1° Novembre 2018
Fonti: Copernicum, IBS, Amazon
La matassa.
Credenze religiose alla luce della storia e della filosofia, politica e ideologie, antropologia sociologia e etnocentrismi, interpretazioni letterali fedi paradigmatiche psicologia e fanatizzazione delle masse.
Valide letture e riletture di
NON novità editoriali di godibile e coinvolgente saggistica non specialistica,
su tematiche scottanti e esplosive relative a più ambiti disciplinari,
con analisi critiche condotte secondo prospettive diverse dalle nostre e differenti fra di esse, che mettono a nudo gli idola fori della propaganda sionista e delineano le palingenesi dei movimenti esclusivisti che fioriscono all’interno delle religioni del monoteismo di origine giudeo-israelitica.
Tematiche da noi più volte affrontate e che continueremo ad affrontare senza accettare condizionamenti di sorta.
Ai quattro angoli del fondamentalismo
Movimenti politico-religiosi nella loro tradizione, epifania, protesta, regressione
a cura di Roberto Giammanco
Volume rintracciabile come
Editore: La Nuova Italia
Autore: Roberto Giammanco ( a cura di)
Titolo: Ai quattro angoli del fondamentalismo. Movimenti politico-religiosi nella loro tradizione epifania protesta regressione
Collana: Idee 6
Anno edizione:1993
Pagine: 415 p.
Prodotto usato, Prezzo medio solo € 10. Nel 1998, Prezzo del volume nuovo L.53.000
Condizioni: Usato – In buone condizion
EAN: 2560007880206
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ISRAELE
UNO STATO RAZZISTA
di Mario Moncada di Monforte
“Israele uno Stato razzista” non è un pamphlet contro gli ebrei né contro l’ebraismo ma, secondo l’autore, chi conosce la storia del mondo e sa delle vessazioni inflitte agli Ebrei lungo i duemila anni della storia d’Europa fino ai crimini del razzismo nazista, non può rimanere stupito e sconcerta nel constatare che oggi gli Ebrei sionisti governano Israele con un comportamento chiaramente razzista. Il saggio, scritto da un autore che descrive l’ebraismo come la religione spirituale più raffinata e umanamente più costruttiva, documenta le ragioni delle affermazioni delle affermazioni di Finkelstein esclusivamente con testimonianze dirette di ebrei che, in Israele e nel mondo, protestano per il razzismo sionista che discrimina e maltratta non solo i Palestinesi, ma anche gli ebrei non ashkenaziti, cioè non europei.
Editore: Armando Armando, Roma
Autore: Mario Moncada di Monforte
Titolo: Israele uno Stato razzista
Formato: EPUB
Cloud: Sì Scopri di più
Compatibilità: Tutti i dispositivi (eccetto Kindle)
Scopri di piùDimensioni: 2,3 MB
Pagine della versione a stampa: 208 p., Prezzo € 9,99
EAN: 9788860817327
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IL CORAGGIO DI NORMAN FINKELSTEIN. L’INDUSTRIA DELL’OLOCAUSTO. CONTRO I FANATICI MATTARELLI
05 Febbraio 2018
ripubblichiamo
quanto avevamo già pubblicato il
06 Marzo 2010
Qui nuove fonti: YOUTUBE it, Petite Plaisance Blog
«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
Nota di Domenico Cambareri
Ricerca storica e onestà intellettuale
che mettono a nudo l’opera
dei pericolosi Fielefiano che imperversano
quali operatori della disinformazione sistematica
e del rinnovato attacco sionista all’Italia e all’Europa.
L’INDUSTRIA DELL’OLOCAUSTO, documentario su Norman Finkelstein (ITA)
…. Allora, stranamente il libro diventò introvabile….
IL CORAGGIO DI DENUNCIARE
LA PIU’ COLOSSALE SPECULAZIONE
SULLE VITTIME DEI MASSACRI NAZISTI.
GLI ANNI PASSANO, MA LA MACCHINA SIONISTA
SI CONFERMA ESSERE UN TERRIBILE LEVIATANO
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Norman Finkelstein, l’antinegazionista ostracizzato
6 Marzo 2010
Fonti: Olokaustos, IBS, Liquida, La giovane Talpa, Repubblica, Arcipelago.org, Andrea Carancini
L’antinegazionista ostracizzato
La difficile ricerca e i mille divieti. Finkelstin contro la rabbia della lobby sionista
Nessuno si chiede chi controlla in Italia l’editoria – Che fine ha fatto il libro L’industria dell’olocausto? – Ricordarsi sempre che “ebreo” non significa eo ipso israelita e men che mai sionista – Il fanatismo laico e religioso dell’imperialismo sionista – Israelebombarda è espressione dell’imperialismo sionista? – Torniamo alla storia e ai documenti sulle stragi naziste, torniamo su chi ci piange e su chi ci specula – Separare la storia europea e nazista di ieri dalla storia della Palestina sotto Israele e la lotta dei palestinesi – Vediamo cosa scrivono gli altri, all’incirca a a 360°
L’industria dell’Olocausto
di Giovanni De Martis
“L’industria dell’Olocausto”: dal libro all’intervista di Giovanni De Martis
L’intervista
Abbiamo intervistato il professor Norman Finkelstein autore del discusso “L’industria dell’Olocausto” recentemente pubblicato in Italia e che è stato al centro di un animato dibattito negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Germania. Vedi anche il nostro commento all’intervista e la nostra recensione al libro.
De Martis: Prof. Finkelstein, il suo libro “L’industria dell’Olocausto” non era ancora stato tradotto in italiano che erano sono già apparsi volumi scritti da revisionisti che ne commentavano i contenuti. Numerosi siti negazionisti riportano la sua opera utilizzandola nella loro campagna di negazione della Shoah. Cosa pensa di questo uso negazionista del suo lavoro? Si sente a disagio per questa strumentalizzazione delle sue parole?
Finkelstein: La ragione principale per cui i negazionisti si sono immediatamente appropriati del mio libro è che l’industria dell’Olocausto l’ha immediatamente catalogato come negazione dell’Olocausto per deviare l’attenzione da critiche a cui non era in grado di rispondere. Se l’industria dell’Olocausto non l’avesse catalogato come negazione dell’Olocausto, dubito che i revisionisti l’avrebbero sostenuto. Nel libro non esiste una sola parola che possa essere interpretata come negazione dell’Olocausto. al contrario, io sostengo nel corso dell’intero libro che la descrizione dell’Olocausto nazista come l’uccisione degli ebrei in modo industriale, come in una catena di montaggio, è corretta, così come sono (più o meno) corrette le cifre delle persone uccise che vengono convenzionalmente indicate. Una delle principali argomentazioni del libro è che proprio l’industria dell’Olocausto è diventata la principale promotrice del negazionismo nel mondo. Se il libro contenesse una sola parola di negazione dell’Olocausto, perchè mai Raoul Hilberg, il piùautorevole studioso dell’Olocausto nazista, l’avrebbe ripetutamente appoggiato? Naturalmente avrei preferito non ottenere il sostegno dei revisionisti, così come sono certo che i maggiori critici dell’ex UnioneSovietica avrebbero fatto volentieri a meno dell’appoggio dei fanatici della destra.
Lei sostiene l’esistenza di una vera e propria lobby che ha trasformato la Shoah in un affare. Quale è il modo corretto a suo parere per affrontare il tema della Shoah?
Non vedo alcun bisogno di inventare nuovi metodi per affrontare l’argomento dell’Olocausto nazista Gli strumenti tradizionali degli storici mi sembrano adeguati. Forse questi strumenti non sono totalmente adeguati per comprendere appieno quello che è successo, ma non c’è motivo di supporre che lo siano di più per comprendere altri eventi storici. L’Olocausto nazista fa sorgere alcune nuove domande, ma non mette in discussione i metodi convenzionali per fornire le risposte a queste domande. La migliore storiografia – ad esempio “La Distruzione degli Ebrei d’Europa” di Raoul Hilberg – utilizza i metodi tradizionali..
Come giudica il fenomeno negazionista e quali crede siano i motivi della sua crescita?
In genere, il negazionismo è un fenomeno estremamente marginale, gonfiato dall’industria dell’Olocausto per giustificare la propria esistenza. Tuttavia, esiste il periocolo che il fenomeno cresca a causa di tutte le falsificazioni dell’industria dell’Olocausto. Se non fose per il fatto che i miei genitori stessi, al termine della loro vita, sono passati attraverso l’Olocausto nazista, anch’io a quest’ora sarei uno scettico. Chi potrebbe ancora credere una sola parola proveniente dall’industria dell’Olocausto? Per citare un solo esempio, secondo l’industria dell’Olocausto decine di migliaia di sopravvissuti all’Olocausto nazista saranno ancora vivi nel 2035. E’ diventata una barzelletta di cattivo gusto.
Recentemente Perr Ahlmark ex primo ministro svedese ha scritto: “L’antisemitismo tradizionale voleva un mondo Judenrein, l’antisemitismo moderno punta ad un mondo Judenstaatrein”. Condivide questa affermazione?
Molti antisemiti sostengono Israele; molti ebrei ortodossi sono fanatici antisionisti. Il vero obiettivo del poco intelligente epigramma di Ahlmark è zittire qualsiasi critica di antisemitismo mossa ad Israele. Sono ritornato proprio ieri dopo aver trascorso alcune orribili settimane in Cisgiordania e Gaza. E’ veramente antisemitismo deplorare la repressione criminale di Israele nei confronti dei Palestinesi? Io non lo credo.
Biografia del prof. Norman Finkelstein
Norman Finkelstein è nato nel 1953 a Brooklyn (New York). Ottiene il dottorato presso il Department of Politics della Princeton University discutendo una tesi sulla teoria del Sionismo. Sino ad oggi ha pubblicato quattro volumi: “Image and Reality of Israel-Palestine Conflict” (1995), “The Rise and Fall of Palestine” (1996), “A Nation on Trial: The Goldhagen Thesis and Historical Truth” (1998) insieme a Ruth Bettina Birn. “The Holocaust Industry” è stato pubblicato in USA nel 2000. Attualmente insegna scienze politiche alla DePaul University a Chicago.
Leggi la recensione su www.olokaustos.org
L’ industria dell’Olocausto. Lo sfruttamento della sofferenza degli ebrei
Autore Finkelstein Norman G.
Prezzo € 9,20 Dati 2004, 368 p., brossura Traduttore Restani D.; Zuppet R.; Balducci C. Editore BUR Biblioteca Univ. Rizzoli (collana Saggi)
Un’intervista che non convince Claudio Vercelli
Si sarebbe tentati di liquidare velocemente quel che Norman Finkelstein va sostenendo nella sua intervista così come, in maniera ovviamente più argomentata, nel suo The Holocaust Industry. Già dal titolo del libro, peraltro, l’irritazione di chi vi si avvicina è quantomeno sollecitata. L’autore lo sa bene e si può dire che cerchi di giocare le sue carte proprio sull’effetto di spiazzamento che l’intero progetto editoriale induce nel lettore. Poiché non molto di altro residua all’atto della lettura. Che il volume sia un pamphlet e che nel caso dell’intervista si sia in presenza di un esercizio aggressivo e autodifensivo, sono due fatti evidenti. Ma proprio perché il gioco è in qualche misura scoperto vale la pena di indagare su quelle che sono le premesse e, in una certa misura, gli effetti di tale operazione. Tralasciando gli esercizi dietrologici o le facili illazioni e cercando di capire qual è il coté intellettuale che permette ad un docente universitario come Finkelstein di assumere una posizione così marcata e radicale, contravvenendo, almeno in alcuni passaggi, agli stessi principi del buon gusto. In quanto ciò che egli afferma è condiviso da un numero significativo di esponenti di quella “new left” che ha sposato, negli Stati Uniti come in Europa, la causa palestinese e per la quale è disposta a concedere molto, anche contro i dati di giudizio condiviso. E si incontra, non più occasionalmente, con certe posizioni di una destra radicale che si vorrebbe anch’essa nuova ma che abitualmente si rifornisce dal retrobottega della storia, trovando nella vulgata negazionista nuova legittimazione per antichi paradigmi e, al contempo, la radice di una presunta bontà delle sue proprie idee. Bontà che in questo caso sta per continuità, per fedeltà al dogma imprescindibile e indiscutibile dell’antisemitismo come chiave di interpretazione del processo storico. Gli elementi per assentire sulla convergenza ci sono tutti: teoria del complotto e della congiura, visione dietrologica dei processi storici e così via. In genere, il novero delle “colpe” attribuite agli ebrei, in quanto gruppo tematizzato come sociologicamente omogeneo e politicamente compatto – da cui il discorso onnipresente sulla cosiddetta “lobby sionista” – sono la proiezione capovolta delle fantasie di impotenza che caratterizzano i gruppi antisemiti. Si è detto, e a ragione, che Finkelstein non è ascrivibile al novero dei negazionisti ipso facto. Non solo cerca di smarcarsi da questa spiacevole compagnia, che peraltro lo frequenta e assiduamente (almeno a giudicare dalla ricorrenza del suo nome nei diversi siti di area), ma nel suo libro si occupa poco o nulla della Shoah e molto di quel che dopo è avvenuto. E quel dopo è fatto di molte cose ma in particolare modo di quattro aspetti, che stanno bene al centro della comune riflessione pubblica come nel più solipsistico The Holocaust Industry: la questione della restituzione dei beni proditoriamente sottratti e dei risarcimenti per le sofferenze patite; la ricezione del fenomeno olocaustico all’interno delle memorie nazionali europee e il problema dell’uso pubblico della storia; la cosiddetta “americanizzazione” della Shoah, la sua mediatizzazione e l’interconnessione con la vicenda israelo-palestinese; lo statuto di vittima di fatti genocidiari nella nostra contemporaneità. E’ su questi quattro temi che Finkelstein si esercita con il suo libretto; ed è sulla distorsione di queste problematiche, sulla loro torsione a finalità di natura ideologica che si gioca la sua credibilità. Il repertorio degli elementi, in sostanza, ha un suo fondamento; il modo in cui vengono usati, per non dire manipolati, è non solo ben poco scientifico ma anche discutibilissimo dal punto di vista morale. Vi sono sovrapposizioni, distorsione e asimmetrie che rendono il dettato a tratti miope così come, in altre circostanze, presbite. Su queste distonie crolla l’impalcatura concettuale della proposta contenute nelle pagine del suo libro come nelle parole dell’intervista. Finkelstein è uno di quegli intellettuali militanti completamente assorbiti dall’oggetto del proprio interesse, al punto da non riuscire ad assumere una qualche forma, fors’anche residuale, di distanziamento critico dalle sue stesse opinioni e, soprattutto, dai moventi che le orientano. E il centro di gravità del suo pensiero si chiama Palestina, non Shoah. Il riduzionismo gli si addice, intendendo con ciò quella pratica intellettuale in ragione della quale la complessità degli eventi viene ricondotta ad una unica matrice. Si tratta di un modo di trattare i dati della storia – di una metodologia in altre parole – e non di un percorso interpretativo ed ermeneutico concorrente a quelli comunemente utilizzati. Come tale esso è parte integrante delle strategie di controllo degli eventi e di mistificazione interpretativa degli stessi che i negazionisti pongono in essere.Finkelstein ne porta la responsabilità. Non è un negazionista ma usa la strumentazione negazionistica. A partire dall’adozione stessa dell’espressione “industria dell’Olocausto” che sembra presupporre l’esistenza di un blocco monolitico e compatto che orienterebbe il dibattito secondo finalità precostituite e sulla scorta di una obiettivo di autovalorizzazione. La storia così delineata, si configurerebbe come un deliberato inganno giocato da una parte contro l’altra. Laddove una parte in causa della storia sarebbe gli “ebrei” in quanto tali, un’entità a sé, con proprie logiche e dinamiche alle quali sarebbero sottesi intendimenti e disegni egemonici, almeno sul piano culturale. Questo pensiero non è affermato dal libro né nell’intervista ma è implicato. Poiché tutta la loro costruzione concettuale e linguistica è basata su uno slittamento semantico, una serie di equivoci linguistici che portano a questa conclusione. Autore volente o nolente. Che dimostra anche una notevole proclività verso quella visione etnicizzata dei processi socioculturali e temporali che a tratti contesta agli altri ma che in verità gli è propria. Il richiamo a Raul Hilberg in qualità di garante dell’attendibilità di quanto egli va dicendo sembra più il riferimento di circostanza ad un santino che non il riscontro di una convinta adesione dell’uno all’altro. Quest’ultimo sembra avallare lo spirito libellistico dell’autore, interpretato come una forma di approccio anticonformistico alla materia, in sé annosa e defatigante, delle compensazioni e delle restituzioni oltreché della cosiddetta “unicità” della Shoah. Ma non si spinge oltre, ovverosia si astiene dall’attribuire a Finkelstein quei troppi meriti che non ha. Il focus della presunta reciprocità che l’autore di The Holocaust Industry intenderebbe intrattenere con lo studioso americano ruota intorno a quell’”americanizzazione dell’Olocausto” che negli studi di un Peter Novick ha uno spessore diverso da quello attribuitogli dal primo: si tratta di indagare sulla costruzione di immagini e rappresentazioni socialmente condivise – ed in quanto tali funzionali anche a strategie di autovalorizzazione dei gruppi che se ne fanno carico – attraverso il transito generazionale e il succedersi del tempo. Non su ipotesi di mistificazione ideologica per parte di sodalizi etnico-clanici, come fa Finkelstein, così come quando afferma nell’introduzione al suo libro che “l’Olocausto non è un concetto arbitrario, si tratta piuttosto di una costruzione intrinsecamente coerente, i cui dogmi-cardine sono alla base di rilevanti interessi politici e di classe. Per meglio dire, l’Olocausto ha dimostrato di essere un’arma ideologica indispensabile grazie alla quale una delle più formidabili potenze militari del mondo, con una fedina terrificante quanto a rispetto dei diritti umani, ha acquisito lo status di ‘vittima’, e lo stesso ha fatto il gruppo etnico di maggior successo negli Stati Uniti.” Hilberg, storico a tutto tondo, d’altro canto, ben poco ha a che fare con il procedimento intellettuale adottato Finkelstein. Il quale non argomenta. E non supporta con dati sufficienti e documentazione appropriata le sue affermazioni (assai poco documentabili, comunque). E’ tassativo, assertivo e apodittico. Usa una scrittura aggressiva e spiazzante. Il tono che adotta è inconfondibilmente prescrittivo. Non ha tesi da comprovare bensì sintesi da affermare. Irrilevanti sono i giudizi di dato storico sui quali fanno premio, invece, i giudizi di valore sugli attori della storia. Poco male se non fosse per il fatto che così travolge gli interlocutori, obbligandoli preventivamente a posizionarsi rispetto alle sue dichiarazioni, azzerando il dibattito ed orientandolo versi esiti predefiniti. Poiché egli non costruisce percorsi ma si limita a seguire un tracciato circolare che parte dall’acritica assunzione della causa palestinese come punto di riferimento per ogni successiva valutazione sulla storia, propria ed altrui, per giungere alla formulazione di una serie di proposizioni predittive. Dice di non vedere “alcun bisogno di inventare nuovi metodi per affrontare l’argomento” dello sterminio. Rivelando così la sua scarsa considerazione per l’evento in sé, ridotto tout court alle sue deprecate manifestazioni massmediali, e per la storia stessa come per il metodo della ricerca inesausta e inesauribile. Finkelstein sembra poi ignorare quanto in lingua tedesca è stato ancora recentemente scritto, così come quanti e quali siano i molteplici filoni di riflessione che si stanno a tutt’oggi sviluppando, soffermandosi piuttosto su quel marpione massmediatico che è David Irving verso il quale non riesce a sottacere una malcelata simpatia. Se non altro per l’atteggiamento istrionesco e la personalità narcisistica che entrambi condividono. Insomma, parole e idee adatte ad un mercato delle drammatizzazioni più che ad una riflessione volta ad evitare quei cliché e quei pregiudizi dai quali l’autore dice di voler affrancare i lettori attraverso la sua opera, senza riuscirvi se non nella direzione esattamente opposta a quella che si afferma come voluta.
Il libro fantasma
Leggi il libro su www.giovanelatalpa.net
Norman G. Finkelstein
L’industria dell’Olocausto
Lo sfruttamento della sofferenza degli ebrei
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Riprendiamo dall’interessantissimo sito della casa editrice La Giovane Talpa il libro di Norman Finkelstein “L’industria dell’Olocausto”, testo cruciale per la comprensione dello sfruttamento della tragedia vissuta dal popolo ebraico operato dalle lobby sioniste internazionali. Come scrivono nella loro premessa i redattori della Giovane Talpa, il libro è stato “inspiegabilmente” ritirato dalle librerie italiane dopo essere stato pubblicato nel 2002.
Come tutti, ignoravamo che fosse stato perpetrato quest’atto di inaccettabile censura e di violazione del diritto di informazione. Ci associamo, dunque, all’iniziativa meritoria de La Giovane Talpa (di cui condividiamo pienamente anche la premessa), mettendo a disposizione dei nostri lettori il testo di Finkelstein. Consigliamo, data la lunghezza, di scaricarlo e stamparlo. Pubblichiamo anche il link al sito de La Giovane Talpa, dove sono presenti informazioni politico – letterarie ed altri testi liberamente scaricabili. Premessa: Nel pubblicare in versione elettronica questo libro sottoposto a copyright Rizzoli non pensiamo di fare opera di pirataggio alcuno. La Rizzoli dopo aver pubblicato questo volume nel 2002 ha deciso di ritirarlo dal mercato senza spiegazione alcuna. I motivi ce li immaginiamo. Rendendo disponibile questo volume NON A SCOPO di lucro facciamo ciò che dovrebbe essere un dovere che nei confronti di un’opinione pubblica sempre più intorpidita culturalmente e scarsamente reattiva intellettualmente. Il libro è vieppiù interessante nella misura in cui alcuni commentatori come il signor A. Sofri, tendenziosamente sostengono che l’antisionismo altro non sarebbe che una variante dell’antisemitismo (La Repubblica 28 novembre 2003). In realtà fu proprio il movimento sionista a negoziare con i nazisti, focolare ebraico e a vedere nello sterminio degli ebrei in Europa un gigantesco spot da sfruttare in vista della costituzione del proprio Stato in Palestina. I comunisti rivoluzionari – e cioè coloro che mai si macchiarono dei crimini stalinisti anche contro gli ebrei – non possono essere antisemiti perchè non credano che esista razza alcuna e sono per la fratellanza tra tutti gli uomini al di là dei loro credi religiosi, delle loro culture o delle loro preferenze sessuali. All’inizio del secolo furono migliaia i comunisti e gli anarchici di origine ebraica. Finkinstein non è né un autore negazionista né revisionista. Appartiene invece a quella che viene definita la sinistra liberal americana. Tuttavia nel capitalismo la libertà di espressione finisce laddove cominciano giganteschi interessi economici e politici. Così nessuno si è mai sognato di chiedere conto alla Turchia delle condanne alla detenzione di alcuni attivisti e intellettuali che avevano cercato di pubblicizzare il genocidio degli armeni all’inizio del secolo scorso. Infine per chiarezza non condividiamo neppure il revisionismo e il negazionismo “di sinistra” sviluppatosi in Francia e che non ha mai attecchito in Italia malgrado gli sforzi dell’Editrice Graphos. Costoro non sono più dei rivoluzionari ma solo degli avventurieri. Non si capisce come si darebbe maggiore impulso alla denuncia dei crimini angloamericani negando l’esistenza dei campi di sterminio. Il libro di Finkelstein va in tutt’altra direzione. Siamo sempre disponibili a togliere il libro dal nostro sito nel momento in cui la Rizzoli S.p.A. rimetterà in commercio il libro. Non ci piacciono i roghi dei libri e le censure preventive. Assomigliano troppo a quello che si è visto nella Germania nazista e nella Russia stalinista. O nell’America del Maccartismo.
Leggi il libro su www.giovanelatalpa.net
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Intervista a Norman G. Finkelstein
Bisogna stare molto attenti a come viene adoperato questo termine. Di recente la Adl ha chiamato Jimmy Carter, già Nobel per la pace, terrorista e antisemita per il suo libro in cui critica la politica di Israele. È ormai l’accusa classica e definitiva per zittire i critici, una scorciatoia per screditarli. Norman Finkelstein ha con l’Olocausto un rapporto diretto. I suoi genitori sopravvissero ai Lager, mentre tutti gli altri membri della sua famiglia furono uccisi in guerra in quanto ebrei. Nessuno escluso. Eppure non ritiene l’argomento un tabù e anzi accusa chi lo sfrutta per finalità politiche, come bavaglio per i critici di Israele. Con i suoi libri si è fatta una quantità industriale di nemici. Agguerritissimi. Ma non smette di argomentare, pacatamente, al telefono da Chicago, dove insegna scienze politiche alla De Paul University.
Si parla molto di Olocausto negli ultimi tempi. Inclusa la proposta tedesca all’Europa di punire con il carcere chi lo nega. Lei che ne pensa?
Che si fa benissimo a parlarne ma che, nel caso specifico, si tratta di una tendenza regressiva della società tedesca. E l’inizio del totalitarismo quando si delega allo Stato il potere di determinare la verità.
A dicembre, poi, c’è stata la conferenza dei negazionisti in Iran…
Intanto, ovviamente, non vi ha partecipato neppure uno storico degno di questo nome. Eppure l’Occidente ha cercato di ingigantirne il significato per giustificare un possibile attacco all’Iran. Era un piccolo circo di clown. Si sarebbe fatto bene a ignorarlo.
Lei è stato accusato a sua volta di essere un negazionista dalla Anti Defamatíon League. Com’è possibile?
Bisogna stare molto attenti a come viene adoperato questo termine. Di recente la Adl ha chiamato Jimmy Carter, già Nobel per la pace, terrorista e antisemita per il suo libro in cui critica la politica di Israele. È ormai l’accusa classica e definitiva per zittire i critici, una scorciatoia per screditarli.
Nel suo libro L’industria dell’Olocausto invece lei sostiene una cosa molto diversa. Ovvero che sia stato dirottato dalle organizzazione ebraiche per tutti altri fini. Quali?
Non per salvaguardare la memoria, il passato, ma come salvacondotto per il futuro.
Per tacitare sul nascere ogni possibile critica a Israele. L’argomento è: nessun popolo ha mai sofferto come gli ebrei, il loro dramma è unico. Ergo, non sono tenuti agli stessi doveri morali e politici degli altri.
Un esempio? Tutti, in Medio Oriente, devono firmare il trattato di non proliferazione nucleare tranne Israele, per non renderlo vulnerabile a un secondo Olocausto.
Segnala però un paradosso, in questa unicità. Quale?
Non si può dire “non comparate l’Olocausto con qualsiasi altro dramma” e poi essere í primi a paragonare ‘ i nemici di Israele con il suo artefice. Nasser era un “piccolo “Hitler”. Hussein e Ahmadinejad, Hezbollah e Hamas, sono Fúhrer interi.
In un’intervista lei ha tirato in ballo anche il doppio standard nel confronti del nostro ex primo ministra Sìlvio Berlusconi. Ci spiega?
Tre settimane dopo che Berlusconi aveva detto che Mussolini era stato un “dittatore mite”, che “non aveva mai ucciso nessuno”, I’Adl gli ha dato il premio di statista dell’anno.
E tre Nobel, ebrei tra l’altro, gli economisti Samuelson, Soiow e Modigliani scrissero una lettera feroce al New York Times per denunciare l’assurdità. Per non dire del benvenuto di Fini in Israele.
A loro importa dell’Olocausto solo a giorni alterni, per il resto lo usano come una mazza con cui bastonare chi disturba.
I suoi genitori sono morti nel `95. Allora lei aveva già espresso le sue critiche in saggi universitari. Avevano niente da obiettare?
Erano í primi a dolersi di come una cosa terribilmente seria fosse usata in maniera strumentale.
Pubblicato sul Venerdì di Repubblica del 26/1/07
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