08 Maggio 2014
Filippo Giannini
Nota di Domenico Cambareri
Ci sono studiosi che solo per il fatto che si occupano di archivi storici e che occupano qualche scranno in qualche università si ritengono di poter sparare giudizi pseudo lapalissiani nei loro libri e nelle interviste che rilasciano, ad esempio in programmi di Rai Storia. E’, tra i tanti, il caso di un ricercatore, un tale Gentile, che si pone come studioso non marxista e che spara qualificazioni ed espressioni super calibrate tanto da imporre all’ascoltatore di chiedersi se davvero questi ne conosce il corretto significato in italiano … e se il suo indulgere ad un uso così scopertamente mosso da viva animosità e demagogico non superi la soglia di ogni “permissibilità deontologica” in sede di ricostruzione storica con siffatti “giudizi valoriali”: Mussolini fu “spietato”.
Le esemplificazioni e infondatezze storico – politologiche e comparative di questo Gentile sono davvero frequenti e perfino molto colorite: esse avrebbero potuto trovare un uditorio più acconcio negli anni ’60 – ’70 (non in merito ai contenuti quanto in merito agli “umori” che spesso li improntavano sin dal loro enuclearsi sul piano concettuale) e non già e non più a partire dal decennio successivo, il quale peraltro fu un decennio di ulteriori violenze politiche e di scontri inauditi in Italia. Immaginiamoci oggi, con le distanze di anni – luce coperte dalle ricerche in sede storico-ideologica, storico-istituzionale e politologica nell’ambito degli studi sul ventennio fascista. E che dire delle affermazioni di altri, che lasciano a leghe di distanza quelle del Gentile?
Le opinioni altrui in linea di principio sono sempre da rispettare, ma anche la sopportabilità e la più estrema condizione di puntuale accoglienza del diritto di espressione altrui (che va oltre la soglia di ciò che una volta, con valore concessivo, era inteso come mera tolleranza) è da comprendere che subiscono una condizione di saturazione. E fra le peggiori cose che si è costretti a subire, a livello di sopportazione sia culturale che emotiva,vi è quella della saturazione della sopportazione delle balle che si è costretti ad ascoltare in sede “storica”.
Un veloce “ripasso” storico su alcuni aspetti del ventennio fascista; una buona, istantanea strigliata della memoria in cui Giannini presenta con indefessa, ottima perseveranza cose già scritte e riscritte non solo da lui a buon pro per contrastare la furia senza posa di certi faziosi intemperanti e di certi fanatici che sommerge gli spazi della corretta ricerca e della corretta informazione e divulgazione, grazie all’abuso ininterrotto e all’uso distorto che fanno dell’utilizzo dei mezzi di comunicazione pubblici e dei contenuti propalati. Ben dunque opera e scrive Filippo Giannini, al fine di contrastare questa pletora di attardati e interessati “interpreti” delle fonti.
Per di più, costoro neppure s’avvedono che il loro agire così scopertamente pervicace e mirato e mirante, con tracotanza partigiana, ad alterare, distorcere, mimetizzare, rimuovere, sradicare, i reali accadimenti relativi al ventennio fascista, costituisce, in via oppositiva, la più chiara cifra apologetica di questo periodo irripetibile della storia nazionale.
Al che le parti rischiano davvero di invertirsi, giacché dietro l’apparente apologetica di Giannini o nostra nei confronti del ventennio, vi è sia una mole non indifferente di posizioni critiche mosse concettualmente dall’ “interno” di quel che può essere (stato) considerato il neofascismo, sia una condizione di oggettiva posteriorità temporale. – D. Cambarerii
E questo nel dopoguerra fu accuratamente celato e falsificato
“Salva l’Italia nel Duce…” Nella parte finale della “Preghiera del Legionario” era inserita questa invocazione all’Onnipotente, ma Iddio ritenne opportuno non salvare né il Duce, né l’Italia. E da allora siamo rimasti nella “cacca”.
Così, anche se nel “mai sufficientemente deprecato, infausto Ventennio” (va bene questa condanna, Presidente Napolitano?) furono compiuti dei veri miracoli; ma, “la sua condanna deve essere severa e definitiva” (mi auguro che anche questa sentenza vada bene, Signor Presidente, oppure non è sufficiente?).
E’ ovvio quale sarebbe la nostra risposta, come vedremo più avanti. Per intanto, desidero aprire un solo spicchio di quel Ventennio (da incubo è ovvio). E inizio. Molti economisti e storici (così si fanno chiamare) attestano che la famosa crisi congiunturale iniziata nel 1929 fosse peggiore di quella che stiamo vivendo in questi anni. Con la Carta del Lavoro (derivazione della Carta del Carnaro) per la prima volta nel mondo, venivano fissati dal truce tiranno, i cardini del rapporto fra lavoro, produzione ed economia nazionale. Premessa essenziale per giungere alla Socializzazione dello Stato.
Se a causa della crisi internazionale, appunto del 1929, nei Paesi ad economia liberale i suicidi per la disperazione si contavano a decine (oggi in Italia sono centinaia), nel Paese governato dalla perfida tirannia fascista la congiuntura veniva superata senza eccessivi drammi. Mentre Franklin Delano Roosevelt eletto Presidente degli Stati Uniti a marzo del 1933, periodo nel quale un americano su quattro era disoccupato in Italia veniva concepito l’IRI, Istituto con il quale vennero gettate le premesse dello Stato imprenditore così da definire le linee di demarcazione tra l’area pubblica e quella privata. Tutto questo mentre l’Italia era impegnata nei grandi lavori e poteva lamentare solo 403 mila disoccupati, dei quali almeno la metà a carattere stagionale: cifra trascurabile se consideriamo che, ad esempio, la Gran Bretagna ne lamentava un milione e mezzo, la Germania era giunta a sei milioni e mezzo.
Possiamo tranquillamente riportare un pensiero di Pino Rauti (Le idee che mossero il mondo, pag 326) <L’Italia più che uno Stato del vecchio continente era una meschina provincia in una grande Europa ma dettava leggi al mondo>). Tornando a Roosevelt, ricordiamo che questi aveva impostato la campagna elettorale all’insegna del New Deal, ossia un vasto intervento statale in campo economico, in altre parole proponendo un’alternativa al liberismo capitalista. Una volta eletto, Roosevelt (e questi nel dopoguerra fu accuratamente celato, e i motivi sono ovvii) inviò nel 1934, in Italia Rexford Tugwell e Raymond Moley, due fra i più preparati uomini del Brain Trust (“cervelloni”), per studiare il miracolo italiano. In merito lo studioso Lucio Villari osserva: < Tugwell e Moley, incaricati alla ricerca di un metodo di intervento pubblico e di diretto impegno dello Stato, ne colpisse la degenerazione e trasformasse il mercato capitalistico anarchico, asociale e incontrollato, in un sistema sottoposto alle leggi e ai principi di giustizia sociale e insieme di efficienza produttiva>.
Roosevelt inviò Tugwell a Roma per incontrare Mussolini (il Truce) e studiare da vicino le realizzazioni del Fascismo. Ecco come Lucio Villari ricorda l’episodio, tratto dal diario inedito di Tugwell in data 22 ottobre 1934 (anche l’Economia Italiana tra le due Guerre ne riporta alcune parti, pag. 123): <Mi dicono che dovrò incontrarmi con il Duce questo pomeriggio… La sua forza e intelligenza sono evidenti COME ANCHE L’EFFICIENZA DELL’AMMINISTRAZIONE ITALIANA, È IL PIU’ PULITO,IL PIU’ LINEARE, IL PIU’ EFFICIENTE CAMPIONE DI MACCHINA SOCIALE CHE ABBIA MAI VISTO> Esattamente come oggi in regime di “democrazia antifascista”)….
Il documento relativo a questo contattto Mussolini-Roosevelt, ci fa sapere Villari, è custodito in copia nell’Archivio Jung, il cui originale, come il diario inedito di Tugwell, si trova nella Roosevelt Librery.
Nel 193,3 Roosevelt emanò il First New Deal, il Second New Deal venne firmato nel 1934-1936. Quindi fu Franklin D. Roosevelt a istituire il Social Security Act, una legge che introduceva, nell’ambito del New Deal, indennità di disoccupazione, di malattia e di vecchiaia. Contemporaneamente nacque anche il programma Aid to Family with Dependent Children (Aiuto alle famiglie con figli a carico). Lo facciamo sapere al Signor Presidente Giorgio Napilitano che tutti questi provvedimenti avevano già visto la luce in Italia al tempo del ventennio fascista? Chiedo venia, dovevo scrivere: al tempo dell’infame Ventennio fascista, ma … sapete avevo trascurato di ricordare che il nostro Presidente era un iscritto ai GUF (Gruppi Universitari Fascisti) e osannava, su varie riviste, il Fascismo e il suo Capo.
Torniamo al New Deal di Roosevelt. Subito dopo l’emanazione di queste leggi, sotto la spinta del grande capitale, la Corte costituzionale degli Usa decretò l’incostituzionalità di alcune di queste leggi. Da questo momento, Italia e Usa presero, non solo economicamente, strade diverse.
A questo punto è opportuno ricordare quanto ebbe a dire Bernard Shaw nel 1937: <Le cose da Mussolini già fatte lo conducano prima o poi ad un serio conflitto con il capitalismo>. Non si dovranno attendere molti anni prima che la profezia del celebre scrittore si avveri. Non a caso di fronte alla confermata crisi del liberismo e delle utopie del marxismo, un autorevole personaggio democratico inglese Michael Shanks, già direttore della Commissione Europea degli Affari Sociali, nonché presidente del Consiglio dei Consumi, indica nel suo libro “Wath is the wrong with the modern World?” che <Non c’è alternativa: o lo Stato Corporativo o lo sfascio dello Stato>. D’altra parte lo stesso Gaetano Salvemini, circa la validità della proposta corporativa mussoliniana, ha attestato: <L’Italia [attenzione, amico lettore parliamo del periodo dell’”infame Ventennio!!!!] è diventata la Mecca degli studiosi della scienza politica, di economisti, di sociologi, i quali si affollano per vedere con i loro occhi com’è organizzato e come funziona lo Stato Corporativo fascista (…)>. E ancora; J.P. Diggins (L’America, Mussolini e il fascismo, pag. 45) ha scritto: <Negli anni Trenta [attenzione! Stiamo parlando degli anni della più pesante crisi congiunturale] lo Stato corporativo sembrò una fucina di fumanti industrie. Mentre l’America annaspava, il progresso dell’Italia nella navigazione, nell’aviazione, nelle costruzioni idroelettriche e nei lavori pubblici offriva un allettante esempio di azione diretta e di pianificazione nazionale. In confronto all’inettitudine con cui il Presidente Hoover effrontò la crisi economica, il dittatore italiano appariva un modello di attività>. La liberale e antifascista Nation arrivava ad auspicare un Mussolini anche per gli Stati Uniti.
Per fare un dispettuccio ad un Signore, già citato in questo articolo, riportiamo due giudizi (attenzione di nuovo: di simili giudizi ne potremmo citare mille e mille), addirittura di Winston Churchill, nel 1933: <Il genio romano impersonato da Mussolini, il più grande legislatore vivente, ha mostrato a molte nazioni come si può resistere all’incalzare della crisi>. E nel 1947: <Le grandi strade che egli tracciò resteranno un monumento al suo prestigio personale e al suo lungo governo>.
Concludo ponendo una domanda: “se tutto ciò è vero, PERCHE’ i nostri politicastri non studiano quanto fu fatto in “quel periodo” e vedere se alcuni punti possono essere riproposti oggi? La risposta sarebbe ovvia: perché i nostri “politicastri” pensano solo ad arricchirsi e se ne fregano altamente del popolo italiano; al contrario dell’”infame tiranno”.
Questo articolo è dedicato ai grandi, fantastici “ri”creatori della Storia, e ci riferiamo principalmente a RAI STORIA.