Città della globalizzazione. Cina. Infausti fasti edilizi e palazzi fast-food. Apogeo o tramonto del capitalcomunismo?

10 Maggio 2014

Mino Mini

Nota di Domenico Cambareri

 

 

 

 

 

I fasti del Capital-comunismo speculativo  e gli infausti disastri edilizi costituiscono la cifra del suo duraturo apogeo o l’inizio del suo tramonto?  Gli aneddoti dei piccoli e dei grandi disastri in Cina che la cronaca ci offfre con elevata frequenza esemplano i reali risultati conseguiti da urbanisti e ideologi ibridizzati  e dalle fole delle loro pseudo utopie d’accatto, frutto delle più miopi,ciniche e perverse operazioni d’innesto consumistico. E delle relative rendite parassitarie e criminali.

Mino Mini mette ancora una volta in luce i legami perversi che sussistono e che si irrobustiscono ancor più nella realtà dei più svariati intrecci del mondialismo criminal-speculativo, il quale ha nel settore edilizio come in quello finanziario e in quello industriale, in particolare in Cina, i dorati bacini di massima espansione e remunerazione. Sulla pelle di folle incalcolabili di vittime spremute e spesso anche rovinate e uccise.

Quale peggior epitaffio, al termine della lunga “eroica e gloriosa” storia del partito comunista cinese, in cui alla società viene imposto un futuro di ulteriori violenze, dovendosi essa non riscattare ma adeguarsi remissivamente come vittima sacrificale all’era di questa nuova “uniformità  individuale” imposta e prestabilita da un indirizzo urbanistico-ideologico? (Mino Mini). Indirizzo  basato esclusivamente su presupposti di brutale speculazione che sui costi umani basa ed edifica  la duratura fortuna delle sue ricchezze e della sua potenza?

L’usa e getta americano ha raggiunto dunque un inaspettato orizzonte estremamente “rivoluzionario”: non quello cartaceo e della plastica d’uso quotidiano che hanno già ricoperto mari e oceani, ma quello delle grandi opere edilizie a cui adesso è stata strappata la peculiarità intrinseca e di “destino”: la durata?  L’effimero e il caduco di matrice occidentale ha annientato la sopravvivenza dei draghi cinesi  e dei loro templi per trasformarli in edifici di burro che si sciolgono al sole nella programmata durata di 120 stagioni? – Domenico Cambareri

5a  CITTA’ DELLA GLOBALIZZAZIONE

 

 LE CITTA’ FAST FOOD

 

La vicenda di Fenghua ha portato alla luce l’aspetto drammatico di un fenomeno che caratterizza le città della globalizzazione e di cui abbiamo già trattato in passato. – Mino Mini

 

 

 

        

 

Il 4 aprile scorso, il giornalista Lu Chen ha dato notizia del crollo di un edificio, costruito negli anni ‘90, nella città di Fenghua provincia dello Zhejiang, sulla costa della Cina. La notizia è rimbalzata su Facebook e su Twitter senza sollevare eccessivo scalpore dal momento che il crollo  ha provocato solo una vittima e sei feriti tratti in salvo da sotto le macerie.
Da noi siamo abituati a ben altro e la morte di un componente della popolazione di un miliardo e trecento milioni di cinesi non ci turba più che tanto. Questo se non sei architetto od esperto nel settore,ovvero se non colleghi la vicenda al fenomeno tutto cinese della nascita rapida di insediamenti nuovi di zecca che nel giro di tre anni o poco più sono in grado di ospitare qualche milione o addirittura qualche decina di milioni di nuovi abitanti. Città fast food le chiamano e, per analogia,  gli edifici di queste “città” prendono il nome di  “case in stile fast food” che è come dire “case di rapido consumo”. Il copyright è di Chen Xuwei, vice segretario dell’Istituto Hangzhou di Ingegneria civile e Architettura il quale ha rivelato : <<Non possiamo negare che dopo la riforma e l’apertura, la Cina abbia effettivamente costruito in molti luoghi una serie di “ case in stile fast food”>>. Case di qualità talmente scadente che, per ammissione del Ministero dell’Edilizia cinese, possono a malapena durare per due o tre decenni  investite, come sono,  da un processo di degrado precoce tale da crollare addirittura senza intervento manutentivo esterno.
         
Il settore immobiliare in Cina è stato ed è tuttora uno dei principali motori della rapida crescita economica e in esso una gran parte della popolazione ha investito una enorme ricchezza con sacrifici incredibili. Si consideri che l’acquisto di un appartamento, dato l’elevato prezzo degli immobili, impegna le risorse economiche di due o tre generazioni della stessa famiglia. Ebbene per la scarsa qualità dell’edilizia di cui si è detto, il godimento del bene risulta più breve dell’esistenza complessiva  degli investitori, che dovranno continuare a sostenere l’impegno economico nonostante la perdita dell’immobile.
 
Il disastro di Fenghua che abbiamo appena citato, ha colpito solo 15 famiglie, ma ha squarciato il velo che copre una situazione a dir poco preoccupante. Infatti l’immobile collassato, corrispondente ad un corpo scala di una casa in linea, non era isolato, ma costituiva parte di una “stecca” che comprendeva più corpi scala. A sua volta, la  “stecca” era inserita in un quartiere costituito da edifici tutti uguali e tutti con preoccupanti segni di degrado avanzato. Quindi tutti soggetti, prima o poi, a crollare per lo stesso degrado che ha investito l’edificio disastrato. Considerando quanto affermato dal succitato Chen Xuwei circa la diffusione di case fast food in Cina, vien da chiedersi: cosa potrà mai accadere se dovesse verificarsi un evento come quello del  Sichuan nel 2008, allorché  un terremoto di magnitudo 7,9 causò la morte di 70 mila abitanti accertati e lasciò quattro milioni e 800 mila abitanti senza tetto?
Ad essere tremendamente cinici verrebbe fatto di pensare : alla fin fine sono un miliardo e trecentomilioni di abitanti… considerato il grave problema della sovrappopolazione cinese ….!
         
In definitiva, qual è il senso di questo discorso, perché un tale evento di quasi piccola cronaca dovrebbe interessarci? Chi ci legge si porrà senz’altro questo interrogativo, posto che l’evento, ripetiamo, si è verificato sull’estrema sponda dell’Asia e quindi non sembra riguardarci in alcun modo … ma pur sembrando di appartenere a due diversi pianeti … siamo nella globalizzazione e la Cina opera con il proprio fondo sovrano – il CIC (China Investment Corporation ) su scala planetaria. Quindi,opera anche da noi. 
 
Non solo: fintanto che si tratta di investimenti, passi; diversa è la faccenda se, al seguito del CIC, l’intraprendenza cinese pretendesse di realizzare, tramite i Cccc (China Communication Construction Company), opere di infrastrutturazione e di  edilizia come fu ventilato, ad esempio, con la proposta relativa al ponte sullo stretto di Messina ed alla piattaforma logistica estesa da Gioia Tauro a Trapani.
Chi si fiderebbe circa la rispondenza delle opere ai criteri di sicurezza, durabilità etc. quando vediamo che nel campo delle costruzioni  viene usata la stessa logica  “usa e getta” che i cinesi dediti alla speculazione su larga scala applicano ai loro manufatti ?
Ma non c’è solo questo. La Cina – come abbiamo avuto modo di trattare su queste pagine a proposito delle smart cities – è protesa a realizzare la “Città del futuro”  che, nelle intenzioni del past president  Hu Jintao, <<…sovvertirà il concetto tradizionale di città, sovvertirà i concetti di infrastrutture, di servizi, di edifici, di strade, di sviluppo urbano >> e lo farà << per perseguire il più ottimale stato di salute fisica e mentale dei residenti e la qualità dell’ambiente> .
 
Sorvoliamo sull’ironia di un destino “cinico e baro” che risolve il problema dello stato ottimale di salute fisica e mentale con il crollo delle case di abitazione e soffermiamoci, invece, sulla “sovversione” a tutto campo di tutto ciò che rappresenta una città “tradizionale”. 
A ben vedere è la replica  del sogno della modernità che fu dei redattori della Carta d’Atene (1928-1933). La Cina, entrata in ritardo nella modernità, non sembra essersi accorta dei fallimenti urbanistici che seguirono l’applicazione dei principi formulati nella famosa Carta. Smaniosa di mettersi alla pari con il peggio del disprezzato occidente, tenta di cancellare ogni nozione della storia passata della sua civiltà e dell’umanità condizionando i propri cittadini a considerare il passato come l’epoca della barbarie ed il “futuro” come il migliore dei mondi possibili … una volta realizzato.
Il presente, ovviamente, altro non sarebbe che la sovversione dell’ordine barbarico per la realizzazione dell’agognato “futuro”.
 
In questa ottica sovvertitrice, torna bene che la durata dei prodotti residenziali e in generale dell’edilizia si riduca a due, tre decenni .Riflettiamo: una edilizia usa e getta  comporta un continuo ed accelerato processo di mutazione della città. Come si è visto a Fenghua, il costo di vite umane è minimo e la caccia ai responsabili della dolosa qualità degli edifici si risolve con l’arresto dei “soliti noti”. In compenso si liberano le aree dove realizzare altri edifici, più alti e più belli, perché all’insegna del nuovo. Come nel campo della moda.  
Si innesca il circolo virtuoso dell’economia basata sul consumo fast food ed ogni 20 – 30 anni, con gli edifici, cambiano radicalmente i riferimenti, e altrettanto radicalmente cambia la forma della città. Si condiziona  la società ad avviarsi verso l’uniformità  individuale prestabilita su di un impianto urbanistico-ideologico basato esclusivamente su presupposti.  Si limita la dispersiva libertà di scelta e di espressione delle vecchie città (dopo trent’anni tutto sarà vecchio agli occhi dei nuovi abitanti)) e si inducono nei cittadini continue sensazioni, continue sollecitazioni  al consumo ed al piacere dello stesso inibendo le ambizioni intellettuali e sentimentali garantendo, in tal modo,  alla società una universale felicità.
        
 E’ l’avvio, in versione cinese, al Mondo Nuovo profetizzato da Aldous Huxley nel 1932, giusto ai tempi della Carta d’Atene dei CIAM (Congrés Internationaux d’Architecture Moderne). E la Cina si ripromette, con le sue Città del Futuro, di STUPIRCI?
          Cento, mille Fenghua!