La Costituzione e la sua tragica e irreversibile crisi. Alla Basso: i partiti fuori dalla Carta?

16 Maggio 2015

Fonte: Fondazione Basso

Nota di Domenico Cambareri

 

 

 

 

 

 

La Costituzione e la sua tragica e irreversibile crisi davanti all’egemonia partitocratica

 

 

E’ da tanto tempo che scriviamo sottolineando il fatto che il disposto 40 della Costituzione dimostri in maniera lapalissiana le gravissime inadempienze consumate e giammai sanate da parte del potere legislativo per la sua mancata attuazione. Alla diretta responsabilità del vulnus arrecato alla Costituzione non possono essere sottratti quanti hanno fino ad oggi ricoperto la massima carica di garanti della Costituzione, i presidenti della Repubblica; e, non di meno, i presidenti del Consiglio dei ministri e i governi per non avere sollecitato e direttamente proposto alle camere di adempiere finalmente al dovere costituzionale, sino ad oggi in modo lucido e inaudito pretermesso. Come sappiamo, questa codificata omissione ha determinato la consumazione di guasti e inefficienze e ingiustizie senza fine che la nostra società ha pagato e continua a pagare con costi così elevati da essere difficilmente stimabili.

In verità, in modo non corretto ma chiaramente giustificato dalle nostre esplicite, chiare e valide finalità, a ciò abbiamo sempre associato anche l’articolo 39 relativo ai partiti. Infatti, abbiamo attribuito anche a questo articolo lo stesso contenuto del successivo riferito ai sindacati, in modo tale da  indicare esplicitamente che la via da seguire allora e anche oggi sarebbe stata e sarebbe quella di attribuire ai partiti  doveri non dissimili dai sindacati (ad iniziare dalla personalità giuridica), ma non gli stessi compiti.

In alternativa, e cioè seguendo la reale formulazione dell’articolo costituzionale, si sarebbe dovuto provvedere a promulgare una legge attuativa in grado di sottoporre la vita e l’attività dei partiti a una chiara regolamentazione, senza lasciarle entro la nebulosa del nulla, quale è la secca indeterminata infelice e “metafisica” formulazione  costituzionale; nebulosa del nulla atta nei fatti  e nella dimensione fenomenologica a dimostrare la sua immensa portata nichilista.

Questa formulazione  costituzionale (soltanto in apparenza cieca, sorda, muta e moralmente insipiente) è espressione,  nella sua propria dimensione, sottaciuta formulazione di un principio di diritto non acquisito ma di già posseduto secondo una condizione propria a una fonte potestativa auto legittimante e autolegittimata  (anche in quanto anteriore, e cioè direttamente procedente dal CLN), impropria e assolutamente priva di fondamento normativo . Ciò è correttamente quanto grottescamente definibile come potere legibus solutus.

Siamo quindi in presenza, nell’operazione critico-costruttiva da noi proposta, di una valutazione volutamente sottostimante la gravità irreparabile della inadeguatezza costituzionale al fine di porvi rimedio a posteriori e in modo ellittico ma fecondo e non distruttivo con una legge costituzionale atta a riportare nell’alveo costituzionale vita e funzione dei partiti, e non di inserirvi un succedaneo.

In realtà, oltre la specifica prospettiva emendativa da noi  delineata e entro la reale natura della Costituzione e dei suoi precisi limiti, la precisa prospettiva della storia del regime partitocratico ottimamente e a iosa dimostra che la Carta costituzionale (perciò a prescindere dagli altri vulnus ad essa arrecate) rappresenta un documento fondativo assolutamente inadeguato giacché viola alla sua base i principi del costituzionalismo sia per avere proclamato che i primi articoli non sono soggetti a modifica alcuna sia per avere inserito fra di essi – quanto nella Costituzione tout court – un trattato diplomatico. Trattato diplomatico non inseribile in una carta fondativa, specie in una Costituzione laica, giacché viene ad elidere il principio della libertà in materia di credo religioso altrettanto in essa statuito e del tutto prioritario come valore in sé da essere sempre e ovunque garantito. In siffatto modo, invece, si impone ai cittadini l’esistenza di una confessione di Stato (il regime autoritario, il regime fascista, che attuò quel trattato mai pensò di chiedere al sovrano di inserirlo dal re nello Statuto albertino).

Siamo in presenza qui in Italia di un regime partitocratico, regime che – come in più interventi abbiamo dimostrato – non costituisce una mera degenerazione del sistema democratico, ma una sua reale contraffazione. O meglio, una tipologia di regime affatto distinta da quello democratico, anche se lo strumentalizza e si paluda  dietro esso, ad iniziare dalla dimostrazione di adempiere ai primari diritti formali della democrazia: diritto di voto e libertà di voto, esistenza di più partiti, camere legislative e .. addirittura democrazia parlamentare in nome del popolo.

Invece, abbiamo che i partiti originari e espressione del nuovo patto fondativo (e i loro più o meni legittimi o spuri eredi), postisi sin da allora come esclusivi custodi, guardiani e tutori della Costituzione, hanno occupato sin da subito tutti gli spazi della vita istituzionale, e su di essa e sul Paese reale hanno mantenuto e esercitato il più completo monopolio. Ai loro interessi sono stati fatti coincidere con la forza delle leggi e delle non leggi  gli interessi pubblici in tutto e per tutto. I risultati di un perpetuarsi di un siffatto regime sono sotto gli occhi di tutti. Un disastro storico inappellabile della crisi del sistema partitocratico e del Paese. Sistema che è stato e costituisce una precisa, concreta tipologia di reggimento politico che si basa e si estrinseca con l’arbitrio e non una mera degenerazione del sistema democratico.

Non possiamo non accogliere con attenzione e con soddisfazione che da qualificati circoli culturali della sinistra venga dunque una proposta meritoria di attenzione, per quanto il quadro della crisi del sistema partitocratico presenti caratteri di tragica irreversibilità, e con esso l’ impianto stesso della carta costituzionale i  cui valori statuiti sono stati sempre strumentalizzati e vilipesi.- Domenico Cambareri

 

 

 

 

 

 

Separare i partiti dallo Stato?

Un progetto della Fondazione Basso per l’attuazione dell’art.49 della Costituzione

 

Lunedì 18 maggio 2015, ore 16,30

Sala Conferenze Fondazione Basso, Roma, via Dogana Vecchia 5

RELAZIONI INTRODUTTIVE
Luigi Ferrajoli, Separare i partiti dallo Stato
Chiara Giorgi, L’Art. 49 nella formulazione di Basso e nello spirito costituente
Mattia Diletti, L’articolazione del progetto della Fondazione Basso
17,30-19,30 OPINIONI A CONFRONTO
Partecipano, tra gli altri: Gaetano Azzariti, Fabrizio Barca, Alessandro Ferrara, Anna
Finocchiaro, Miguel Gotor, Massimo Luciani, Giancarlo Monina, Mariuccia Salvati,
Ugo Sposetti, Walter Tocci.
Coordina Elena Paciotti
Il convegno ha lo scopo di presentare e discutere il progetto della Fondazione Basso “Separare i
partiti dallo Stato”, che intende promuovere una riflessione sulla crisi dei partiti politici e che si
articolerà in una serie di seminari preparatori – destinati a un confronto con opinioni diverse – e in
un convegno conclusivo, nel quale presentare proposte di riforma idonee a dare attuazione
all’art.49 della Costituzione (la cui formulazione si deve, per la massima parte, a Lelio Basso).
L’iniziativa muove dal riconoscimento, largamente condiviso, dell’indebolimento della nostra
democrazia rappresentativa provocato dal venir meno del rapporto, fino a due decenni fa mediato
dai grandi partiti di massa, tra società e pubbliche istituzioni.
Tutti i partiti sono stati infatti investiti da processi di verticalizzazione e personalizzazione che hanno
svuotato il ruolo decisionale dei loro organi collegiali e ancor più il loro carattere rappresentativo
dei cittadini. Conseguentemente, venuti meno i canali di selezione dal basso dei gruppi dirigenti, si
è abbassata la qualità del ceto politico, reclutato in prevalenza per il tramite di rapporti clientelari o
comunque extra-politici. I fenomeni di sistematica corruzione che in misura crescente infestano la
politica sono solo la punta dell’iceberg di questa deriva. Simultaneamente, anche a causa della
crescita delle disuguaglianze e della riduzione dei diritti sociali e del lavoro, si sono indeboliti il
senso civico e lo spirito pubblico.
Di fronte a una crisi che investe ogni aspetto della vita sociale e che sta tramutandosi, non solo in
Italia, in una crisi della democrazia, la Fondazione Basso ritiene opportuna ed urgente l’apertura di
un dibattito pubblico che ponga all’ordine del giorno quella che oggi è la vera questione
costituzionale: la riforma dei partiti sulla base di una legge di attuazione dell’art.49 della
Costituzione, che identifica nei partiti gli strumenti mediante i quali “i cittadini hanno il diritto di
associarsi liberamente… per concorrere a determinare con metodo democratico la politica
nazionale”.
1.La questione pregiudiziale è quella del rapporto tra democrazia rappresentativa e partiti politici. Il
discredito odierno dei partiti si sta traducendo, in ampi settori dell’opinione pubblica, nella
tentazione di archiviare l’idea stessa del partito politico. La tesi che vorremmo proporre e discutere
è invece che senza veri partiti radicati nella società una democrazia fondata sul suffragio universale
non può funzionare; che la formazione democratica dei gruppi dirigenti dei partiti deve avvenire
nelle forme trasparenti del dibattito di base e della selezione dal basso; che, infine, di fronte alla
attuale trasformazione dei partiti in costose caste di privilegiati, la loro riabilitazione non può più
essere affidata alla loro autonomia della quale hanno fatto uso per trasformarsi in istituzioni
parastatali – , ma richiede l’eteronomia della legge, a garanzia dei diritti politici dei cittadini, dei
quali essi devono rendersi strumenti.
2. La nostra riflessione, nella quale vorremmo coinvolgere anche dirigenti e militanti dei partiti, si
soffermerà sulla questione del “metodo democratico” che una legge di attuazione dell’art.49 della
Costituzione dovrebbe oggi imporre ai partiti, tramite la previsione delle condizioni minime di
democrazia interna, di garanzia dei diritti degli iscritti e di rapporto con la loro base.
Tali condizioni dovrebbero essere stabilite, dalla legge di attuazione dell’art.49, mediante statuti di
partito dotati, grosso modo, della struttura delle odierne costituzioni: l’enunciazione, in primo
luogo, dei principi, dei valori e delle opzioni politiche e programmatiche di fondo che disegnano
l’identità e la ragion d’essere del partito; le regole, in secondo luogo, di organizzazione democratica
interna, modellate sulle regole classiche della democrazia politica: l’uguaglianza e la pari dignità
degli iscritti, il rispetto per il dissenso, la libertà della critica e dell’opposizione interna, la previsione
di assemblee territoriali di base in vista delle riunioni degli organi dirigenti e la previsione, qualora i
partiti intendano adottare il sistema delle “primarie” per la selezione di dirigenti o di candidati alle
pubbliche istituzioni, di chiare regole di garanzia.
3. Ma la riforma a nostro parere più decisiva ai fini di una rifondazione democratica dei partiti,
riguarda il mutamento del loro rapporto da un lato con la società e dall’altro con le istituzioni
pubbliche, che potrebbe essere realizzato mediante l’introduzione nella legge del principio della
separazione tra cariche di partito e funzioni pubbliche, anche elettive. Si tratta di una riforma
radicale, perché radicale è la crisi dei partiti, e solo da una rifondazione del loro rapporto con lo
Stato e con la società dipende il loro stesso futuro.
L’attuale diaframma tra partiti e società può essere infatti superato, secondo l’ipotesi di lavoro qui
suggerita, solo se i partiti saranno restituiti, grazie all’eteronomia della legge, al loro ruolo di organi
della società anziché dello Stato, e quindi come istituzioni di garanzia del diritto dei cittadini, come
dice l’art.49 della Costituzione, di “concorrere con metodo democratico a determinare la politica
nazionale”. I partiti dovrebbero, in breve, essere separati dallo Stato e deputati alla formulazione
dei programmi di governo, alla scelta dei candidati e alla responsabilizzazione degli eletti, ma non
anche alla diretta gestione della cosa pubblica. Si porrebbe così fine all’odierna occupazione delle
istituzioni da parte dei partiti; si ristabilirebbero la distinzione e la separazione tra rappresentati e
rappresentanti, tra controllori e controllati, tra istanze e sollecitazioni dal basso e loro attuazione
nelle funzioni di governo: in breve i presupposti elementari della rappresentanza e della
responsabilità politica. Si porrebbe infine rimedio alla crisi di rappresentatività e credibilità dei
partiti che sta ormai trasferendosi sul Parlamento e sulla stessa democrazia rappresentativa e,
insieme, si restituirebbe ai partiti, grazie al loro radicamento nella società, autorevolezza e capacità
di attrazione e aggregazione sociale, nonché di controllo e di responsabilizzazione degli eletti.
4. I seminari preparatori saranno così articolati: A) nel primo si discuterà sul futuro dei partiti, se
debbano essere sostituiti da nuove forme di partecipazione dei cittadini, o ridursi a strumento di
selezione delle candidature, ovvero se restino indispensabili per la democrazia, e in questo caso se
e come occorra ridisegnarne la forma; B) nel secondo si discuterà delle tesi che danno rilievo al
ruolo e all’organizzazione dei partiti, prendendo in esame gli statuti dei principali partiti europei
ed eventualmente delle leggi che li prevedano – e degli effetti che hanno prodotto; C) nel terzo si
discuterà delle norme che dovrebbero attuare l’art.49 della Costituzione.
Segreteria:
Fondazione Lelio e Lisli Basso
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