Italia. Una destra di troppo? Tante destre da nulla? E poi, quali destre … succubi della finanza?

08 Giugno 2014

Mino Mini

Nota di Domenico Cambareri

 

In senso proprio, nell’ambito politologico e storico-politologico, il termine connotativo e massimamente negativo del  “totalitarismo”, nella sua pur breve vita, ha avuto una serie di interpretazioni dei regimi e dei fenomeni politici, soprattutto del XX secolo, estremamente estese ed elastiche ( dopo la creazione del termine stesso nel contesto ideologico-politico che è da riportare a Mussolini e a Gentile, a differenza dell’antecedente sua utilizzazione da parte del papa che elevava il cattolicesimo a concezione totalitaria, ossia ad un’affermazione in cui il dato religioso veniva ad avere l’assoluta supremazia e in esso venivano assorbite le ulteriori sfere del pensare e dell’agire umano: utilizzazioni originarie caratterizzate dunque da una peculiarità estremamente apprezzativa  ed esaltativa).
Molti studiosi americani hanno esteso la sua utilizzazione per fini interpretativi e di classificazione tipologica dei regimi, anche all’età antica. In generale, esso però è stato utilizzato soprattutto in riferimento agli eventi ideologico-politici di particolare rilievo del non breve ma lunghissimo Novecento. “Estrapolazioni” cronologicamente e tematicamente estensive lo hanno applicato ai “prodromi” moderni della contemporaneità ultima: alla rivoluzione francese.
Nella sua accezione negativa legata alle interpretazioni nate in USA, in senso proprio e più correttamente definito, il termine ha ricevuto una esaustiva brillante trattazione da parte di Domenico Fisichella, il quale veniva a delineare la tipizzazione massima del totalitarismo nel concetto di fondo di “universo concentrazionario”. Peculiarità estrema che sul piano storico fu propria ed esclusiva del regime sovietico, in particolare nella sua lunga fase staliniana. Questa peculiarità, qui solo citata e non spiegata – richiamiamo  le caratteristiche proprie del “nemico oggettivo” e della condizione di irreversibile declino in senso psichiatrico della instabilità interiore indotta anche in appartenenti alla nomenklatura –  nelle sue specifiche implicazioni  e nel suo tragico significato, non appartenne neppure alle condizioni di terrore in cui visse una parte della popolazione tedesca sotto il regime nazista ( non peculiarizza in tale direzione codesto regime pure in presenza dei massacri di ebrei e/o israeliti, di altre minoranze, di prigionieri). Essa può essere riscontrata, nella seconda metà del XX secolo, nel regime di Pol Pot e in altre fasi particolarmente cruente della storia rivoluzionaria di altri regimi comunisti, quello maoista compreso. 
Tuttavia, sia sul piano accademico che su quello della sua utilizzazione su larga scala culturale,   giornalistica, politica e degli scoperti abusi demagogici che sono ovunque all’ordine del giorno, esso ha perso la sua peculiare e nitida tipizzazione, riferita in termini classificatori ai precisi accadimenti del regime sovietico. Esso è diventato da un lato un termine generico utilizzato con intenti puramente denigratori privi spesso di solidità  storica e storiografica; da un altro lato, ha cominciato a ricevere nuovi ambiti di utilizzazione e nuove significazioni politologiche. E’ in quest’ultimo senso che nel suo articolo Mino Mini utilizza la parola totalitarismo. Al di là di contenuti valoriali apprezzativi (che sicuramente sono assenti) o negativi, con esso Mini indica innanzitutto dei condensati storico-ideologici  che nel corso dell’età moderna e soprattutto contemporanea hanno espresso una magmatica irruzione di forze sul piano fattuale determinando le reali linee di direzione e di verso degli avvenimenti storici, verso spesso irreversibile per una non indifferente durata di tempo; e facendo rifluire al loro interno ogni ulteriore aspetto delle attività umane, soggette alla più completa subordinazione e perfino all’annichilimento.
In merito al giudizio espresso da Mino Mini versoi “Fratelli d’Italia” (ci potrebbe essere una utilizzazione più scopertamente demagogica e intemerata di questa, nell’usarla per denominare una parte politica, laddove la frase indica l’inclusione in essa di tutti gli italiani al di là delle divisioni e degli schieramenti partitici?), mi permetto di dire che considero che abbia esternato un sentimento fin troppo benevolo. Sul contesto odierno,  presenteremo le nostre valutazioni più dirette. Per intanto, sicura precisa riteniamo l’analisi di Mino Mini – Domenico Cambareri

Superare i  totalitarismi

 

RISALIRE DAL FONDO

 

 

      

Non sono mancate, anche dopo quest’ultima tornata elettorale europea, i pianti delle prefiche che hanno lamentato il declino della destra, intendendo la regressione di quella  “centrodestrista” liberale impersonata da Berlusconi, e la fine di quella neofascista difficilmente rintracciabile nella generosa compagine di Fratelli d’Italia. Quest’ultima, peraltro, gratificata da un accrescimento notevole di consensi.
 
Se della regressione “centrodestrista” non ci importa, sentimentalmente ed intellettualmente, granchè, di quella neofascista ci preoccupa l’accanimento terapeutico di esponenti della galassia di gruppuscoli nella quale si è frantumato un mondo generoso fatto di tanto amore, tanto coraggio fino al sacrificio supremo, tanta passione e – perché no – tanta fede. Accanimento terapeutico volto a  risuscitare alla vita un “partito” – o movimento – purtroppo morto da tempo. Il dolore, la pena, fanno velo alla visione della realtà: il neofascismo,   era destinato alla scomparsa sin dal momento in cui vi fu l’integrazione in A.N. e nel mondo politico attuale <<etero diretto e politicamente svuotato>>.
 
Divenuto un partito accettato perché identitariamente uguale agli altri, venne meno la ragione fondante che, già dal secondo decennio del secolo scorso, lo animava:   il superamento del mondo borghese e di quello rivoluzionario marxista. Due facce di un unico fenomeno totalitario identificabile nel dominio tecno-finanziario.
 
Voler ricostituire la destra – qualunque cosa significhi in queste  condizioni – per recuperare i voti perduti, significa tentare di mantenersi nel  sistema corrente articolato per  consolidare il vero potere. Quel potere  al quale si sono assoggettati sia le sinistre che le destre liberali e “non lib”.
Le prime perché, come ha rilevato il filosofo marxista Diego Fusaro, hanno rinunciato alle loro radici spostandosi su una dimensione <<ultra capitalista>> assecondando, con il silenzio, le derive sociali imposte dal capitalismo. Hanno sostituito <<la nobile lotta per i diritti sociali dei lavoratori e degli oppressi con la lotta per i diritti civili. […]portando al tragico paradosso  di certi partiti per i quali il diritto ai matrimoni gay diventa più importante della lotta per i diritti sociali e per i diritti dei lavoratori.>> (Cerca su <<Youtube>> del 5 aprile 2014).
Le destre  perché hanno messo da parte la bioetica, la famiglia, i valori tradizionali, la sovranità e, in ultima  analisi,la libertà. Basta, allora, con l’accanimento terapeutico; stacchiamo la spina !
         
Che fare, allora, quale destino si prospetta per quel popolo che ha creduto di dover mantenere viva la fiamma di quella “nuova civiltà” che fu la cifra delle realizzazioni del fascismo e brancola, oggi, nell’incertezza?
Ad avviso di chi scrive non c’è che una strada : superare tutto questo  fronteggiando, non solo il totalitarismo tecno-finanziario, ma la crisi del pensiero che  genera l’insuccesso e l’inanità di ogni lotta politica, anche la più generosa.  
Dobbiamo,allora, andare alla radice di quel fenomeno totalitario di cui abbiamo detto e di tutti gli altri totalitarismi che caratterizzano la  MODERNITA’.
Dove nasce il totalitarismo? Nasce dalla ” Madre di tutte le rivoluzioni” ovvero dalla sostituzione del mondo reale con un mondo virtuale governato non da leggi divine o naturali, ma da “leggi” formulate dall’uomo    – la cosiddetta “ragione” – mediante << postulazioni definizioni e costruzioni>> (G.B. Vico) del tutto autoreferenziali.
Vediamone storicamente il processo:  assumendo il principio di << non riconoscere, al di fuori dell’individuo e della sua “ragione”, alcun tipo di principio superiore>> l’uomo, mediante il metodo scientifico, esaminò il mondo e ne elaborò le leggi di funzionamento non secondo  la realtà, ma – come abbiamo detto –  secondo una logica autoreferenziale. A questo scopo, però, dovette formarsi una propria visione del mondo ed a questo, nel 1628, ci pensò  Cartesio (René Descartes) con l’invenzione del mondo-macchina facilmente “smontabile” nelle sue parti componenti mediante l’analisi.
Il metodo analitico consisteva nel dividere in pezzi (parti) i fenomeni complessi per comprenderne il comportamento a partire dalla proprietà delle loro parti. Basava la sua concezione della natura sulla separazione fondamentale di due sfere distinte e indipendenti: la sfera dello spirito e quella della materia (Res cogitans e res extensa). L’universo materiale, inclusi gli esseri viventi, venne concepito, appunto, come una macchina che in linea di principio poteva essere compresa completamente analizzandola nei termini dei suoi componenti più piccoli.
Dalla postulazione di Cartesio scaturirono dei corollari fondamentali: – esiste tutto ciò che può essere pensato intermini razionali autoreferenziali; tutto ciò che esiste, grazie all’essere pensato e quindi conoscibile, deve essere razionale; per essere razionale, deve potersi matematizzare e quindi misurare mediante l’analisi matematica. Fu la rottura dell’equilibrio rinascimentale tra uomo e natura caratterizzata dalla perdita dell’organicità, ovvero dalla dissociazione, operata dal pensiero, dell’unità dell’esistenza e della conoscenza in tanti aspetti settoriali ciascuno informato (formato all’interno)  da una propria disciplina, una propria economia settoriale, una propria tecnica autoreferenziali. Ogni aspetto settoriale, in obbedienza al primo dei corollari su enunciati, nel suo dispiegarsi senza quei vincoli che l’organicità imponeva per mantenere l’unità dell’esistenza, mirò (e lo fa tutt’ora), tramite la propria tecnica, alla inflazione indiscriminata dei suoi prodotti nella pretesa di raggiungere l’assoluto e divenire totalità.
Ecco la matrice di ogni vero totalitarismo, sia esso logico (lo scientismo e il positivismo), economico-tecnico (la dittatura della finanza e dell’usura), etico-politico (nazismo, comunismo, liberismo e tutti gli “ismi” in genere), estetico (tutti gli “ismi”).
 
Dalla concezione meccanicista derivarono e derivano diverse conseguenze. Ne elenchiamo alcune: – Con la perdita dell’organicità, ovvero delle relazioni che connettono internamente i fenomeni e questi con il mondo, discese l’incapacità, una volta “smontata” la realtà, di rimontarla dopo l’analisi a causa dell’accrescimento autonomo subito dalle singole parti o discipline; altra conseguenza fu la sindrome dell’apprendista stregone ( “giocare a fare Dio”) che scinde senza freno la realtà in discipline settoriali fino all’inflazione, ma senza che esista lo “stregone” capace di rimontare ciò che è stato sconnesso; altra conseguenza fu la regressione dell’uomo – macchina pensante “smontata” fino all’elementarità – ridotto ad un essere uniforme senza identità passando, così, dal rinascimentale individuo al moderno individualista.
         
Anche il fascismo venne dalla modernità ma, essendo italiano e quindi permeato da una visione organica dell’esistenza, intuita più che posseduta intellettualmente, non cadde nel totalitarismo tipico, soprattutto, del mondo protestante di cui abbiamo riportato il principio << di non riconoscere, al di fuori dell’individuo e della sua “ragione”, alcun tipo di principio superiore>>.
Non c’era la volontà di cambiare il mondo distruggendo le radici di quello che c’era prima come, da cinque secoli in polemica con la Chiesa di Roma tenta, ancora,  di fare la Riforma Protestante e tutte quelle forze che a lei si sono unite per realizzare, ad ogni costo,una “società perfetta” senza religioni e confini.  Al contrario: in tutte le sue realizzazioni – specialmente nella realizzazione dell’ “idea di città” come nuova fase della civiltà – si richiamò al mito della nuova Roma e alla formazione dell’ “uomo nuovo” ( obiettivo principe dei totalitarismi della modernità ), come il “Romano della modernità” emulo del romano antico. 
Ma era una visione immatura proprio perché nata dentro una  modernità di cui non erano chiari, allora, i limiti di pericolosità e le potenzialità di disfacimento dei valori dell’esistenza.
Sta proprio  qui il campo d’azione – o se si preferisce il campo di battaglia – entro il quale il popolo disperso che si rifà al fascismo dovrà operare se vuole far maturare l’idea di una “nuova fase di civiltà”:  superare la modernità. E’, in primo luogo, una battaglia dell’intelletto perché superare non significa distruggere ciò che la modernità ha realizzato, ma andare oltre verso una superiore sintesi che riconduca all’unità tutte le visioni settoriali derivate dalla fallace visione meccanicista del mondo sfociate, come logica conseguenza, nel totalitarismo. Primo fra tutti quello tecno-finanziario con la sua visione di un Nuovo Ordine Mondiale.