MCS, la malattia “sconosciuta” su cui il CSA continua a … dribblare?

17 Agosto 2015

Fonte:Health Professionals Magazine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Health Professionals Magazine

HPM 2015; 3(1):31-32 DOI

Recensione

Sensibilità Chimica Multipla

Diagnosi, terapie, riconoscimenti

 

 

 

 

Nei paesi industrializzati le allergie colpiscono una percentua­le sempre crescente della popolazione (in Italia circa il 15% della popolazione) ed è noto che questo fenomeno è strettamente correlato all’inquinamento ambientale. Parallelamente sta au­mentando anche il numero di persone che soffrono di ipersen­sibilità che non sono mediate da anticorpi e non sono, quindi, diagnosticabili con gli ordinari dosaggi delle IgE o delle IgG.

Stime americane indicano che il 15% della popolazione sof­fre di ipersensibilità a composti chimici presenti nei prodotti d’uso comune, mentre il 2-3% della popolazione soffre di Sen­sibilità Chimica Multipla (MCS). Queste persone hanno reazioni verso alimenti, farmaci, profumi, detersivi, tessuti sintetici, pesticidi, erbicidi, conservanti e additivi alimentari, conservanti del legno, plastiche, gas di scarico e molte altre sostanze.

La MCS può comportare diversi gradi di invalidità e diversi sintomi, dalla rinite cronica, all’asma, all’emicrania cronica, alle difficoltà digestive, a manifestazioni dermatologiche, acufeni, stanchezza cronica, confusione, disorientamento, difficoltà visive, ecc.

Ad approfondire questa difficile malattia è un saggio di Francesca Romana Orlando, pubblicato dalle Edizioni Andromeda in questi giorni, che ne racconta la storia dalle prime manifestazioni cliniche osservate negli anni ‘50 quando sono stati immessi sul mercato i primi prodotti di derivazione petrolchimica (tessuti sintetici, cosmetici, plastiche, ecc.), fino alle ultime pubblicazioni scientifiche che descrivono le caratteristiche della malattia e identificano dei nuovi marker diagnostici.

In Italia, infatti, opera un folto gruppo di ricercatori che negli ultimi cinque anni ha prodotto copiosa letteratura sul ruolo dello stress ossidativo nella MCS, che è un indice di esposizione a fattori di inqui­namento ambientale, e su quello della predisposizione genetica. I pazienti italiani analizzati, infatti, mostrano una prevalenza di alcuni polimorfismi genetici che sono responsabili di una ridotta metaboliz­zazione delle sostanze xenobiotiche. Questo non significa che la MCS sia una malattia genetica, ma che una fetta della popolazione è meno capace di adattarsi al mondo attuale in cui sono presenti oltre 150 mila composti chimici di sintesi e che in questo gruppo c’è un maggiore rischio di sviluppare la MCS.

Altre ricerche italiane pubblicate negli ultimi anni riguardano l’anestesia per pazienti con MCS e le indagini sulla perfusione cerebrale dopo l’esposizione a sostanze irritanti. Questi studi sono partico­larmente interessanti perché hanno scoperto che, dopo l’esposizione, la perfusione cerebrale si ridu­ce significativamente in alcune aree del sistema nervoso centrale autonomo, confermando numerosi studi degli anni passati che avevano riscontrato lo stesso effetto.

Il libro della Orlando, che è una giornalista esperta di divulgazione scientifica e co-fondatrice dell’Associazione Malattie da Intossicazione Cronica e/o Ambientale, descrive anche gli approcci tera­peutici fino ad oggi tentati per dare sollievo ai pazienti colpiti da questa condizione. A differenza delle allergie che sono curabili con antistaminici e cortisonici, non ci sono cure risolutive per la MCS.

La prima terapia è quella dell’evitamento chimico ambientale, che consiste nell’adattamento della propria abitazione e delle proprie abitudini di vita per ridurre al massimo l’esposizione a prodotti di derivazione petrolchimica, a fragranze, solventi presenti nei detersivi, a metalli pesanti (presenti negli alimenti, nei cosmetici, nei materiali dentali, ecc.).

Se ne deduce che la malattia coinvolge quasi tutti gli aspetti della vita di chi ne è colpito, dalla ca­pacità di lavorare a quella di socializzare o anche solo di abitare in una ordinaria abitazione. In alcuni casi, infatti, i pazienti devono trasferirsi lontano dai centri abitati o da campi coltivati con concimi e pesticidi chimici.

L’esigenza di evitare le esposizioni chimiche rende molto difficile anche l’accoglienza ospedaliera dei pazienti con MCS. Servono, infatti, ambulatori privi di pavimenti o pareti in vinile, di mobili di pla­stica e gli ambienti devono essere bonificati dai residui di detersivi chimici con il vapore o con acqua e bicarbonato. Il Policlinico Umberto I ha realizzato nel 2013, in collaborazione con le associazioni dei pazienti, il primo ambulatorio di struttura pubblica in Italia interamente rivestimento con piastrelle posate con calce atossica e arredato con mobili di vetro e metallo che non comportano esalazioni nocive.

Altre terapie tentate per questi pazienti sono l’integrazione con antiossidanti, vitamine e glutatio­ne che però in alcuni casi danno reazioni avverse molto pesanti e, per questo, ogni terapia va sempre personalizzata in base alla storia individuale delle reazioni del paziente.

Nelle cliniche ambientali americane, canadesi, inglesi e tedesche, dove la MCS viene trattata da decenni, si adotta un approccio integrato fatto non solo di educazione all’evitamento chimico e di integrazione nutrizionale, ma anche di riduzione dei fattori di rischio e di strategie per abbassare il carico tossico, come sauna ed esercizio fisico che promuovono l’espulsione delle tossine attraverso la pelle.

Tra i principali fattori scatenanti della MCS ci sono i pesticidi, i solventi, il monossido di carbonio e il mercurio.

Diversi studi tedeschi-svedesi hanno evidenziato, per esempio, un miglioramento dei sintomi della MCS dopo la rimozione protetta delle otturazioni in amalgama dentale, che contengono mercurio. Purtroppo in Italia ancora non c’è un centro pubblico attrezzato per rimuovere queste otturazioni con protocollo di sicurezza e i pazienti con forte ipersensibilità al mercurio sono costretti a rivolgersi a centri privati. In alcuni casi la rimozione protetta delle otturazioni dentali in amalgama è stata con­siderata dalle ASL come terapie salvavita per pazienti di MCS e sono state rimborsate loro le cure in Germania.

Negli Stati Uniti numerose leggi federali e statali riconoscono la MCS sin dai primi anni ‘90. In Europa la MCS è riconosciuta da diversi paesi, come la Germania, l’Austria, la Svizzera, la Spagna ed altri, che l’hanno inserita nella loro versione nazionale dell’ICD-10.

Negli ultimi anni si è riscontrato, in Sardegna, un nutrito numero di bambini in età scolare affetti dalla malattia. Così le famiglie sono riuscite ad ottenere dalle istituzioni scolastiche la possibilità di far seguire ai bambini le lezioni da casa in videoconferenza e, nei casi meno gravi, a consentire loro la frequenza a scuola con la collaborazione di maestri, bidelli, compagni e i loro genitori che adottano particolari comportamenti per venire incontro alle esigenze dei piccoli malati di MCS.

In Italia quattro regioni riconoscono ad oggi la MCS come malattia rara, nonostante sia tutt’altro che rara, ma questa è la sola forma di riconoscimento che le regioni possono fare in modo autonomo rispetto al Ministero della Salute. Il Consiglio Superiore di Sanità, infatti, si è espresso negativamente nel 2008 riguardo la possibilità di considerare la MCS come una vera e propria malattia.

L’autrice, che aveva già pubblicato nel 2010 una inchiesta sul conflitto di interessi nelle politiche di salute pubblica, “Il cerchio perfetto”, è piuttosto critica riguardo il parere del CSS e ha scoperto che il presunto “parere dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – Programma Internazionale per la Sicurezza delle Sostanze Chimiche”, citato dal CSS nel sul parere, in realtà è un articolo pubblicato da Anonimo su Toxicology Regulatory Toxicology and Pharmacology, una rivista che è l’organo portavoce di un’associazione dell’industria del tabacco e dell’industria chimica. Di fatto non esiste alcuna posi­zione ufficiale dell’OMS riguardo la malattia.

Nelle conclusioni del saggio si evince che la MCS mette in crisi da una parte i medici che devono affrontare la malattia in modo multidiscipliare, cercando di ricercarne le cause ambientali, invece di limitarsi a trattare i sintomi con rimedi farmacologici, e dall’altra la società nel suo insieme che deve fare i conti sia con gli ostacoli frapposti dagli interessi economici allo sviluppo di politiche ambientali cautelative sia con la questione del “diritto alla vita” per coloro che nascono con un polimorfismo genetico responsabile di una ridotta capacità a vivere in un mondo inquinato.

32 Health Professionals Magazine 3, 1, 2015