di una nave che trasportava un gruppo di fuggitivi, informandoli che se non si fossero immediatamente allontanati aveva l’ordine di prenderli a cannonate?
3) E qui “la cosa” assume l’aspetto fosco. Scrive lo storico Robert Tucker (“The revolution from above 1928-1941): “Non ho conosciuto mai la violenza di un terrorismo di Stato pari a quello verificatosi in Unione Sovietica; in quegli anni furono fucilate milioni di persone dopo essere state torturate alla Lubianka, o deportate nei campi di lavoro della Siberia (…). Tra questi c’erano tutti gli ufficiali ebrei”. Oppure quanto scrive Paolo Veltri (Stalin e gli ebrei) il quale attesta che dal settembre 1939 al luglio successivo, in seguito alle annessioni sovietiche, due milioni di ebrei dei tre Stati Baltici passarono sotto l’Urss. Nella zona polacca occupata dai sovietici, a partire dal febbraio 1940, la polizia Nkvd di Beria arrestò e deportò circa mezzo milione di ebrei. Molti morirono durante il viaggio. Queste operazioni continuarono anche negli anni Quaranta. “Un’intera generazione di sionisti ha trovato la morte nelle prigioni sovietiche, nei campi, in esilio”. E ancora – ma non ultimo – lo scrittore russo Arkady Vaksberg nel suo libro “Stalin against the Jews” sostiene “dopo accurate ricerche” che gli ebrei eliminati da Stalin siano stati “presumibilmente cinque milioni”. Sempre lo stesso autore afferma che, esistendo l’alleanza Molotov-Ribbentrop, migliaia di famiglie di ebrei che fuggivano dall’incalzante avanzata delle truppe tedesche in Polonia, si rifugiarono nel territorio occupato dall’Urss, ebbene Stalin le fece restituire ai nazisti.
Credo che la domanda sorga spontanea. Voi lettori avete mai notato le stesse denunce circa i massacri perpetrati dai sovietici, la stessa enfasi forcaiola per quelle commesse dai tedeschi?
Perché questa differenza?
Ma torniamo a Benito Mussolini. Se una colpa gli si può adottare fu quella di aver salvato decine di migliaia di ebrei.
Allora, fu una colpa? Se non lo fu, sollecito un atto di giustizia: che similmente ad altri meritevoli, venga innalzato a suo nome un monumento nella “Valle dei Giusti” in Israele. D’altronde sarebbe in ottima compagnia, perché in quel luogo vengono ricordati altri fascisti che ebbero gli stessi meriti, fra questi voglio ricordare: Guelfo Zamboni (console italiano a Salonicco); Giovanni Palatucci (Questore di Fiume durante la Rsi, deportato e ucciso in un lager perché accusato della salvezza degli ebrei); Giorgio Perlasca (che operò a Budapest nel salvataggio di circa cinquemila ebrei).
Perché tanto rancore contro Benito Mussolini? Provo a dare una risposta sempre avvalendomi di personaggi “al di sopra di ogni sospetto”. Il 13 ottobre 1937 Bernhard Shaw in una intervista concessa al “Manchester Guardian”, fra l’altro disse: “Le cose da Mussolini già fatte lo condurranno prima o poi ad un serio conflitto con il capitalismo”.
Cosa aveva fatto Mussolini di tanto grave?
Prova a spiegarlo Zeev Sternhell, professore di Scienze Politiche presso l’Università di Gerusalemme, col saggio “La terza via Fascista”, nel quale fra le tante e varie considerazioni attesta: <Il Fascismo fu una dottrina politica, un fenomeno globale, culturale che riuscì a trovare soluzioni originali ad alcune grandi questioni, che dominavano i primi anni del secolo (…). Il corporativismo riuscì a dare la sensazione a larghi strati della popolazione che la vita fosse cambiata, che si fossero dischiuse delle possibilità completamente nuove di mobilità verso l’alto e di partecipazione>. E da qui giungere alla “Socializzazione dello Stato” il passo sarebbe stato breve. Immaginatevi il danno che un’idea del genere avrebbe arrecato a “coloro che possedevano le chiavi delle casseforti mondiali”.
E allora guerra. E per non far rivivere quell’idea, ancora oggi attuabile, si carichi su quell’uomo e sul suo regime ogni infamia possibile.
D’altronde la cosa non riuscì difficile… l’importante è avere a disposizione l’informazione; ed il gioco è fatto!
Tutto ciò – e tanto altro ancora – può essere un esempio sufficiente per illustrare il criterio delle applicazioni delle “Leggi Razziali” in Italia.
Quanto sin qui scritto è solo l’inizio della lunga storia che riguarda i rapporti fra il fascismo e gli ebrei. La documentazione più completa, ripetiamo, è contenuta in un mio libro che tratta appunto l’argomento, ma desidero porre alcune domande ai detrattori, ai dispensatori di ingiurie maramaldesche, scagliate un po’ per ignoranza e molto per un bieco, ignobile, servile tornaconto, contro un Uomo che tutto il mondo ci invidiava:
1) perché non spiegare alle scolaresche e ai telespettatori cos’era la DELASEM? Da chi fu autorizzata? che funzioni svolgeva? E, soprattutto, in quali anni operò?
2) Perché gli ebrei tedeschi, austriaci e quelli che vivevano nei Paesi occupati dalle truppe germaniche si rifugiavano nell’Italia fascista? E pur, sapendo bene che nell’Italia fascista vigevano le leggi razziali?
3) Perché quegli stessi ebrei non chiedevano asilo ai “Paesi democratici” o, meglio ancora, al “paradiso sovietico”.
4) Perché non ricordare quanto hanno scritto su questo argomento storici ebrei come Mordekai Poldiel, Rosa Paini, George L. Mosse, Menachem Shelah, Emil Ludwig? E questo è solo un frammento di quanto c’è da raccontare e da scrivere.
5) Perché non parlare di personalità ebraiche come Ludwig Gumplowicz, Cesare Goldman, Duilio Sinigaglia, Aldo Finzi, Dante Almasi, Guido Jung, Margherita Sarfatti e mille altri ancora?
6) Perché non ricordare gli ordini che dette Mussolini al generale Robotti dopo la visita di Ribbentrop?
7) Perché non far presente quando e in quale occasione i tedeschi misero le mani su tanti infelici sino a quel giorno al sicuro dietro lo “scudo protettore” italiano?
8) Quindi, e di conseguenza, sarebbe fuori luogo asserire che gli ebrei furono consegnati alle camere a gas (sempre che siano esistite realmente) dal primo governo antifascista? Cioè da Badoglio?
9) Ma un altro “perché” è doveroso porlo, anche se è drammatico e frustrante: perché dei discendenti del Duce (a parte Donna Rachele) mai nessuno si erse, o si erge a difenderne la memoria? Eppure le possibilità non sono mancate.
Per concludere: quell’Uomo merita davvero quanto questo infido sistema politico, per sopravvivere a se stesso fa, per infangarne la memoria?
Caro Giuseppe, qui di seguito potrai notare (iniziando dal fondo) la risposta di Brescia Oggi (del Sig. Bettinzioli). Io ti invio tutto, poi tu vedi cosa potrai fare, perché questa volta il tutto sarebbe veramente lungo.
Le osservazioni di “Brescia Oggi”
I rischi della continua rincorsa al “revisionismo”
Gentile direttore, da un po’ di tempo si tenta in tutti i modi, ogni qualvolta si punta il dito sugli orrori del nazifascismo di fare una netta distinzione tra la ferocia del regime hitleriano e la «bonomia» di quello mussoliano. Nella peggiore delle ipotesi, il fascismo diventa dittatura all’acqua di rose ma c’è anche, in questa continua rincorsa al revisionismo più revisionista, chi assume atteggiamenti a dir poco irriverenti quando afferma (vedi l’ex presidente del Consiglio Berlusconi) che in fondo Mussolini si limitò a «mandare qualcuno in villeggiatura» (leggi confino). Non manca infine chi sostiene le tesi negazioniste più ardite: il volto disumano e oppressivo del fascismo è soltanto una invenzione degli antifascisti.
Per convincersi di quanto disumano e oppressivo fu il fascismo, basta leggere un articolo apparso sul Resto del Carlino il 2 dicembre 1943 che illustra il pensiero di Benito Mussolini sugli ebrei, eccolo: «Siamo da tempo nettamente convinti che gli ebrei, per loro stessa definizione di popolo superiore agli spregevoli ariani e di popolo senza patria in qualunque paese si trovino i suoi membri, sono istintivamente nemici del paese che li ospita, perchè legati fra loro da interessi di carattere internazionale. Perciò la massoneria è istituzione prevalentemente ebraica. Perciò gli ebrei sono elementi pericolosi sia nel campo economico che in quello politico, culturale e morale. Tutte le storture dell’arte cosidetta moderna sono il prodotto del malefico genio ebraico. Tutte le crisi e le guerre, le sciagure e le stragi che si sono riversate sul mondo, specie negli ultimi anni, hanno origine nella malefica influenza ebraica».
«Da tempo urgeva ripulire l’Italia dai giudei che insidiavano anche come centro della romanità e del cattolicesimo. È stato anzi un errore tardare troppo a provvedere. Lo si è constatato dopo il 25 luglio quando immediatamente gli ebrei hanno fatto la loro apparizione con rinnovamenti propositi di vendetta. E solo più tardi sapremo fino a qual punto la loro azione occulta ha contribuito al verificarsi del 25 luglio. Ed è naturale: si erano fatte le cose a metà, mentre quando si comincia bisogna sempre andare risolutamente al fondo, altrimenti è meglio non cominciare».
Nel dicembre 1938 la Camera ed il Senato convertirono in legge i provvedimenti «per la difesa della razza». Entrambe le votazioni si svolsero a scrutinio segreto. Risultati: unanimità alla Camera, 10 voti contrari al Senato. Da allora i cittadini si dividevano in due categorie: i non ebrei e gli ebrei. Per questi ultimi era la morte civile. Gran parte della gente comune mostrò consenso o indifferenza nei confronti della legislazione razzista. Salvo poche lodevoli e preziose eccezioni, i più assistettero impassibili all’emarginazione e alla persecuzione dei loro concittadini con cui fino al giorno prima avevano condiviso posto di lavoro e aula scolastica.
Il Fascismo fu un regime liberticida e totalitario (questo spiega, almeno in parte, la passività e l’indifferenza mostrata dai cittadini); e fu antisemita al punto di collaborare con i tedeschi alla deportazione degli ebrei nei campi di sterminio.
Leggi razziste e antisemite come quelle di 75 anni fa possono sempre riaffacciarsi anche oggi in un contesto di multi-etnicità che verosimilmente caratterizzerà sempre più il nostro futuro. Forse la prima cosa da fare per sconfiggere per sempre il razzismo e l’antisemitismo è – iniziando dalla scuola e, via via, negli ambienti di lavoro, nella società e nella cultura – contribuire tutti a ricostruire un nuovo umanesimo, fondato sull’accettazione dell’altro e sul concetto di convivenza tra diversi che si rispettano tra loro. Dico questo sotto la preoccupazione che, quando in futuro non lontanissimo i testimoni viventi della devastazione nazifascista non ci saranno più, l’oblio e l’incredulità aumenteranno e, Dio non voglia, forse prevarranno.
Manteniamo questa memoria a favore del futuro e dei posteri e non stanchiamoci mai di testimoniare il nostro impegno per la vita, la giustizia e la pace affinchè il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti sia migliore.
Renato Bettinzioli
BRESCIA
…e le mie contro-osservazioni
Egr. Sig. Bettinzioli, debbo constatare che quanto da Lei scritto è un risultato di una serie di osservazioni completamente prive di validità storico-scientifiche, evitando in tal modo di rispondere a quanto riportarono studiosi non fascisti, ma validi storici ebraici e da me puntualmente richiamati. Provo a spiegarmi. In linea di massima quando faccio dei riferimenti mi rivolgo a soggetti antifascisti, ma questa volta mi permetta di citare uno storico fascista: Giorgio Pisanò; egli ha scritto: <Si giunse così al 1939, vale a dire allo scoppio della guerra e fu allora che all’insaputa di tutti, Mussolini diede inizio a quella grandiosa manovra, tuttora sconosciuta o faziosamente negata anche da molti di coloro che invece ne sono perfettamente a conoscenza, tendente a salvare la vita di quegli ebrei che lo sviluppo degli avvanimenti bellici aveva portato sotto il controllo delle forze armate tedesche>,. In merito al “confino”, osservo: Mussolini non fu una invenzione di Mussolini, ma lo ereditò dalla legislatura precedente e al confino inviò soprattutto i malavitosi e quando fa il Signor Bettinzioli fa riferimento ai campi di concentramento, dimenbtica che c’era la guerra e ai campi di concentramento (campi, veramente di sterminio, inventati dagli inglesi nel tempo della guerra boera del 1900), il regime fascista, come ogni altro Paese in guerra, rinchiudeva i cittadini nemici, ma in Italia NON ESISTEVA alcun campo di concentramento per ebrei. Questi ultimi se racchiusi lo erano perché o francesi, o inglesi in quanto con quei Paesi noi eravamo in guerra e non peché ebrei. Quando l’Autore osserva “mandare qualcuno in villeggiatura”, ecco quanto ha scritto l’ebreo Salim Diamond “Internement in Italy, 1940-1945”: <Per più di dieci anni vissi in Ialia dove lavorai, studiai e perfino in campi di concentramento. Posso onestamente affermare di conoscere gli italiani ed il loro pensiero, i loro sentimenti. (…). Non ho mai trovato un italiano che si avvicinasse a me, ebreo, con l’idea di sterminare la mia razza (…). Anche quando apparvero le leggi razzilali, le relazioni con gli amici italiani non cambiarono per nulla (…)>. Come vede, Signor Bettinzioli, io faccio dei riferimenti storici, indicando dati di riferimento. E mi spiego meglio: perché non contesta quanto hanno scritto i citati studiosi ebrei in merito alla persecuzione fascista? Hanno mentito? Se sì, perché? Con quale scopo? La prego, ci illumini su questa Sua verità!. Circa il citato discorso di Mussolini del 2 dicembre 1943 e riportato da “Il Resto del Carlino”, a me non risulta, infatti Mussolini tenne un discorso il 25 novembre 1943 a Gargnano, alla Villa delle Orsoline e un successivo, sempre alla Villa delle Orsoline il 16 dicembre 1943; fra i due discorsi non ne risulta alcun altro. Quello da Lei citato del 2 dicembre, la prego, sia più peciso, perché, ripeto, a me non risulta. Per quanto riguarda il (supposto) discorso di Mussolini citato dal “Resto del Carlino” del 2 dicembre 1943, osservo e trascrivo quanto riportato da Israel Shahah (storico e scrittore ebreo) su “Storia Ebraica e giudaismo”, pag.11: <Quando il razzismo, la discriminazione e la xenofobia prevalgono fra gli ebrei, alimentate da motivazioni religiose, riproducono fedelmente il caso opposto, cioé l’antisemitismo con le sue radici religiose. Oggi mentre il secondo è ampiamente discusso, l’esistenza stessa del primo è generalmente ignorata, più fuori di Israele che entro i suoi confini>. A pag. 25: <Nel 1984, fu eletto al “Knesset” con un programma politico di espulsione di due milioni di arabi cittadini israeliani e di palestinesi da Israele e dai territori occupati. Kahane abbandonò qualsiasi forma di prudenza arrivando a chiamare “cani” gli arabi, vantandosi di dire apertamente quello che gli altri ebrei avevano il coraggio solo di pensare. Kahane presentò varie proposte di legge che senbrano copia conforme della legislazione del Terzo Reich contro gli ebrei Nella nota 5) si legge , pag. 33: <Kahane chiedeva che si proibisse a tutti gli “stranieri residenti” di “abitare” all’interno della cinta municipale di Gerusalemme, allo stesso modo in cui agli ebrei tedeschi era proibito affittare appartamenti a Berlino e a Monaco senza speciale permesso. Sempre come avevano fatto i nazisti con la “legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco” che, tra l’altro, sanzionava l’assoluto “apartheid” nelle scuole, nei dormitori e sulle spiagge per gli ebrei e i non ebrei. Kahane presentò un progetto di legge analogo per la “Prevenzione dell’assimilazione tra ebrei e non ebrei e per la sanità del popol ebraico”>. Le “Omissioni Talmudiche” vengono ristampate in Israele con il titolo “Hesrenost Shas, pag. 51: <Passi come quello in cui si prescrive a tutti gli ebrei di recitare una preghiera di benedizione quando passano davanti a un cimitero ebraico e, invece, di recitare una preghiera di maledizione alle madri dei morti se si tratta di un cimitero non-ebraico sono oggi non solo diffusi liberamente, ma addirittura insegnati ai ragazzi nelle scuole> (Geremia 10 e secondo Isaia cfr. Isaia 44). Lo sa, Signor Bettinzioli che se una <donna ebraica, che ritorna dal suo bagno mensile di purificazione, dopo il quale è obbligatorio avere rapporti sessuali con il marito, deve guardarsi dall’incontrare una delle quattro creature sataniche: il gentile, il porco, il cane e l’asino. Se le incontra, deve subito tornare indietro e fare un altro bagno> (pag. 97). Penso che per il momento quanto riportato sia sufficiente. Negli anni in cui in Italia vigevano le leggi razziali, ecco quanto ha scritto il giornalista Vicini su “L’Indipendente” del 20 luglio 1993: <Ebrei e comunisti sciamavano verso il Brennero, frontiera che possono varcare senza visto a differenza di altre (americane, sovietica ecc.) (…)> Dello stesso parere è Klaus Voigt che in “Rifugio Precario” osserva: <(…). Eppure dal 1936, la Germania è il principale alleato e quegli “emigranti” sono suoi nemici. Polizia e carabinieri ricevono disposizioni dal Duce, chiare ed essenziali, anzi ridotte ad una sola parola: <Sorvegliare, non arrestare>. Torniamo per poco a Daniele Vicini, che osserva: <Meno schizzinosa, l’Italia accoglie tutti, dall’operaio comunista Jacob Rothchild e un drappello di scrittori fra i quali Walter Benjamin (“Angelus Novus”), Franza Werfel (“I quaranta giorni di Mussa Dagh”) e sua moglie Alma, il futuro editore Leo Olscki, ecc. ecc.>. Come vede. Signor Bettinzioli, faccio nomi, cognomi e date. Ancora, come ricorda il giornalista Franco Monaco (“Quando l’Italia era ITALIA”, pag 175 (se il Signor Bettinzioli ricorda un filma dal titolo “La nave dei dannati”, quanto scrive Franco Monaco si riferisce a quel fatto):< Allorché a un piroscafo carico di ebrei partito da Amburgo, fu vietato l’attracco a New York, quei fuggiaschi vennero accolti in Italia e poi dislocati in varie zone della Francia, della Dalmazia e della Grecia>. Perché? Eppure in Italia vigevano le Leggi Razziali! Ce lo spieghi, Signor Bettinzioli.
Il Signor Bettinzioli mi conceda un consiglio: la Storia merita molta attenzione in quanto è soggetta a varie alterazioni, però una volta fissati dei paletti: dati e fatti da una parte, documenti e testimonianze dall’altra, al di fuori di questi non c’è che la fantasia e le favole, l’una e le altre non hanno nulla a che fare con la Storia. Inoltre termino ricordando al Signor Bettinzioli una massima di Voltaire: <L’onnopotenza di Dio, una volta terminati gli eventi, non è in grado di modificarli, mentre invece possono farlo gli storici mutando la narrazione degli avvenimenti effettivamente accaduti>.
Debbo concludere con una osservazione: su questo argomento qualcuno mente (coscientemente o per ignoranza) mentono Giorgio Pisanò, Renzo De Felice, Simon Veil, Rosa Paini, Robert Tucker, Paolo Veltri, Arkaday vaksberg, Bernard Shaw, Zeev Sternhell, Morderai Poldiel, George L. Mosse, Salim Diamone, Léon Poliakov? Ripeto: se la risposta fosse affermativa, perché?