Politica stracciona, gioventù bambocciona e ragazzi motivati. Quale futuro arriderà all’Italia?

21 Ottobre 2015

Mino Mini

 

 

 

 

 

 

 

MIRINA O DELLA GIOVINEZZA

 

 

 

E’ una mattina pugliese di primo ottobre, uggiosa e malinconica. Il sole calcinatore del sud è ormai un ricordo e dal mare spira una brezza carica di umidità che impregna cose e persone. Il tavolino all’aperto del bar di periferia è stato appena asciugato in attesa di ospitare il primo caffè della giornata che dovrebbe darmi la carica per il compito di relatore che mi attende, ma senza risultato. Anche il caffè è uggioso, a suo modo, e tento di neutralizzarlo con un cappuccino sperando sia meno infame; mentre aspetto gli dei abbiano pietà di me: la giovane convegnista che avevo notato la sera precedente in apertura del convegno, si avvicina salutandomi, accetta il mio invito a farmi compagnia e mi chiede del tema della mia relazione. Nella conversazione che ne scaturisce emerge che ho, come interlocutrice, un militare graduato e, immediata da parte mia, parte una raffica di domande che si trasforma in una sorta di intervista della quale lei stessa mi invierà la trascrizione con richiesta di anonimato per ragioni inerenti la sua professione. La chiamerò Mirina, come la regina delle amazzoni che combatté – vittoriosamente , va da sé – contro gli Atlantidi e fondò città con il proprio nome nella Libia dei tempi mitici.
 
 
D. Ebbene Mirina, esiste, nei giovani della tua età, la consapevolezza di ciò che sta avvenendo nel mondo?
 
R. La politica? “Tutti ladri”. L’immigrazione? “E’ giusto aiutare chi scappa dalla guerra”. Manca il lavoro? “Colpa della crisi”. Queste sono le risposte che il ragazzo italiano medio ti sa dare oggi. Ma pochissimi si interrogano sulle cause e su eventuali soluzioni per questi problemi. E questo disinteresse poi si riversa in tutti i settori della società. Dai lavori che gli italiani non vogliono più fare, alla ricerca esasperata di un concorso pubblico in qualche Ente statale che possa garantire un minimo di stipendio in questa Italia disastrata sotto il profilo occupazionale.
D. Puoi farmi qualche esempio?
 
R. Il mondo dei miei coetanei è composto di giovani che più che un lavoro cercano una forma assistenziale di accompagnamento alla pensione. Puoi assumere come paradigma l’esercito: non è un segreto che gli unici posti statali accessibili oggi nella fascia di età 18-25 anni sono quelli nelle Forze Armate e nelle Forze di Polizia. Ecco, allora, quello che dovrebbe essere un dovere del cittadino sancito anche dalla Costituzione cioè la difesa della Patria, diventa un ammortizzatore sociale per coloro che non si sono potuti permettere un master post laurea all’estero o la possibilità di avere un impiego fuori dall’ Italia. Quindi ne consegue un abbassamento della spinta motivazionale e di quell’orgoglio di appartenenza ad un corpo militare preposto alla difesa della nostra Nazione che dovrebbe far parecchio riflettere … E’ d’uso corrente sentir dire: <<Io mi sono arruolato solo perché fuori non c’è lavoro>>. Ecco come i Governi stanno distruggendo anche gli ultimi settori (le Forza Armate) in cui un minimo di amor di patria era d’obbligo.
D. Certamente quanto affermi induce ad una sconsolata riflessione, ma ho poco tempo a disposizione per mettere a fuoco il problema. Mi riprometto di affrontarlo quando andrò a commentare quanto mi stai esponendo. Ma – a tuo giudizio – quale differenza ravvisi tra i giovani italiani di oggi e quelli che un tempo combatterono per fare l’Italia?
R. Uno dei cancri dell’attuale società è la crisi dei valori dei giovani del nostro tempo. Diciamo che dal dopoguerra ai giorni nostri, per conseguire il progetto di dominio mondiale e far si che nessuno potesse opporsi a questo, si è volutamente e forzatamente affossata la coscienza critica delle giovani generazioni in modo da renderle innocue di fronte allo sfacelo identitario a cui stiamo andando inesorabilmente incontro. Questo perché per assecondare le solite lobby mondialiste era necessario privare la gioventù di qualsiasi valore appartenente alle generazioni passate. Quelle dei nostri nonni – se vogliamo – che a vent’anni o anche meno partivano volontari in guerra perché erano cresciuti col concetto di difesa della Patria, per la quale auspicavano un futuro di libertà scongiurando l’occupazione delle super potenze mondiali.
D. Da quel che posso giudicare dalla tua gioventù, appartieni alla generazione a cavallo degli anni ’80-’90 del secolo scorso e quindi ti chiedo: secondo te nel XXI secolo si può ancora parlare di amor di Patria?
 
R. Oggi parlare di amor di Patria, di identità e di tradizione con i miei coetanei è impossibile. Questo finto ed eccessivo benessere ha portato i giovani ad un lassismo comportamentale che non ha conosciuto eguali nella storia. Sempre più “ammammati”, col culto dell’apparire invece che dell’essere, imbambolati davanti a tv, cellulari, videogiochi e tutto ciò che inesorabilmente uccide il pensare e l’agire. Ormai si fa amicizia sui social-network, addirittura ci si fidanza attraverso un mondo virtuale che non lascia spazio più nemmeno alle emozioni. Ma quel che è peggio è l’annientamento delle coscienze critiche dei giovani di fronte a ciò che avviene nel mondo. E’ data per buona qualsiasi cosa detta dalla televisione o letta su un libro di storia. Ci sono dogmi ormai che non possono essere messi in discussione e anche se si potesse opinare sulla veridicità o meno di un fatto storico dubito che la maggior parte se ne pongano il problema. Non c’è tempo più per queste cose …
 
D. Quello che tu esponi è l’effetto del Mindfucking, ma vi sono altre cause molto più drammatiche. Ne accennerò quando commenterò questa intervista. Constatato il tuo fermo orientamento intellettuale ed a conclusione di questo veloce incontro, del quale ti ringrazio, domando: su quali temi inviteresti alla riflessione i tuoi coetanei?
R. In questa prospettiva, e con l’invasione dovuta al boom demografico dei Paesi africani e mediorientali, quale sarà il nostro futuro e quello dei nostri figli? Esisteranno ancora gli italiani?
 
o O o
 
Per mettere a fuoco il fenomeno giovanile dei coetanei di Mirina, torna opportuna una considerazione: la generazione degli attuali venticinquenni – laureati o diplomati – è stata formata da docenti, allora studenti, formatisi nella contestazione giovanile del ’68 e successivi del secolo scorso ed – in seguito – fortemente strumentalizzati dal partito comunista di allora. “Laureatisi” imponendo la concessione generalizzata del “diciotto politico” ad una classe accademica timorosa e versipelle, costrinsero la stessa ad aprire loro le porte della carriera universitaria o, più incautamente, dell’insegnamento nei licei e nelle altre scuole superiori. Chi non confluì nell’insegnamento si indirizzò verso la magistratura portando, all’interno di questa istituzione, l’orientamento ideologico di formazione. Occuparono gramscianamente tutti gli spazi disponibili, massimamente quelli del potere accademico, perpetuando il sistema “baronale” di assegnazione delle cattedre che fu la tabe che aveva minato la dignità e la credibilità dell’istituzione universitaria dal dopoguerra al ’68. Non ci furono molti spazi per il merito e la cultura, appena il minimo per non ridurre l’insegnamento e la ricerca istituzionali ad una farsa. Con il predominio, pressoché totale, dei mezzi di formazione intellettuale e di quelli massmediatici, non fu difficile “fottere la mente” (traduzione di mindfucking) delle generazioni scolarizzate degli ultimi quarantasette anni.
Questo, in estrema e grossolana sintesi, il processo che ha portato la generazione degli “ammammati” al diffuso stato di inconsistenza morale e intellettuale quale traspare dall’intervista improvvisata a Mirina. Ma vi è un interrogativo che la mia giovane interlocutrice sicuramente si porrebbe e che anticipo per lei:
       – Com’era stato possibile che una classe accademica, al riparo di una supposta superiorità e imparzialità intellettuale, si fosse ridotta a serva di una ideologia come quella sessantottina che, al fondo, si rivelava nichilista anziché rivoluzionaria?
La risposta, a giudizio di chi scrive, è che si sia trattato di un nuovo e clamoroso “tradimento dei chierici”, ovvero di coloro che avrebbero dovuto essere, in quanto intellettuali, i “custodi dei valori” al servizio di principi universali come la ragione, la verità, la giustizia, l’amor di patria, ma ai quali, ovviamente, avevano cessato di credere in conseguenza della crisi della modernità.
E’ un argomento complesso che richiederebbe una lunga trattazione per la quale non c’è lo spazio. In poche battute, possiamo dire che la crisi della modernità è la crisi della nostra civiltà che ha sostituito la tecnica ai contenuti che definivano, appunto, i valori. Riporto di nuovo, su questo mensile, quanto ebbe a scrivermi un amico e docente poco prima di lasciarci:
        – ” La civiltà è un immenso lago siccitoso ove da più di un secolo nessuno immette acqua nuova e pura; si tira avanti con un continuo riuso del liquido vecchio grazie a tecniche nuove. Una civiltà – un lago – che non si rinnova non è più una civiltà e la muscolatura [la tecnica] che la rafforzava diventa in breve una corazza che opprime dittatorialmente i suoi sudditi”.
Ecco, Mirina, la riflessione che avevo promesso e che non può, per limiti di spazio, essere soddisfacente. All’ultima risposta che hai dato, vorrei aggiungere: gli italiani ci saranno ancora se saranno capaci, ancora una volta, di immettere acqua nuova e pura nel lago siccitoso della nostra civiltà come fecero in passato. Diversamente il loro ruolo sarà terminato e scompariranno insieme alla civiltà che furono in grado di creare.