Franza: dubbi e proposte sul modello di democrazia prossima ventura
28 Agosto 2019
Enea Franza
Democrazia e populismo.
Fra passato e nuove prospettive
Le parole democrazia e populismo oggi sono diventate di uso comune come parole
in contrasto l’una con l’altra, anche se, a ben vedere, potrebbero essere anche
considerati come sinonimi. Ed, infatti, cosa ci potrebbe essere di più democratico di
un governo che emanasse dal popolo, tanto da doversi considerare addirittura
populista?
Purtuttavia, non mancano nel nostro Paese (ma anche al di fuori dei
confini nazionali) interventi di illustri costituzionalisti che condannano il populismo e
lo valutano come la peggiore deriva possibile e la fine della democrazia stessa.
In effetti, dal nostro punto di vista, l’intera questione sul pericolo del populismo, ed
il seguito di accuse ed incomprensioni tra le varie tifoserie, si basa su un equivoco,
che ci incaricheremo di chiarire.
Bene coloro che imputano ai populisti di essere antidemocratici: in realtà fanno riferimento
ad un modello di democrazia c.d. parlamentare, che è in fondo la concezione liberale,
oggi più impropriamente che meno detta “democrazia liberale” nata nell’ottocento che,
a seguito dell’evoluzione economica e sociale intercorsa, ha avuto profonde modifiche, fino a
diventare qualche cosa di profondamente diverso, ma con una caratteristica sempre presente, ovvero,
quella della centralità del parlamento.
Le modifiche cui mi riferisco sono prevalentemente quelle del passaggio al suffragio
universale, del decentramento (con l’appropriazione di sempre maggiori spazi di
potere a soggetti statali o addirittura extra-statali) sia verso il basso, con
l’attribuzione di sempre maggiori poteri agli enti locali (nel nostro paese ad esempio
le regioni) o ad altri “corpi sociali” che verso l’altro (vedi ad esempio, U.E. e WTO).
Tali modifiche, peraltro, hanno colpito anche il modello universalmente riconosciuto
come riferimento, ovvero, la democrazia americana.
Nella sostanza si tratta di un sistema di pesi e contrappesi, nel quale il cittadino che
vota è principio fondante, ma in parallelo ed in concorrenza con gli altri soggetti
statali, riconosciuti nella carta costituzionale. In effetti, la sovranità nazionale è
normalmente è chiamata con precise scadenze ad esprimersi, nel senso che il corpo elettorale
è chiamato a pronunciarsi periodicamente e solo in casi eccezionali al di fuori della “periodicità”
indicata dalla carta costituzionale.
La rappresentanza del corpo elettore si esprime in effetti in una delega al
parlamentare e si manifesta, pienamente, solo nel parlamento, il quale è l’organo
che sceglie il governo dello Stato e lo mantiene in carica (o meno) fino a nuove
elezioni; ciò, è bene sottolinearlo, a prescindere (se non contro) le volontà popolari
contingenti.
Cosi visto, in effetti, democrazia e populismo non possono andare d’accordo!
Se infatti l’idea di fondo della democrazia parlamentare è la delega completa al
parlamentare (ed al parlamento), atto che si fonda nel legame di fiducia che il
rappresentato ha nelle capacità del rappresentante di curare gli interessi, nel
sistema di comunicazione attuale (cioè nel c.d. many to many) si fa strada l’idea che
il cittadino possa gestire da se, e decidere, il governo per lui più adatto direttamente
e senza la necessità dell’intermediazione del parlamentare.
E’ in fondo l’idea della democrazia ateniese estesa nel nostro paese a oltre 50
milioni di persone, che è rafforzata dalla disistima della classe politica che in Italia
trova fondamento negli innumerevoli tentativi (dalla commissione Bozzi ad oggi) di
modificare il nostro assetto costituzionale per rispondere in modo più efficiente alle
necessità dei cittadini, ma che ha anche – a nostro modo di vedere – una più
profonda e convincente motivazione nelle possibilità e nei lati oscuri delle nuove
tecnologie della comunicazione.
Le nuove tecnologie, infatti, permettono sia l’immediata ed abbondante
informazione che l’istantanea comunicazione dell’opinione del lettore, ascoltatore,
ecc. : insomma, del corpo elettorale. In altri termini, i sistemi attuali generano
movimenti d’opinione nel Paese, e della forza di tale fatto e della volontà
maggioritaria dei cittadini si può avere piena conoscibilità.
L’evidenza di ciò rende, dunque, di per sé lento e mette fuori gioco un sistema basato su
un confronto edificato sull’ascolto dell’altra parte e sulla ricerca di un punto
mediano d’incontro e, con ciò, di un sistema rappresentativo come quello attuale
basato sul parlamento. In effetti, la ricerca stessa di un punto mediano viene
avvertita come un tradimento della volontà popolare e, quindi, di ulteriore sfiducia
del cittadino nel sistema parlamentare.
Con ciò potremmo ipotizzare la fine dei parlamenti ?
I fenomeni storici, a nostro avviso, dipendono molto dalla tecnologia e
dall’organizzazione economica, oltre che dalla volontà degli uomini – che spesso
sono capaci di prendere strade diverse da quelle che sembrerebbero le uniche
possibili – ma è certo che se la democrazia liberale è stata efficiente per il sistema
capitalistico, oggi appare più efficiente un sistema maggiormente accentrato e più
decisionista, perché può risultare più rispondente e perfino garantista dell’adempimento
del mandato elettorale ricevuto dagli elettori. E, soprattutto, può risultare in grado
di ridurre le dispersioni volitive e programmatiche che in modo cronico caratterizzano
le inefficienze parlamentari quanto quelle dell’esecutivo e le frizioni sempre
più accentuate se non stabilmente fisiologiche che avvengono fra parlamento e governo, a
detrimento della volontà popolare.
Con buona pace, purtroppo, di tutti coloro che si illudono di poter, in un modo o
nell’altro, imporre la volontà di un parlamento alla volontà dei popoli.