20 Aprile 2016
Enea Franza
Nota di Domenico Cambareri
Energia. Il costo delle scelte sbagliate. 1.
Con la crisi i nodi di sempre vengono al pettine. Nel nostro del paese, dove la politica ha sempre cavalcato le mode e gli istinti del momento senza imporsi per la costruzione di infrastrutture capaci di supportare adeguati livelli si sviluppo, la politica energetica costituisce uno dei nodi più delicati del sistema. Il positivo risultato del referendum, ha evitato, a parere di chi scrive un’ulteriore potente ferita nel corpo già malato del Paese.
Vorrei solo ricordare, ai fautori dell’uscita italiana del nucleare, i costi certi di quella scelta, che furono di oltre 6 miliardi di euro di risarcimento all’ENEL, di oltre 1,5 miliardi di risarcimenti alle ditte appaltatrici e di 160 milioni di Euro, somme prelevate dalle bollette ogni anno da prelevare ancora sino al 2020. Questo senza tenere conto del fatto che in questi anni, la bolletta elettrica è stata costantemente in crescita per la lievitazione del costo del petrolio, e che l’Italia continua a comprare energia proveniente da centrali nucleari poste a poca distanza oltre frontiera. Grottesca, ipocrita contraddizione.
Per la verità, per fare i conti per bene, va detto che un risparmio comunque c’è stato. Certamente, in termini minori: oneri d’investimento per il completamento della centrale di Montalto di Castro, che nel frattempo è stata riconvertita; minori oneri di manutenzione dell’impianto, ma anche e soprattutto per lo smaltimento dei materiali residui della centrale, a fine ciclo produttivo.
I conti tuttavia, per essere corretti, dovrebbero anche tener conto del costo in termini di dipendenza energetica che l’infausta scelta ha determinato in un settore fiorente dell’industria nazionale, quello del nucleare appunto. Esso è stato completamente distrutto ed il know how che rimane alla mercé di eventuali commesse estere in un campo estremamente competitivo. Danno non da poco, atteso l’importanza che esso riveste a livello economico globale, e quindi dell’alta tecnologia e delle priorità strategiche.
Ma ritorniamo alla fame d’energia che si è determinata. Partiamo da un assunto, sul quale sono certo in molti avranno da ridire, ma su cui nonostante tutto mi permetterò di insistere.
I c.d. settori maturi costituiscono l’ossatura che ha permesso al nostro Paese di rimanere a galla, nonostante le note difficoltà della finanza pubblica. I c.d. settori maturi sono certamente quello dell’acciaio e, più in generale della siderurgia, della ceramica e della carta. E’ indubitabile che essi abbiano dato, in questa fase di crisi, un alto contributo in termini di Pil e sono voci importantissime, in termini di fatturato, della nostra bilancia commerciale.
Ma ecco l’altra faccia della medaglia. Le attività citate sono caratterizzati da un basso tasso di crescita della domanda, una scarsa differenziazione del prodotto, e sono molto aperti alla concorrenza internazionale. La natura del loro vantaggio competitivo è legata, quindi, moltissimo ai fattori di costo. I settori maturi in altre parole (e, scusandomi per le forzature che farò per amore della sintesi), sono caratterizzati da concorrenza, specialmente quella di prezzo, molto intensa. Stabili posizioni di vantaggio competitivo sono spesso associate ai vantaggi di costo generati da economie di scala o di esperienza, mentre un vantaggio legato alla differenziazione è generalmente frutto della fedeltà al marchio.
Ciò premesso, voce di costo primario è quello dell’energia. Il problema di fondo, infatti, è che i settori maturi sono molto energivori, e qui veniamo al punto. Nel nostro paese, negli ultimi anni, il costo dell’energia è andato per tali soggetti fortemente aumentando. Infatti, mentre il costo complessivo ha registrato un beneficio dalla scelta del solare, il costo medio per giga wattora per tali soggetti sembra essere aumentato in modo esponenziale.
Quali sono le ragioni di questo apparente paradosso? Bene, come ho accennato, la responsabilità deve imputarsi alla politica energetica che ha spinto molto sulle energie alternative ed in particolare la scelta per il solare. Vediamo più in dettaglio. Fatto pari a cento la produzione di energia nazionale, solo fino a tre anni fa poco più del 10% della produzione nazionale veniva dal solare. Ora la produzione di energia proveniente da fonti alternative è salita al 33,3%. Quello che è un indubbio vantaggio per il nostro Paese, ha però per i settori maturi una conseguenza a dir poco devastane.
L’effetto, infatti, sembra essere stato quella di un incremento molto forte del costo dell’energia durante le ore notturne, orario nel quale le industri metallurgiche assorbono gran parte del fabbisogno di energia nazionale. Il risultato complessivo – come confermano i dati che la Confindustria palesa in ogni possibile incontro sul tema dell’energia – è un aumento medio del costo dell’energia per tali imprese nell’ultimo biennio che sfiora il 15%. Una esagerazione confindustriale?
Lasciamo ai tecnici del settore stabilire l’esattezza di tali calcoli, e quindi un’analisi più accurata. A noi basti rilevare che, oltre confine, e non nel lontano Belgio, ma in Serbia, Slovenia, Romania il costo dell’energia è molto inferiore e tale fatto determina un elemento di concorrenzialità non trascurabile.
Appare lecito a questo punto domandarsi a quale politica industriale, in particolare nel settore energetico, si stiano ispirando le classi dirigenti di questo Paese.
Nulla è stato fatto dal governo dei professori, a cui certamente, vista la loro acclamata competenza nel settore non può essere sfuggito il problema (ma sicuramente ne è sfuggita l’occasione). Cosi, le scelte di Renzi non appaiono sufficienti ad invertire la rotta, immaginiamo per i contrasti nel suo stesso partito, ma anche di quelli di una opposizione che vorrebbe essere di governo, ma che insegue gli ambientalisti sul terreno di un impossibile ritorno alla natura.
Certo c’è da rimpiangere la vecchia politica industriale di Fanfani (e, sinceramente, ci fa male il cuore).
Sentire un Brunetta politicizzare al massimo i referenda, e sostenere il voto, lascia basiti. Non è per le lamentele dei petrolieri che paventavano, in caso di vincita del comitato del Si, la perdita di 7,5 miliardi di investimenti, di 5.000 posti di lavoro diretti (senza tenere conto di un indotto molto più vasto), dell’11,5% del fabbisogno energetico nazionale, oltre che osservare che le nostre piattaforme sono per l’85% destinate all’estrazione di gas naturale e solo per il 15% al petrolio, che negli ultimi 40 anni le nostre piattaforme sono state ad incidenti zero, e che, infine, appena fuori dalle 12 miglia marine le acque territoriali degli Stati vicini sono pieni di piattaforme estrattive (vedi il caso della Croazia; idem per la Francia a ovest).
Il problema che si pone è, a nostro avviso, che le c.d. “energie rinnovabili” al massimo potrebbero arrivare a coprire il 20% del fabbisogno energetico nazionale e delle distorsioni in termini di sviluppo del Paese che ne consegue.
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Nota di Domenico Cambareri:
Come Europa della Libertà, ci siamo sempre espressi in modo convinto, argomentato, fermo per tornare alla produzione di energia nucleare.
Gli importanti rilievi mossi da Enea Franza ci pare che focalizzino una parte rilevante dei problemi sull’incongruo “prezziario” fiscale imposto dal governo e dal parlamento sul consumo energetico notturno al settore produttivo, e in particolare alle industrie energivore. L’assurdo autolesionismo ha dunque irrazionali motivazioni endogene.
In merito al personale del settore coinvolto, la cifra è sicuramente sovrastimata, mentre non risultano indicazioni in merito ai settori lavorativi “antagonisti”, ad iniziare da quello della pesca e da quello del turismo. Ci reme soprattutto sottolineare che non bisogna spettare che avvenga qualche incidente per poi doversi strappare i capelli: questa non è prevenzione. Gli sterminati riferimenti accumulati in decenni e decenni sugli incidenti occorsi in tutto il modo dimostrano che i danni prodotti sono durevoli e pesanti anche in termini economici, oltre che sanitari e ambientali. Ma aspettiamo le ulteriori importanti considerazioni che Enea Franza vorrà presentare per tornare a confrontarci con proficuità.