Fra ieri e oggi. Islam, nordafricani e arabi. L’ignoranza storica e la grandezza italica

27 Gennaio 2014

Filippo Giannini

Nota di Domenico Cambareri

Ripubblicato: 09 Maggio 2024

Filippo Giannini continua a mettere il dito sulle piaghe della storia italiana dal primo ‘900 ad oggi. Spesso, volutamente o meno, le sue ricostruzioni storiche assumono il ruolo di ineludibili raffronti – per quanto difficili e talora anche fondatamente poco proponibili -, giacché le variabili storiche che entrano in gioco sono molteplici e di rilevante peso.
Il valore culturale ed etico di questi raffronti però non viene meno, giacché essi irrompono  sia dalla nuda lettura degli avvenimenti storici depurata dall’esaltazione della stampa fascista e liberata dalla distorsione ottica, contenutistica e storica operata dalle lenti della speculazione ideologica “antifascista” nostrana, soprattutto, e anglo-franco-americana; sia dalla ricerca degli studiosi che non desiderano asservire il loro lavoro ai “padroni del vapore” di turno e ridursi ad abietti scherani.
Questa distorsione è il risultato di un metodo antico e sempre valido che si basa sull’ implacabile applicazione della damnatio memoriae e nella più radicale alterazione di quanto eventualmente può sopravvivere e riaffiorare.
Tuttavia, per fortuna, le barriere frapposte al decorso delle acque della storia nel corso del tempo si consumano e prima o poi quasi sempre cedono.
La letteratura storica italiana ed europea su questi temi ha fatto notevoli progressi a far data dalle grandi ricerche condotte e dalle opere pubblicate da Renzo De Felice tra gli anni ’70 – ’80. In questo caso, basti ricordar proprio il pregevolissimo volume sulla storia della politica estera dell’Italia fascista. Pur tuttavia, l’indefesso e stolido  principio del filtro della molto operosa damnatio memoriae, non ha mai battuto la fiacca ed ha sistematicamente intercettato e isolato le opere storiche di tal fatta.      
Per intanto, abbiamo qui la risposta alla domanda posta dallo stesso Giannini sul perché Rai Storia non tratta o offre precise curvature a certi argomenti, come quello su cui oggi scrive Giannini e su cui tante volte abbiamo posto la nostra attenzione nel corso degli anni: esso è culturalmente ignorato perché è ancora ideologicamente proibito.
Sarebbe uno di quei temi e una di quelle conoscenze che farebbe saltare per aria parecchi scenari precostituiti e parecchi palinsesti dei “liberatori “ stranieri e di chi in Italia ha messo l’unica ipoteca che poteva mettere per giocare un ruolo di sistematico ricatto e condizionamento: il PCI e la sua egemonia resistenzialista, di cui la cricca dei suoi putrescenti epigoni è indiscussa custode, a pro del potere di casta, di “cultura” e di ricchezza che esercitano. A danno degli italiani nel settantennale sbeffeggiamento delle masse proletarie e della veracità degli accadimenti storici. Lo dimostrano le sue strenue lotte all’interno del PD odierno contro il riformismo dei giovani renziani che stanno tentando in tutti i modi di sradicarli dalle famule baronie parlamentari e dalle innumeri e invisibili nicchie dorate di cui sono rapaci e silenti fruitori,
In ultimo, questo articolo dimostra il grado di enorme ignoranza in cui vivono quasi tutti gli italiani il cui cervello e la cui anima sono stati simultaneamente americanizzati e comunistizzati; ignoranza in specie di quanti si richiamano nostalgicamente e anche storicamente – ma nella più plateale e scriteriata superficialità – al ventennio fascista. Essi oggi costituiscono un sottoprodotto estremamente ibrido, assolutamente incapace di cercare e determinare origini, cause, inter relazioni. Ibrido assolutamente incapace di rompere gli schematismi infondati, fraudolenti e criminali realizzati da chi muove dietro le quinte gli obiettivi della “diplomazia” statunitense e del codazzo degli utili idioti degli europei, veri maestri in fatto di masochismo e di autolesionismo. E che scatena i senza cervello fautori dell’attacco dell’ “Islam” (?!) all’Europa.
I guerrafondai neo-con che controllano la macchina del potere USA hanno circondato l’Europa di aree non più instabili ma in piena disintegrazione e distrutto i regimi arabi più occidentalizzati e soprattutto fomentato, aizzato, istigato la fanatica reazione degli esclusivisti finanziati da circoli arabi e omaniti in reciproca concorrenza: due Paesi legati a filo doppio a USA, Regno Unito e Francia. Non è strano a dirsi: il gioco dei guerrafondai neo-con viene a coincidere perfettamente con gli interessi sionisti.
Anche parte dell’Africa trans e subsahariana è stata trasformata in un inferno in cui le milizie “islamiche” massacrano centinaia di cristiani ma innanzitutto islamici a mai finire. A chi giova tutto ciò?
Fra tutta questa folla di individui nostrani, sono da rimarcare non solo i guitti e gli arrivisti di una “destra sociale” acefala e priva di coscienza storica quanto anche e in misura oggi rilevante i carnascialeschi funamboli dei terun de l’osti, il vero concentrato altamente tossico di inconcludente e corrosiva demagogia dei lumbard e veneti della Lega. Con l’insalvabile Salvini in testa, degno erede del farneticante Bossi. 
Ecco, dunque, i modi e le direzioni in cui e con cui Mussolini e il governo fascista persuadevano, trascinavano ed elettrizzavano gli italiani e sensibilizzavano e convincevano settori importanti e di variegate collocazioni politiche della stampa e dell’opinione pubblica internazionale che seguiva le linee di volta innovative e rivoluzionarie delle feconde imprese del regime italiano. Regime che in quegli anni rappresentò l’apice del rinato umanesimo e il punto di forza della rinata romanità. Al di sopra e contro gli schemi sub zoologici degli aspetti farneticanti del nazionalsocialismo che da lì a poco avrebbero appestato e corroso l’azione dell’Asse, avrebbero prestato il fianco al perdurante ricatto sionista dell’Europa – l’unico vero vincitore assieme all’oligopolio dei trust -, e attuato stragi la cui difficilmente calcolabile misura serve egregiamente anche a calare l’inaccettabile coltre del silenzio sugli stermini comunisti avvenuti per tanti lunghi decenni negli illimitati spazi delle lande euroasiatiche .
 
 
** Gli articoli di Mino Mini e di Filippo Giannini rappresentano per me spesso propizie e feraci occasioni per potere scrivere interventi e puntualizzazioni in note su cui altrimenti non avrei la possibilità di scrivere in maniera più organica e compiuta. Essi pertanto li considero vere e proprie estrinsecazioni del mio pensiero e delle mie posizioni, perché emerse ed espresse in situazioni del tutto specifiche e perciò presentate in forma condensata se non del tutto accennata.
L’inarrestabile decorso del tempo e le molteplici situazioni che oggettivamente condizionano le mie contenute possibilità di realizzare quanto avrei intenzione e esigenza di fare, mi costringono a non attuare sempre tutto ciò, per cui ai lettori capita di vedere non adempiuta più di qualche promessa di tornare a trattare un argomento o di completarlo con successivi articoli. Mi riprometto però con la dovuta fermezza di scrivere sia un ulteriore articolo sulla politica estera e di difesa, sia la seconda parte di quello sui “disastri euro-americani” relativa questa al teatro europeo, sia la seconda parte della mia risposta a Mino Mini a proposito di storia e di concezioni di filosofia della storia. Nei prossimi giorni spero di poter pubblicare quello che irrompe dal discorso dell’ (ex) presidente della Repubblica del 31 dicembre: << L’antifascismo bugiardo e becero è morto e nessuno se n’è accorto >> e << Oltre la partitocrazia. Giochiamo a carte scoperte. Riforma della Costituzione, partiti e sindacati >>. Tutto questo e quanto ancora verrà sta in buona parte sotto questo architrave che guarda all’avvenire dell’Europa ma che vuole concretare ciò con la stabilità di fondamenta sicure: << Per il nostro futuro, riappropriamoci del nostro passato migliore >>. Domenico Cambareri

                                                                                                                             

 

Anche questo nostro intervento per smentire le fandonie di RAIBUFALA

QUANDO GLI ISLAMICI NON SPARAVANO AGLI ITALIANI, TUTT’ALTRO: ESSI LI AMAVANO

   Agli inizi degli anni Trenta, fu concepita una apertura fra il Governo di Roma e i Paesi arabi. Tra il 1930 e il 1936 Roma cercò di accentuare la sua azione culturale ed economica nel Medio Oriente e nell’area arabo-islamica in generale. I basa sulla damnatio memoriae
Nel 1930, fu concepita la Fiera del Levante di Bari. Convegni furono organizzati dai Gruppi Universitari Fascisti nel 1933 e nel 1934 allo scopo di far incontrare a Roma gli studenti islamici. Radio Bari iniziò a trasmettere in lingua araba notiziari e programmi culturali.
Tutto ciò mirava ad una penetrazione pacifica politica-culturale nel mondo arabo. Si diede anche maggior impulso agli studi arabi e a quelli sull’islamologia. L’impulso era orientato principalmente verso il mondo giovanile arabo che rispose creando affiliazioni fra le quali il Partito Giovane Egitto (Hisb al Folà) di Ahmad Hussayn e le Falangi Libanesi (al-Kadr al Lubnòniyya), e le Camicie Azzurre (al-Qumsàn az Zarqǎ), organizzazioni egiziane che si ispiravano, anche se vagamente, al Fascismo.
Per conferire maggior impulso a questa politica, dal 12 al 21 marzo 1937 il Duce si recò in Libia dove, fra l’altro inaugurò la grande strada litoranea, detta Baldia, opera gigantesca che si estendeva dai confini della Tripolitania a quello della Cirenaica con l’Egitto con un percorso di 1882 chilometri. Tempo impiegato: un anno. Egli quindi naugurò, quindi la Fiera di Tripoli. Pose la prima pietra per la costruzione di un sanatorio e per una scuola elementare.
<< Quando il Duce appare a cavallo sulla più alta duna, esplose il triplice grido “Ulad!” I cavalieri prescelti offrono al Duce la spada lampeggiante dell’Islam in oro massiccio intarsiato (…) Il Duce snuda la spada e l’alza fieramente puntata verso il sole, lanciando a voce altissima il grido “Ulad!” (…). Il Duce lascia la duna e si avvia verso Tripoli, seguito da duemila cavalieri galoppanti >> (Il Popolo d’Italia, 19/3/1937).
   La Spada dell’Islam, in oro massiccio, finemente cesellata dagli artigiani berberi, assumeva un notevole valore simbolico e venne consegnata al Duce da uno dei capi berberi, Lusuf Kerbisc. Essa era il riconoscimento, la presa d’atto di una sostanziale, rilevante e importante parte del mondo islamico della politica filo-araba del governo italiano. Il viaggio in Libia fu programmato in previsione di un piano quinquennale per l’insediamento di 53 mila coloni in Tripolitania.
Negli anni 1938-39, in due riprese, sbarcarono in terra d’Africa 20 mila coloni veneti scelti fra i non proprietari di terra e trasportati nei nuovi villaggi. Ad essi vennero assegnate case coloniche con apprezzamento di terreno: ogni casaera fornita da pozzi artesiani con quanto necessario per il pompaggio di acqua potabile. Ogni giorno, automezzi dell’Ente Nazionale della Libia riforniva le famiglie di quanto necessario per vivere, nonché di attrezzi e sementi per trasformare quelle terre aride in verdi lande ricche di piante.
La stessa assistenza veniva fornita anche ai libici, i cui possedimenti furono inseriti fra quelli dei coloni italiani affinché apprendessero le tecniche più moderne per il migliore sfruttamento del suolo. Così in quegli anni mai si dovette assistere a carrette del mare che, come in questi periodi, trasportano disperati che navigano verso l’Europa e che tanti morti hanno causato.
E tu, caro lettore, non ti chiedi perché RaiBufata, e i suoi storici, mai trattano anche questo argomento?
   A Tripoli e Bengasi vi erano due ospedali, di moderna concezione, dove potevano accedere – al contrario di quanto accadeva al di fuori delle nostre colonie – anche cittadini autoctoni. Le stazioni dei carabinieri erano composte anche da militari indigeni perché, come vedremo più avanti, considerati Italiani della Quarta Sponda. La criminalità era inesistente.
   Per ritornare al viaggio del Duce in Libia, è interessante ricordare alcune tappe. Mussolini, visita la piccola città di Sirte dove << la popolazione indigena adunata intorno ai vessilli dell’Islam, lo accoglie con fervide dimostrazioni di fedeltà e di entusiasmo; il Duce, che traversa la città in piedi sull’automobile risponde con il saluto romano alle intense acclamazioni della folla >>.Quindi si sposta a Tauroga, poi a Misurata, dove ispeziona i lavori di bonifica e di irrigazione; quindi si porta a Bir Tumina, ove scaturisce acqua da un pozzo artesiano, capace di irrigare tremila ettari di terreno. Quindi è la volta di Tripoli, ove giunto al tramont,o scende dalla macchina, monta a cavallo e, alla testa di duemilaseicento cavalieri entra in città. Il giorno dopo, in occasione dell’inaugurazione della Fiera di Tripoli, loda il lavoro compiuto in poco meno di un decennio: < < le città si sono trasformate e abbellite e nelle campagne i forti rurali italiani svegliano, col vomero temprato, una terra che dormiva da secoli >>.
   Prima di rientrare in Patria, affermò: << Nei Paesi della cosiddetta democrazia, questo continuo allarmismo nevrotico, questa seminaggione di panico e sospetto non serve certamente alla causa della pace, perché turba profondamente l’atmosfera fra i popoli. Entro il Mediterraneo e fuori noi desideriamo di vivere in pace con tutti e offriamo la nostra collaborazione a coloro che manifestino un’identica volontà >>.
Ricordiamo che questo discorso fu tenuto nel pieno ella guerra civile spagnola, quando tutto il mondo era schierato contro il nostro Paese.
   Appena rientrato, il 18 marzo, Mussolini concesse un’intervista al giornalista Ward Price del Daily Mail, e così espresse il suo pensiero in merito ad una paventata guerra europea: << Anche soltanto dal punto di vista pratico del profitto e delle perdite, nulla potrei guadagnare da una guerra europea, mentre esporrei l’Italia a un terribile rischio >>. Alla domanda di Price se << fosse pronto a dichiarare che l’Italia è ora interamente soddisfatta >> il Duce così rispose: << Sì, dichiaro che dal punto di vista coloniale l’Italia è soddisfatta. L’Etiopia è un territorio immenso, colmo di enormi possibilità. Lo sviluppo di questo richiede tempo, energia e capitali ed è ragionevole che l’Italia desideri cooperare con le nazioni europee che hanno colonie in Africa, continente che rappresenta il complemento dell’Europa ed è necessario ai suoi interessi economici >>.
   Proprio in quei giorni si verificherà un avvenimento unico nella storia e che, da solo, dovrebbe vanificare le bufale raccontate da soggettini come RaiBufala, sempre se si raccontasse la STORIA. Ecco i fatti:
NELLA 179° RIUNIONE DEL “GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO” TENUTASI IL 26 OTTOBRE 1938, ESAMINANDO LA POSIZIONE DELLA LIBIA, RELATORE ITALO BALBO, VENNE APPROVATA UNA MOZIONE CHE STABILISCE “CHE LE QUATTRO PROVINCE DELLA LIBIA ENTRANO A FAR PARTE DEL TERRITORIO NAZIONALE”
Questo provvedimento non è che l’estensione del R.D.Legge 3 dicembre 1934 XIII N° 2012 e del R.D. 8 aprile 1937 XV N° 431, nel quale l’articolo 4 riconosce: << una cittadinanza italiana speciale per i nativi musulmani delle quattro province libiche che fanno parte integrante del Regno d’Italia >>. Con questa legge i libici divennero gli ITALIANI DELLA QUARTA SPONDA.
   Un decreto veramente rivoluzionario: mai nulla di simile era stato realizzato da alcun Paese coloniale. Ma questo determinò un ulteriore motivo di attrito con Londra e Parigi, che mal sopportavano qualsiasi mutamento allo status quo che considerava le colonie delle semplici terre di sfruttamento e gli autoctoni degli schiavi.
   Anche e sottolineo anche in questo caso la soluzione si trova ispirandosi alla politica del mai sufficientemente deprecato ventennio. La dissennata politica dell’accoglienza è un danno per noi europei e per coloro che fuggono dall’inferno. C’è un solo modo di risolvere il problema: portare la civiltà europea e la capacità di lavoro sul posto: in Africa. All’incirca come si fece nell’infame periodo. Che sempre sia benedetto.