Deutsch-Römer. Solarità mediterranea, divina dimora e nostalgia dall’esilo in Sigmund Lipinsky

03 Febbraio 2015

Mino Mini

 

SIGMUND LIPINSKY

L’ultimo Deutsch-Römer

Il termine Deutsch-Römer – letteralmente tedeschi romani – si riferisce a quegli artisti tedeschi – pittori, scultori, letterati, archeologi , antiquari – che,nell’arco di duecento anni, innamorati del mito dell’Italia e di Roma, vennero a vivere e lavorare nella città eterna. Alcuni scelsero anche di morirvi e venirvi sepolti.
Il mito dell’Italia e di Roma nasce con l’arrivo, nel 1741, del pittore, storico e critico d’arte, Anton Raphael Mengs, massimo esponente internazionale del neoclassicismo che visse a Roma 38 anni e ivi morì nel 1779. Fu amico di Johann Joachim Winckelmann, altro Deutsch-Römer, Prefetto alle Antichità di Roma e massimo studioso di storia dell’arte che elevò al rango di disciplina scientifica e, per estensione, di storia della civiltà. Con loro si andò formando quel mito in cui si incarnava la nostalgia tedesca per la perfetta totalità dell’individuo rintracciata in modo praticamente esclusivo nell’antichità classica. Da allora fu questo il “filo rosso” che rimase tessuto nella trama temporale dei Deutsch-Römer e che caratterizzò la visione nordica di Roma e dell’Italia come l’Arkadische Träumerei, il sogno mediterraneo dell’Arcadia felice, fino alla nostalgica conclusione avvertita da Sigmund Lipinsky cinque anni prima della sua morte.
Per due secoli i Deutsch-Römer si identificarono, romanticamente, nella traduzione letterale   in lingua tedesca che Goethe dette dell’iscrizione che Nicolas Poussin mise a titolo del suo celebre dipinto Et in Arcadia ego ( Auch ich in Arkadien ) durante una reminiscenza del viaggio che fece in Italia nel1786 e che rese poeticamente con i celebri versi:
Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn
Im dunkeln Laub die Gold-Orangen glühn
“Conosci tu la terra dove i limoni fioriscono / fra le foglie scure gli aranci dorati rilucono….”
Molti furono i nomi di spicco che vissero la condizione di Deutsch-Römer ed oggi sono ingiustamente dimenticati. Solo pochi di questi sono ricordati dall’attuale regime culturale che evita la citazione dei loro nomi sinanco nelle diverse enciclopedie dell’arte. Tra questi i pittori Jacob Philipp Hackert (1737-1807) e Johann Christian Reinhart (1761-1847) Tra i primi annoveriamo anche Joseph Koch (1795), pittore e incisore su rame di Vedute Romane nonno di Gaetano Koch architetto del palazzo della Banca d’Italia, del palazzo Margherita attuale ambasciata U.S.A. e della palazzata di p.za Esedra.
Il periodo che più ci interessa della storia dei Deutsch-Römer, però, è quello della generazione di artisti nati nell’Ottocento e vissuti nella temperie dell’irrazionalismo romantico sfociato, in campo estetico, nel Simbolismo e nelle dissociazioni successive. I primi di questi sono Arnold Böcklin, il più celebre a livello internazionale, Anselm Feuerbach, Hans von Marées e il suo compagno lo scultore Adolf von Hildebrand che incarnarono in chiave diversa il motto pousseniano: L’Italia [ ovvero l’Arcadia] è in noi stessi. Avevano la propria sede, dapprima nella Villa Malta sul Pincio messa a loro disposizione da Luigi I° di Baviera e poi negli studi di Villa Strohl-Fern.
Era il periodo in cui le grandi costruzioni filosofiche nate dal culto della “ragione” pretendevano di dare una sistemazione coerente, “razionale”, scientifica del mondo conosciuto entro un quadro concettuale astratto forzando la realtà ad adeguarsi allo stesso. Alla distruzione conseguente di tutti i valori che avevano tenuto insieme la concezione del mondo si contrapponeva nobilmente l’irrazionalismo romantico che richiamava la concretezza della vita e dello spirito per riconquistare l’unità dell’esistenza e la capacità, in atto, di continuare la costruzione del mondo. Da qui la nascita del Simbolismo che di questa unità dell’esistenza doveva, intenzionalmente, individuare esteticamente la forma attraverso l’ambigua modalità del simbolo. Ambiguità che see, dopo la iniziale stagione delle Secessioni – tipico fenomeno del Simbolismo – permise la confluenza nel movimento dello sperimentalismo delle cosiddette avanguardie: Espressionismo, Astrattismo, Futurismo, Cubismo, Dadaismo, Surrealismo.
Parafrasando una celebre metafora di Martin Heidegger possiamo configurare lo sperimentalismo delle avanguardie come un insieme di percorsi interni alla selva di interpretazioni del Simbolismo e, visto l’esito inconcludente a cui andarono incontro, potremmo chiamarli – appunto – percorsi interrotti. In ragione di ciò e con il senno del poi possiamo definire il Simbolismo e l’irrazionalismo, (M.Tarchi permettendo) dei “miti incapacitanti” . Infatti nonostante l’impegno militante di rottura nei confronti del passato, nonostante la futurista << dichiarazione di guerra al mondo >> per la liberazione dal giogo della tradizione e la elaborazione di nuove forme d’arte per i tempi moderni, l’insieme dei percorsi interrotti non ha portato alla formulazione di un nuovo linguaggio unitario espressivo di valori in grado di riprendere la “costruzione del mondo”.
Tuttavia i quattro Deutsch-Römer – A. Böcklin, A. Feuerbach, H. Marées, A. von Hildebrand – come anche gli altri che seguirono, rimasero estranei a tale sperimentalismo avanguardista avviando invece, con Böcklin, una “via tedesco-romana” al Simbolismo facendo ricorso ad una interpretazione fantastica ed iconoclasta della mitologia.
Seguendo il “filo rosso” dell’Arkadische Träumerei e sulla stessa via di A. Böcklin, riconosciuto maestro ed amico, si pose un altro famoso artista di fama internazionale e, per breve tempo, anch’egli un deutsch-römer   : Max Klinger. Grande maestro dell’incisione su rame nelle sue varie forme , si dedicò alla interpretazione della mitologia delle Metamorfosi di Ovidio. L’influenza di Klinger sui Deutsch-Römer, nonostante la brevità del suo soggiorno a Roma, fu determinante. L’artista che più di ogni altro si avvicinò alla sua arte fu Otto Greiner, il Fauno biondo come lo definisce Emanuele Bardazzi nella biografia a lui dedicata rammentando la rappresentazione del genio dell’Arte nella quale Greiner rappresentò se stesso <<con in mano la tavolozza, col corpo seminudo, atletico e spavaldo, le braccia aperte e il volto ridente dall’aria faunesca>>  (Emanuele Bardazzi – Il fauno biondo ).
La figura di Otto Greiner ci introduce alla conoscenza di Sigmund Lipinsky di cui fu grande amico e, attraverso lo stesso, al gruppo degli ultimi Deutsch-Römer : la svedese Tyra Kleen allieva di Klinger, nonché Adolf Hirémy-Hirschl e Max Roeder che condivisero con lui l’esperienza espositiva del GRIA (Gruppo Romano Incisori Artisti). Gli studi di Villa Strohl-Fern che li ospitavano erano anche la meta degli artisti che vivendo, come Karl Stauffer-Bern o Sasha Schneider, in altre parti d’Italia sentivano Roma “arcadicamente” come terra di elezione. La Kleen   parlava a quel tempo di una << migrazione di scandinavi pellegrini della bellezza>>.
Sigmund Lipinsky, l’ultimo dei Deutsch-Römer, come riferisce il suo biografo Emanuele Bardazzi ( Sigmund Lipinsky -Dario Wolf ), viene a Roma nel 1902 grazie alla vincita del Gran Premio di Stato per un soggiorno triennale e si stabilisce a Villa Strohl-Fern, fuori Porta del Popolo, in uno degli studi presi in affitto dal governo prussiano per gli allievi borsisti. Accolto dall’ambiente artistico dei tedeschi a Roma ne diverrà il principale esponente, poi anche bibliotecario e direttore del loro circolo ubicato a Palazzo Serlupi in via del Seminario. Nel 1905 alla fine del pensionato sceglie di rimanere a Roma stabilendosi con la moglie in via Margutta dove tiene, fino al 1914 una scuola di pittura e disegno e partecipa alle Secessioni di Monaco, Vienna e Berlino e alle mostre romane della Società Amatori e Cultori a partire dal 1908. Trascorre le estati nella natura ancora selvaggia di Terracina come altri Deutsch-Römer per i quali << Il lido tirrenico era vissuto come l’antica dimora degli dei, l’Italia una terra idealizzata ed eletta dove si immaginava di poter vivere senza più rapporti con la storia, l’antidoto alla transitorietà della vita, lo slancio illusorio di fermare in quell’ambiente naturale l’inafferrabilità del tempo>>. (Emanuele Bardazzi – Il fauno biondo ).
E’ proprio ai margini delle Paludi Pontine, definite da Goethe   << l’angolo più selvaggio e affascinante d’Europa >>, che Lipinsky trova il proprio ubi consistam, il personale appoggio, per ricreare quell’ Arkadische Träumerei che gli altri Deutsche-Römer ricercavano simbolicamente nella mitologia disegnando,incidendo, dipingendo egipan marini, fauni e ninfe. Nell’antica dimora pontina degli dei ancora intatta – le selve di Terracina, del Circeo e i tumuleti della duna litoranea – individua   nei butteri e nelle donne dall’incedere regale il tipo antropologico della classicità ancora esistente e quindi reale. Come tale è concretamente rilevabile proporzionalmente, come fecero in antico gli artisti greci, e pertanto ricreabile a volontà realisticamente ambientato nel suo habitat naturale.
Sollecitato da Klinger e Greiner ad esprimersi mediante l’incisione su rame esce nel 1911 con Pandora, dall’ambiguo significato simbolico, ” interpretata” da una giovane modella pontina ambientata sulla duna litoranea laziale. Segue, un anno dopo,la bellissima Calma marina dove, sullo sfondo del Circeo, una armoniosa composizione di giovani donne sulla spiaggia di Terracina sembra in attesa di un evento misterioso (il ratto d’Europa). Ancora nel 1914 l’ultimo omaggio alla mitologia nella composizione delle tre Parche dove l’arte incisoria di Lipinsky si esprime con un livello di virtuosismo che richiama i suoi modelli dichiarati: Mantegna e Dürer. Sopraggiunge la guerra ed il forzato rientro in Germania con << l’esilio lontano dal sole >>. Quando rientra finalmente a Roma, alterna le sue estati tra il litorale di Terracina e Capri che diverrà l’ambientazione del ciclo dell’Odissea. Un’opera che la crisi economica del 1929 renderà impossibile realizzare e si fermerà ad otto tavole delle trenta programmate. L’ultimo omaggio al suo ambiente ideale primigenio sarà Sponda latina dove butteri nudi si lanciano in una una cavalcata “a pelo” lungo l’amata spiaggia latina per far asciugare i corsieri.
Il tempo che passa porta un cambiamento radicale nell’ambiente edenico che aveva costituito l’ubi consistam per l’evoluzione artistica dell’ultimo dei Deutsche-Römer. Con la bonifica integrale le selve vengono disboscate le paludi vengono prosciugate, un nuovo tipo antropologico sostituisce i precedenti abitanti e l’Arkadische Träumerei si dissolve come un sogno all’alba. Lo sperimentalismo nel mondo dell’arte ha, nel frattempo, distrutto i valori della tradizione e della bellezza e Lipinsky, ormai caprese, va con il ricordo ai tempi delle spiagge del litorale fra Terracina ed il Circeo ormai irriconoscibili, ai silenzi meridiani interrotti dal grido di incitazione dei butteri a cavallo; risente il vento caldo, aulente di sentori silvestri e di salmastro e si fa irretire dalla nostalgia della bellezza. E’ il 1935 . Ricorre allora al simbolo per recuperare il tempo passato. Sostituisce le modelle pontine, ormai scomparse,con la giovane figlia ed una sua amica le ambienta in una realtà esterna ancora viva nel ricordo, alita su di loro un vento profumato e compone la sua ultima opera animandola della sua stessa sostanza. La battezza Nostalgia.