Vogliono anticipare al prossimo weekend il patetico referendum su Bertolaso. È protervia, arroganza o accanimento terapeutico. Vogliono perdere a tutti i costi la partita di Roma. Sabato avranno un elettore in meno ai gazebo: me ne vado a Napoli per un comizio, così non potranno dire che organizziamo comitati del no…. Se lo tengano col 100 per cento di sì…
Siamo passati da un Berlusconi campione dell’anticomunismo, l’uomo che regalava il Libro Nero del Comunismo, all’uomo che adotta le tecniche del vecchio Pcus: il candidato unico. Il partito unico è fallito miseramente, come avevamo previsto. Ora, in una forma quasi parossistica di rifiuto a voler comprendere di aver sbagliato il candidato, Berlusconi scade nel ridicolo e indice un referendum comunista all’amatriciana. E con questo certifica più cose.
Primo, che con questo candidato debole, sostenuto dalle marchette dei telegiornali di famiglia, Berlusconi rischia di azzerare non le chanches di vittoria, ma la permanenza in Consiglio anche di Forza Italia. Una zavorra come Bertolaso, tirerà giù il consenso a tutta la coalizione. Già gli azzurri a Roma sono rimasti in pochi e, quei pochi, se prosegue così, farebbero bene per il prossimo quinquennio a pensare a un lavoro alternativo allo scranno di consigliere comunale. La seconda: che Giorgia Meloni e i suoi Fratelli d’Italia, che a Roma avrebbero dovuto avere la roccaforte del consenso e che, in nome di questa roccaforte attestata solo via sondaggi – che sono la stessa cosa di quelli che mi hanno attribuito la prima posizione tra i preferiti dagli elettori di centrodestra – hanno preteso, con il grande gioco dell’oca dei veti, di scegliere il candidato, non hanno scelto nulla.
Le carte, al tavolo del salotto di Palazzo Grazioli, le distribuisce ancora lui, Silvio. Credo che i Fratelli d’Italia pagheranno un prezzo altissimo proprio a causa di questa scelta miope, subìta e cercata allo stesso tempo con la politica del dispetto e dell’esclusione. Invece di essere forza propulsiva, infatti, e vero nuovo partito, essi sono ripiombati in un momento solo ad essere “i rampelliani”, una corrente dentro An. Una corrente, appunto, non un partito. E come tale, invece di giocare una partita importante, di rilancio di una politica di destra, con tematiche di destra, si limitano a fare – sempre gli stessi quattro, guardateli bene – la cornicetta intorno a Bertolaso, le dame di accompagnamento. Certo, in un sussulto di orgoglio, almeno hanno avuto l’intelligenza di cambiare il rullo del gobbo che Bertolaso legge: prima era pro Rom, poi contro e con le ruspe. Prima contro e poi improvvisamente difensore dei dipendenti comunali. Dovrei chiedere il copyright: appena lancio un tema, 24 ore dopo da Bertolaso lo copiano. Dalle “finestre rotte” di Giuliani al ruolo della macchina capitolina.
Ultimo, Salvini. Con una spregiudicatezza associabile ai condottieri dell’Italia del Rinascimento, ha operato meritoriamente il distinguo, s’è sfilato, ed è rimasto ai margini di questo ridicolo referendum senza però sconfessarlo realmente del tutto. Tuttavia rischia di doversi adeguare: come frequentemente succede ai bambini quando, non volendo perdere, barano perfino al solitario, siamo pronti a scommettere che da quelle urne uscirà una maggioranza bulgara che plaudirà a Bertolaso. Anche a Silvio, come ai bambini, non piace perdere. Nemmeno quando gioca da solo. Che farà il leader leghista?