27 Giugno 2016
Domenico Cambareri
L’IMPLOSIONE DELLA “PERFIDA ALBIONE” A PRO DI UNA GRANDE EUROPA
REGNO UNITO DEFINITIVAMENTE DISUNITO?
UN PASSAGGIO STORICO CHE POTRA’ SOLO ARRECARE BENEFICIO AL RAFFORZAMENTO E ALL’ALLARGAMENTO EUROPEO, E INNANZITUTTO FAVORIRE LA SUA RIGENERAZIONE INTERNA. UN PASSAGGIO STORICO CHE SOLO AL PRESENTE DANNEGGIA LA PARTE PIU’ DINAMICA, PROPOSITIVA E FECONDA DEL POPOLO “BRIT” E LA SUA GIOVENTU’ A CAUSA DELLA LUNGA SERIE DI FALSIFICAZIONI STORICHE E DELLE ABERRAZIONI CHURCHILLIANE.
I NODI SONO GIUNTI DUNQUE AL PETTINE ?
Il lettore che vorrà seguirci in questa lettura, ci farà certo cosa gradita, ma pensiamo che nondimeno trarrà proficui stimoli a beneficio di una maggiore comprensione del risultato del referendum britannico, alla luce di cruciali elementi storico-politici di lunga durata, dai più neppur indicati.
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Le simpatiche affermazioni di Enea Franza in merito al risultato del referendum inglese hanno mirato a focalizzare quanto già risaputo in merito al sempre più tiepido senso di appartenenza comunitario generato dalla sclerosi burocratica europea e nazionale e dall’inefficienza interna. Plateale è infatti stata da sempre l’inefficienza dei governi e dei partiti italiani sia per una presenza qualificata di funzionari in seno alle strutture dell’UE sia per una presenza non meno qualificata di parlamentari. Sappiamo anche che i parlamentari italiani – a conferma della peculiare caratteristica del regime partitocratico italiano – sino ad anni a noi recenti sono stati i più retribuiti in assoluto fra i parlamentari di tutti gli altri Stati aderenti.
Adesso, dopo le caustiche e valide valutazioni espresse succintamente da Franza quale prima battura , iniziamo a vedere l’ulteriore significato del referendum inglese. La nostra valutazione va oltre il “diritto” a reclamare pari diritto in Italia o altrove e non tiene in considerazione le insignificanti e ridicole valutazioni espresse da certi quotidiani italiani che ambiscono definirsi di destra. Men che mai tiene in conto le non minori banalità espresse dai chiacchericci protestatari e inconcludenti di quell’ectoplasma dei Fratelli leghisti. Noi non abbiamo attivisti e iscritti, liste e voti, ma mai e poi mai desideriamo confonderci con cotanto fallimento politico espresso da Ignazio La Russa e bamboloni e bambolotti perditempo e sempre immaturi. Lo stesso giudizio è da pronunciare, purtroppo, anche su Marine Le Pen, che perpetuamente s’attarda nel non denunciare la politica neo-neo-colonialista francese e si risolve nell’essere l’ennesima utile idiota delle strategie della Casa Bianca.
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<< … Per intanto possiamo anticipare quali dovrebbero essere i punti fermi davanti a un eventuale dietro front anglosassone più che britannico, viste le nette e assolute divergenze con Edimburgo e con Belfast.
Se i giochi fra Regno Unito e Unione Europea si riapriranno, ciò dovrà avvenire all’insegna della più completa condizione di parità fra anglosassoni e europei. Conditio sine qua non non negoziabile dovrà essere la completa accettazione anglosassone del piano di integrazione della politica estera e di difesa comune. Questo dovrà comportare la revisione dell’autonomia strategica di Londra, ad iniziare dalla sua politica autonoma in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU, la rinuncia al rapporto preferenziale e speciale con gli USA, la messa a disposizione della difesa europea dell’arsenale nucleare, la rinuncia a intraprendere azioni unilaterali di guerra a carattere neocoloniale e terroristico, la priorità delle scelte e decisioni europee rispetto a quelle transatlantiche.
Questi aspetti dovranno connotare anche la nuova pagina che la Francia postdegaulliana dovrà porre in essere in pari tempo.
Da ciò dipenderà grandemente la rifondazione dell’Unione Europea e il suo rilancio, in uno con il porre l’accento della nuova carta sui valori umani, culturali e sociali e subordinando gli interessi economici del mondo finanziario e dello sciovinismo micronazionalistico agli interessi superiori della sovranità dei popoli della nuova Europa. Il consiglio dei capi di Stati e di governo dovrà conformarsi a questa direttiva e dovrà essere subito applicato il principio della non unanimità dei consensi e quindi della maggioranza dei voti, introducendo specifici ulteriori correttivi a pro del riequilibrio delle responsabilità e dei ruoli fra entità statuali maggiori e minori (Cipro, Malta, Paesi baltici), invitando questi ultimi a riunirsi alle madrepatrie (Grecia, Italia) e a federarsi direttamente o rifederarsi (Paesi baltici, boemi e slovacchi). >>
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Il referendum consultivo del Regno Unito ha già fatto consumare oceani d’inchiostro in merito alle prime analisi di questo risultato. Per la diretta e parziale contezza che abbiamo potuto avere, non ci pare tuttavia che la moltitudine di intelligenze che vi si è dedicata abbia presentato un diffuso quadro valutativo fondatamente articolato in riferimento al fatto in sé e a quanto ne costituisce l’ineliminabile e anzi spesso essenziale presupposto (ma sottaciuto o non capito o sottostimato): la forza operante dell’orizzonte degli eventi storici passati e l’incontenibile pressione dell’orizzonte degli eventi già prossimi e di quelli futuri.
Oggi e in questo caso come non mai l’adeguatezza culturale costituisce una premessa fondamentale per la comprensione degli aspetti più irti e urticanti dell’evento epocale. Essa non può essere data e non è data dalla comprensione più o meno specialistica di parti della realtà inglese odierna e di quella anglo-europea nel contesto dell’UE e non può essere parimenti data dall’espertise in materia economica e particolarmente finanziaria. Questi sono aspetti significativi, molto significativi, ma, se non accompagnati, materiati da altri dati sia di ordine sociologico sia, soprattutto, di ordine storico, possono ridursi a strumenti in grado di offrire analisi comprensioni e interpretazioni settoriali se non superficiali e fragili.
Il piano storico è quello davvero centrale, ed è quello che però risulta essere quasi del tutto negletto visto che la produzione storica e storiografica prevalente se non schiacciante degli eventi europei e mondiali degli ultimi buoni 130 anni è avvenuta secondo acritici e in rilevante misura falsi cliché imposti dalle potenze egemoni: Regno Unito, Francia e infine Stati Uniti d’America. Cliché che si sono sovrapposti e stratificati come rocce nella cultura accademica e nella “cultura “ di larga diffusione, da quella giornalistica a quella dei ceti popolari.
Il contesto ideologico-politico dei partiti di volta in volta al governo in queste nazioni è sempre rifluito entro l’esercizio effettivo del potere politico inteso quale diretta espressione dell’egemonia capitalistico-speculativa operante sulla dimensione legislativa, geopolitico-economica e strategica e amministrativa dello Stato. In particolare, in merito ai temi energetici ai confronti internazionali e alla salvaguardia di particolari privilegi interni e esterni.
Esso non è stato giammai ispirazione di una reale autonomia e la sovranità politica mai ha cercato o saputo sovraordinarsi quale efficiente e reale sfera potestativa. Sfera che dunque si è sempre risolta nell’essere mera esecutrice a garanzia degli interessi di natura speculativa, anche a palese detrimento delle popolazioni governate. Massimamente negli USA e nel Regno Unito.
Tale quadro è quello che oggi abbiamo ancora presente, purtroppo, nell’Europa e nel mondo d’inizio XXI secolo.
Il quadro di mera, acritica esaltazione del liberalismo e della liberal-democrazia (oramai espressione di vecchi infanti dal cerebro collassato) imposto in modo imperturbabile dall’impenitente apologetica delle élite intellettuali nel corso del XX secolo, ha quasi sempre glissato questo nodo centrale, storico ideologico e filosofico. E economico- sociale. Fino ad oggi.
Anzi, con lo svolgersi della storia del XX secolo, questo verso degli eventi ha subito sempre più una forte e irreversibile accelerazione, in concomitanza dapprima con gli esiti della prima guerra mondiale e poi con gli esiti della seconda guerra mondiale. Dall’implosione dell’Unione Sovietica, infine, esso ha assunto un corso inarrestabile.
Siamo così sempre vissuti in un “libero” incapsulamento ideologico e culturale pazzesco, vieppiù accentuato sino ai giorni odierni dall’inarrestabile escalation delle crisi speculative scatenate in Occidente e nel mondo dalla tossicità cronica delle operazioni a pro dei criminali obiettivi dei mastodonti della finanza.
Tutto ciò è andato a detrimento dello sviluppo culturale e politico del modello stesso della cultura liberale e di quella, derivata e un po’ spuria, detta liberaldemocratica.
Sul piano della cultura ufficiale (documenti governativi, università e scuola), degli istituti e dei centri di ricerca, molte volte mere diramazioni degli interessi delle élite economiche e del loro collant politico, questo quadro pseudo storico è diventato assolutamente indiscutibile, dogmatico, per quanto sia ancora presente un esteso e folto mondo marxista, comunista, socialista radicale che monopolizza non pochi settori del mondo culturale quale espressione di potenti ceti di notabili totalmente sconfitti che dalla loro distruzione ideologica e politica sanno trarre e continuano a trarre grande profitto e magnifici successi mondani, ben galleggiando in un sistema capitalistico spavaldo e selvaggio. Una nomenklatura che è una vera feccia sociale e una parassitaria e terribile sovrastruttura onnivora, alla faccia dei proletari, della piccola e media borghesia, dei ceti professionali sacrificati al Moloch di questo spregevole successo “individuale”.
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Da questa indispensabile premessa, consegue che per capire cosa è accaduto nel Regno Unito bisogna dapprima essere consapevoli che in esso ampi strati della popolazione appartenenti ai diversi ceti sociali (in modo particolare, i proletari e parte degli agiati, gli abitanti dei centri minori e delle campagne, parte dell’aristocrazia, i cinquantenni e gli anziani, le persone con minore cultura delle contee inglesi e gallesi) hanno vissuto in questi ultimi decenni, pur facendo già parte dell’Unione Europea, entro una pseudo realtà circuita e veicolata dall’immaginario collettivo dell’impero britannico quale entità ancora viva sul piano politico-economico e in esso rimasta totalmente insaccata.
Questo perdurante sdoppiamento della realtà prodotto dall’interazione di più fattori quasi tutti cogenti all’interno stesso della trappola della fantasia e della sua aberrazione storica con balordi e volgari tratti spiccatamente etnici, ideologici, politici, ha consentito d’un lato di fare prosperare l’arroganza dura a morire di questa implacabile “razza” di colonialisti e sfruttatori che si adontava e si adonta di essere la prima e più antica democrazia al mondo; e, al contempo, con il menare vanto della sua peculiare diversità pure all’interno dell’Unione Europea, di avere in essa soltanto a pretendere da chiunque e da tutti.
Tutto ciò ha stimolato, istigato i governi di Sua Maestà per quarant’anni a imporre con superbia e minacce agli organismi comunitari il riconoscimento di eccezioni su eccezioni, fino alle ultime estreme e assurde concessioni fatte or è poco tempo a Cameron.
Gli altri europei, e non ultimi gli sconfitti italiani e tedeschi, hanno sempre continuato a guardare i britannici con non malcelata simpatia consentendo loro tutto ciò. Indubbiamente perché con il livellamento informativo, storico e psicologico per decenni operato è prevalso il biasimevole e sconfortante quadro qui già delineato. Ovvero quello dell’egemonia incontrastata esercitata dalla perfida regina dei mari, l’implacabile e gelida Albione, che con il dominio sui mari e gli oceani ha imposto la sua durissima “libertà” di navigazione e dei commerci a suon di onerosissimi e sproporzionati dazi doganali, ricatti, guerre , massacri per oltre tre secoli in ogni dove. E ha imposto così le sue infondate e false verità.
Egemonia invitta che sul piano della divulgazione propagandistica e delle mode culturali e degli scimmiottamenti intellettualoidi si è dunque consolidata come un insieme di verità coriacee e di pedissequa, stolta imitazione. Ciò ha determinato né più né meno una quasi totale assuefazione e una passiva recettività delle mode culturali inglesi, specie in materia ideologica e politico-economica. Insomma, è come dire che dopo l’Atto di navigazione e dopo l’avvio della prima fase matura della rivoluzione industriale (produzione e utilizzazione delle prime macchine a vapore), i salotti dei finanzieri e degli industriali londinese abbiano svolto ininterrottamente il ruolo e il potere tipico del collegio cardinalizio della chiesa cattolica.
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Bene dunque la Brexit, qualora questo risultati referendario dovesse avere concreta applicazione politica. Essa ci toglie non soltanto un componente ingombrante ma anche riottoso, ambivalente, fastidioso e pericoloso. Un componente che ha sempre giocato sporco, in uno con la Francia, nel non fare crescere l’Unione Europea, obbligandola a vivere in una condizione di permanente minorità, giacché si è sempre posta di traverso nel tema di massima importanza. Quello relativo all’unificazione della politica estera e di difesa e della nascita di una conduzione strategica davvero comunitaria. Un componente dunque che ha mirato soltanto a speculare a cronico detrimento degli altri componenti dell’Unione Europea e degli obiettivi e dei valori che essa rappresenta.
Naturalmente, ciò, come vedremo, è venuto alla fine anche a colpire in questa prima fase la parte più dinamica, qualificata, culturalmente più elevata e feconda del popolo britannico, e in particolare le giovani generazioni, visto che il corso della storia anche sul suolo inglese non è rimasto così mummificato.
Clamorosa e micidiale contraddizione che in uno con quella dell’aperta e definitiva opposizione scozzese, della prevedibile deriva nordirlandese e della non meno clamorosa, storica spaccatura elettorale fra metropoli e grandi città da un lato e centri minori e strati sociali marginali dall’altro, ci presenta oggi l’implosione dell’inesistente impero e delle strabilianti aberrazioni mentali e culturali che ha prodotto e tenuto in vita sino ad oggi.
Con i fantasmi del Commonwealth e con quanto di recente abbiamo avuto occasione più volte di sottolineare pure in merito al fantomatico potere della “pentapoli oceanica” britannica (Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda, entità coloniali), che non è altro che un mero strumento della più cinica e spietata attuazione del predomino spaziale e dello spionaggio degli USA a livello planetario, la scellerata eredità del gran criminale Wiston Churchill è messa definitivamente alle corde.
Per intanto, possiamo anticipare quali dovrebbero essere i punti fermi davanti a un eventuale dietro front anglosassone più che britannico, viste le nette e assolute divergenze con Edimburgo e con Belfast.
Se i giochi fra Regno Unito e Unione Europea si riapriranno, visto che non vi sarà più altro tempo da perdere in giochetti e magheggi, a nostro giudizio ciò dovrà avvenire all’insegna della più completa condizione di parità fra anglosassoni e europei.
Conditio sine qua non non negoziabile dovrà essere la completa accettazione anglosassone del piano di integrazione della politica estera e di difesa comune. Questo dovrà comportare la revisione dell’autonomia strategica di Londra, ad iniziare dalla sua politica autonoma in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU, la rinuncia al rapporto preferenziale e speciale con gli USA, la messa a disposizione della difesa europea dell’arsenale nucleare, la rinuncia a intraprendere azioni unilaterali di guerra a carattere neocoloniale e terroristico, la priorità delle scelte e decisioni europee rispetto a quelle transatlantiche, l’applicazione integrale delle decisioni comunitarie, la priorità assoluta dell’adesione all’UE rispetto a atri accordi politico-economici internazionali, accordi che saranno ratificabili previo consenso europeo (così come per tutti gli altri Stati membri)
Questi aspetti dovranno connotare anche la nuova pagina che la Francia postdegaulliana dovrà porre in essere in pari tempo.
Da ciò dipenderà grandemente la rifondazione dell’Unione Europea e il suo rilancio, in uno con il porre l’accento della nuova carta sui valori umani, culturali e sociali e subordinando gli interessi economici del mondo finanziario e dello sciovinismo micronazionalistico agli interessi superiori della sovranità dei popoli della nuova Europa.
Il consiglio dei capi di Stato e di governo dovrà conformarsi a questa direttiva e dovrà essere subito applicato il principio della non unanimità dei consensi e quindi della maggioranza dei voti, introducendo specifici ulteriori correttivi a pro del riequilibrio delle responsabilità e dei ruoli fra entità statuali maggiori e minori (Cipro, Malta, Paesi baltici), invitando questi ultimi a riunirsi alle madrepatrie (Grecia, Italia) e a federarsi direttamente o rifederarsi (Paesi baltici, boemi e slovacchi).
Del pari, subito dovrebbe essere varata l’Europa a doppia velocità per quanto attiene gli aspetti economici e di bilancio, previa la definitiva rinuncia all’erroneo rapporto debito pubblico – pil, visto che il fattore risparmio gioca un ruolo comprimario per arrivare a determinare oggettive valutazioni.
(continua)