20 Luglio 2017
Fonte: Vita
Filippo Romeo
Il Ruolo dell’Europa nell’area balcanica
Nell’idea di Balcani si configurano e si fondono dei concetti e delle definizioni tra il reale e l’ideologico, generando, così, una contrapposizione di concetti geografici e geopolitici.
Se, infatti, in alcuni casi con il termine “Balcani” si fa riferimento ad un sistema montuoso, in altri la definizione tende ad allargarsi per indicare la penisola, o un’area di instabilità cronica, polveriera d’Europa o ventre molle del Continente, fino ad essere utilizzato per declinare un giudizio di valore (si pensi all’espressione “balcanizzazione”, paradigma utilizzato in altri contesti geografici caratterizzati da instabilità politica).
La particolarità di tale spazio, che per secoli è stato veicolo di grandi migrazioni, guerre, traffici e scambi culturali, è data dalla sua conformazione fisica che ha fatto di esso una faglia, o punto di contatto, tra differenti aree (occidentale e orientale), modelli religiosi e culturali (cristianesimo e islam, cattolicesimo e ortodossia), nonché tra due modelli economici antagonisti. I Balcani, osservando una carta geografica, presentano, inoltre, una triplice “personalità” in distanze brevi: mediterranea e marittima lungo la costa, centroeuropea nelle pianure settentrionali, balcanica nella massa continentale. Il mosaico etnico, altro concetto associato ai Balcani, sembra dunque rappresentare un singolo aspetto collegato a un contesto più ampio, caratterizzato da complessità e frammentarietà.
Le contrapposizioni e le tensioni che contraddistinguono tale area, crocevia e oggetto di bramosie esterne, e che in maniera diversa si sono rinnovate periodicamente fino ad oggi, fanno appello a fattori di lunga durata della storia europea, ma soprattutto alle peculiarità insulari, periferiche e degli spazi chiusi che la caratterizzano. Tali condizioni hanno, infatti, reso difficile il formarsi e lo svilupparsi di una consapevolezza proto-nazionale, fondata su una coscienza territoriale che nascesse da una cultura urbana e borghese. La diversa stratificazione di culture urbane hanno, al contrario, dato vita a differenti percorsi identitari su cui successivamente si sono costituiti i nazionalismi balcanici caratterizzati per lo più da elementi quali l’etnocentrismo e la xenofobia. L’affermazione delle nuove nazioni, infatti, si basava prevalentemente sul collante della purificazione da elementi estranei al gruppo naturale. Tali spinte nazionalistiche, su cui le potenze straniere intrecciarono in modo ambiguo l’influenza culturale a quella geopolitica per erodere definitivamente l’autorità dell’Impero Ottomano e l’impianto istituzionale che aveva messo in piedi, trasformeranno i Balcani in terreno di scontro (interposto) delle rivalità delle potenze europee. Allo stesso modo si può ricordare come l’unificazione dei Balcani è stata possibile solamente con l’intervento della potenza straniera del Sultano. Si può, infatti, affermare che la storia di tali territori, procedendo nello stesso senso della geografia, caratterizzato da complessità e diversità, ha rafforzato alcuni tratti peculiari quali la diffidenza verso lo Stato, identità culturali rafforzate e un debole attaccamento territoriale legato perlopiù all’ambito della piccola regione naturale.
Tali fenomeni sono riemersi con il crollo del Muro di Berlino e la scomparsa delle grandi entità multinazionali (la dissoluzione dell’URSS e della Jugoslavia) che ha fatto registrare una nuova corsa all’integrazione di spazi vuoti, dando così origine alle guerre di secessione jugoslave che, non a caso, si sono situate sul crinale di una grande transizione geopolitica.
La carenza di una concreta azione politica da parte dell’Europa – agevolatrice in un certo qual modo dell’intervento nell’area degli Stati Uniti per il perseguimento dei propri interessi strategici – ha non solo impedito la ricerca di una soluzione, ma alimentato i contrasti esistenti, fino al punto da definire l’area “ginepraio geopolitico”.
Tutto ciò accadeva mentre in Europa la Comunità si apprestava a creare un mercato comune e a negoziare il Trattato di Maastricht per la creazione di una Unione economico-monetaria. Tale crisi, quindi, oltre a costituire una minaccia per il costituendo ordine europeo ha rappresentato un’occasione mancata in cui l’Europa avrebbe potuto dimostrare che esiste e che è in grado di agire come una grande potenza.
É evidente che se la politica di un’era dinamica come questa ha il potere, sfruttando l’evoluto sistema di comunicazioni, di dilatare o comprimere gli spazi e di adottare denominazioni, concetti e dottrine strategiche non corrispondenti alla vecchia geografia, tuttavia non ha però il potere di cambiare la geografia stessa, né ciò che gli uomini hanno accumulato sul territorio per millenni, dal punto di vista urbano, economico, infrastrutturale, etnico e politico.
Ogni rappresentazione strategica, infatti, non può prescindere dai potenti vincoli determinati dalla geografia e dalla storia. Nella geo-storia della nostra epoca, la “cerniera balcanica”, i cui confini hanno spesso diviso gli storici e che fa riferimento a un’idea di uno spazio ben delimitato piuttosto che a una grande regione geografica (il confine naturale è la catena dei Balcani o il Danubio? La Romania e la Slovenia ne fanno parte? Turchia e Grecia?), occupa un’area europea rappresentata da paesi entrati nella UE o candidati all’ingresso. Il nucleo centrale di quest’area può essere rappresentato, per semplificare, dal triangolo Belgrado-Salonicco-Sofia. Sotto il profilo strettamente geopolitico si può affermare che a tutt’oggi i Balcani non costituiscono un sistema unitario ma sono molto frammentati sia nella direzione Nord-Sud che in quella Est-Ovest. Ad eccezione della Slovenia, e in parte anche della Croazia – per ragioni storiche strettamente collegate all’Europa centrale – la regione si può suddividere in Balcani occidentali, meridionali e orientali. La prima area, dal punto di vista geopolitico è caratterizzata dal contrasto tra la Serbia e la Croazia per espandere la propria influenza sulla Bosnia Erzegovina; la seconda dalla questione albanese e dagli influssi della Grecia; la terza ha caratteristiche peculiari, ed è formata da Stati bagnati dal Mar Nero.
L’Europa, dunque, ha il dovere di integrare questa area attraverso una strategia di sviluppo e di interconnessione regionale che metta a punto una solida rete infrastrutturale di trasporti, strumento di fondamentale importanza in quanto idoneo ad agevolare e incrementare l’interscambio economico e le “contaminazioni” culturali necessarie a far germinare quel sentimento di appartenenza europea utile alla creazione di una consolidata coscienza continentale, embrione di una vera e strutturata unione politica. La circolazione trans-balcanica (si pensi all’asse danubiano, o alla Via Egnatia, all’asse Lubiana-Belgrado, e da questa a Istanbul) ha rappresentato storicamente un elemento capace di unificare le diverse popolazioni della regione, al contrario dell’atomizzazione dei paesi e degli Stati, favorendo la creazione di un insieme integrato, unificando i Balcani e collegandoli al mondo. Le reti di circolazione rappresentano dunque un elemento fondamentale, soprattutto nell’attuale epoca di transizione geopolitica multipolare.
È pur vero, infatti, che la pianificazione di qualsiasi sistema infrastrutturale non può ovviamente prescindere dal quadro geopolitico e geo-economico globale, a maggior ragione nel contesto attuale in cui le infrastrutture continentali costituiscono un momento essenziale per la ripresa economica, essendo in grado di influire sia sui processi di modernizzazione tecnologica che sulla stabilità in politica estera. A tal proposito è importante far riferimento al fatto che non è un caso che la potenza economica sviluppata negli ultimi periodi dal colosso cinese sia supportata da una serie di progetti infrastrutturali strategici utili ad accompagnare, tutelare e accrescere le capacità espansive del Paese. Tra questi rientra senz’altro il grande progetto della “Nuova Via della Seta” di terra e di mare, ideato da Pechino con il principale obiettivo di avvicinare la Cina al resto della massa continentale euroasiatica e al Mediterraneo, nonché di sviluppare le zone dell’entroterra, rimaste arretrate rispetto alla fascia costiera.
Ma oltre alla Cina anche attori come Russia, India, Iran, i Paesi Africani, quelli dell’aggregato ASEAN e dell’ America Latina si stanno muovendo per la realizzazione di nuovi vie di comunicazione.
Pertanto, a fronte di questo attivismo che si sta vivendo a livello globale è bene che anche sul fronte europeo si proceda ad una strategia di sviluppo e di interconnessione regionale attraverso una solida rete infrastrutturale di trasporti che interessino tutta l’Europa e, più in particolare, l’area balcanica. Ciò potrebbe avvenire stimolando iniziative innovative per promuovere la partnership tra pubblico e privato (ovviamente nessuna forma di integrazione può essere indolore e per essere considerata legittima deve basarsi sul consenso e la concertazione dei governi locali).
L’importanza dello sviluppo dei corridoi diventa quindi essenziale a questo proposito. Per l’Italia, in particolare, i corridoi V e VIII rivestono un elevato valore strategico. In particolare il corridoio V è di grande importanza per gli sbocchi dalla pianura padano-veneta verso Nord-Est. Soprattutto per la tratta Trieste-Budapest dove insistono gli interessi di Austria e Germania che, ovviamente, hanno una comprensibile intenzione a mantenere intatti i traffici stradali e ferroviari che utilizzano le loro reti anche per quanto riguarda i traffici provenienti dalla Francia meridionale, dalla penisola iberica e dalla Svizzera meridionale. Tali flussi, infatti, sarebbero intercettati dal corridoio V, qualora esso presentasse condizioni migliori delle attuali. Vi è da aggiungere, inoltre, che un miglioramento dei collegamenti transfrontalieri con l’area balcanica potrebbe anche favorire una concreta e reale stabilizzazione e integrazione della stessa con la parte occidentale dell’Europa, depurata dal pericolo (attualmente latente) di terrorismo e criminalità. Il perdurare dell’attuale instabilità consoliderebbe, infatti, il proliferare della criminalità organizzata e il terrorismo rendendo la faglia balcanica ancor più frammentata e instabile e generando una insanabile frattura con l’effervescente area euroasiatica che sta vivendo un periodo di inesorabile crescita e espansione.
Bisogna quindi puntare sulla piena valorizzazione del concetto di “rete” per puntare alla realizzazione di una piena integrazione verticale e orizzontale del sistema Europa. Questi collegamenti potrebbero favorire l’attenuazione di quella frammentazione che ha contraddistinto la storia di questa regione, la quale potrebbe invece riprodurre non più un terreno di scontro, ma di opportunità, rappresentando al tempo stesso un elemento a supporto di una maggiore integrazione europea.
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