15 Giugno 2020 – Il presente articolo è stato scritto l’otto giugno, ma abbiamo deciso di pubblicarlo solo dopo l’apertura degli “stati generali” organizzati dal Presidente del Consiglio. Esso mantiene tutto intatto il valore del contenuto e delle indicazioni, linee di forza necessitante e non mere proposte e aspettative oniriche, che abbiamo ritenuto di dovere presentare nel pieno convincimento delle valutazioni strategiche e politiche a cui siamo pervenuti da tempo. Convincimento che, nelle ulteriori dinamiche internazionali e negli sciagurati accadimenti interni, trova purtroppo ulteriore conferma.
Se le fonti riportate dalla stampa corrispondono al vero, e se non ci saranno degli imprevisti colpi di mano dell’ultimo momento, l’accordo fra Roma e Il Cairo per la transazione di armamenti e di alta tecnologia costituirà la più importante boccata d’ossigeno per l’industria e per la politica italiana da almeno venti anni a questa parte. (Come sappiamo già, il CdM per fortuna ha ratificato l’impegno assunto dal PdC).
Dobbiamo per preventiva chiarezza lasciare cadere come quisquilie di maldicenti e pericolose farneticazioni gli attacchi contro questo accordo che vengono mossi dai soliti affetti da cronica e frivola superficialità, idioti ex professo sotto il cartiglio referenziale dei loro inveterati gruppi di “pacifisti” panciottisti, tanto chierici quanto radical-chich. La godereccia classe sociale de parvënü è diventata sempre più folta e sempre più agguerrita e stolida. E il suo peso economico è diventato insostenibile. Per le sue pericolose e acritiche farneticazioni, spudoratamente ammannate di falso candore umanitario, essa dovrebbe esser tenuta il più lontano possibile dai centri del potere politico e dalle grandi reti dei media, giacché, con il propalate informazioni manipolate, rappresenta un pericolo non dissimile da quello opposto, costituito dai guerrafondai. Inoltre, non dimentichiamo che vive in buona misura di parassitismo pubblico.
Cosa riguardano queste notizie? La vendita, ventilata da quasi sei mesi, da parte italiana all’Egitto delle due ultime fregate classe FREMM, già varate e in approntamento per la consegna alla Marina Militare. Del pacchetto contrattuale, assieme a questi due gioielli tecnologici, farebbero parte almeno l’opzione per altre due unità gemelle, 20 venti pattugliatori costieri Al Falaj, 24 aerei da addestramento avanzato M356 e un satellite da ricognizione. Un accordo che crediamo che varrà quasi sicuramente oltre i 1800 miliardi di euro di cui si parla.
Nota particolare di carattere sincronico e simbolico sul piano storico.
Le due navi italiane già sono state battezzate con i nomi delle M.O.V.M. di Spartaco Schergat ed Emilio Bianchi, due eroi della schiera degli immortali dell’universale X.a Mas al comando del principe Junio Valerio Borghese (v. attraverso search su questo sito) che attaccarono ripetutamente i maggiori porti mediterranei sotto controllo britannico durante la seconda guerra mondiale. In questo caso, i sei fantastici violatori, antesignani degli incursori odierni, guidati dalla M.O. Luigi Durand de la Penne, penetrarono con i loro “maiali” (slc) la notte del 18 dicembre 1942 nel porto di Alessandria, dove colpirono tre navi HSM: la Royal Navy subì il disastro delle corazzate Queen Elizabeth e Valiant e della nave cisterna Sagona, affiancata al cacciatorpediniere Jervis.
Le due nuove navi andranno potenziare la composizione della troppo variegata flotta egiziana il cui simbolo d’indipendenza storica è rappresentato proprio da Alessandria, città dove allora si attendeva la liberazione del popolo egiziani dal giogo britannico a opera degli italiani e dei loro alleati tedeschi.
Il quadro geopolitico e diplomatico. Elementi predittivi di riferimento.
Questa occasione, favorita da questo contratto di acquisti di alta tecnologia e da noi già di recente esplicitamente propiziata su queste pagine entro un coerente limpido quadro strategico e geopolitico, dovrebbe finalmente poter consentire lo sviluppo di più larghe intese di natura economica, sociale e militare.
Innanzitutto, quindi, il contratto di tecnologia militare appena autorizzato dal presidente del consiglio italiano, dovrebbe dare alacre impulso all’inizio della grande svolta storica nei rapporti fra Roma e Il Cairo: maggiori intese bilaterali sul perseguimento di una comune politica di stabilità nel Mediterraneo. Essa dovrebbe consentire al governo egiziano di affrancarsi dalle condizioni di grande difficoltà in cui è costretto a muoversi a causa degli incomodi e infidi alleati o partner di rango: USA, Arabia Saudita, Russia, Francia. E, non tanto dietro le quinte, con linee diverse, Germania e Regno Unito.
Una salda intesa italo-egiziana ridarebbe il ruolo di centralità diplomatica e politico-economica alle due Nazioni nel Mediterraneo, legate come nessun’altra da ininterrotti e densi rapporti storici e oggi da fortissimi interessi sulle risorse energetiche e sulle tecnologie off shore occorrenti, di cui l’Eni con Saipem e Fincantieri sono, fra gli operatori e produttori, leader mondiali. Essa consentirebbe, in pari tempo, con lo sganciamento del Cairo dal ruolo subordinato che per le necessità economiche è costretto a svolgere con Riad, di lanciare dalla sponda africana, dalla sponda meridionale di EUFRASIA
una vera politica euromediterranea in condivisione con l’UE,
e di consentite l’avvio di una concreta stabilizzazione della Libia, già territorio metropolitiano italiano e regione d’interesse economico e di sicurezza vitale per Roma
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Le crisi endemiche interne libiche, internazionalizzate dagli interventi pirateschi di potenze esterne nei modi più deprecabili, scandalosi e violenti, a iniziare dal governo di Parigi, verrebbero così sottratte alle possibili ulteriori distruttive intromissioni di Francia, UK, USA, Arabia, Kwait, Qatar e infine, nel vuoto che si è determinato, di Russia e di Turchia. Non solo. Il governo egiziano potrebbe così sganciarsi da ogni ricatto saudita e, in primis, ritirarsi dal coinvolgimento nella ferocissima guerra dello Yemen.
Ulteriore delineazione dello sviluppo dell’intesa italo-egiziana.
Inclusione di Algeria e Tunisia e respingimento delle interferenze delle Nazioni non confinanti con il perimetro confinario libico.
Elementi di credibilità in favore di questa condotta politico-diplomatica sarebbero costituiti dal fatto che Egitto, Algeria e Tunisia, i tre partner confinanti e con posizioni non coincidenti nel merito e su altre questioni panislamiche e africane, hanno e avrebbero tutto l’interesse a vedere la situazione libica risolta senza la presenta di sgraditi e non credibili interlocutori esterni. L’Italia è l’unica Nazione che può fornire queste certezze all’Egitto alla Tunisia e all’Algeria, innanzitutto per la contiguità territoriale e per la non conflittualità e amicalità dei rapporti: cosa che farebbe sì che questi attori potrebbero venire a godere di una fase di definitiva pacificazione della regione “cuore”, compresa fra Golfo di Bengasi e Canale di Sicilia. Condizione da cui hanno da trarre enormi vantaggi in termini di sicurezza, pure collettiva, e di crescita economica e sociale.
Associare all’intesa italo-egiziana i governi di Tunisi e di Algeri, sì da costituire l’indispensabile e coesa base composta in maniera necessaria e esclusiva dai Paesi che sono e vivono in questa regione, significa metterli in grado di contenere e respingere i tentativi di ulteriori interferenze da parte di chi vorrebbe porsi come sponsor di una fazione libica o del futuro governo libico.
Instabilità libica significa debolezza, incertezze e instabilità pure per Italia, Egitto, Tunisia e Algeria. Stabilità libica significa loro maggiore sicurezza interna e esterna. Roma, Il Cairo, Tunisi e Algeri hanno quindi il diritto di formare una comune cintura di sicurezza libica. I partner, singolarmente e collettivamente, dell’Unione Europea e della NATO non potrebbero non prenderne positivamente atto e ufficialmente e condividerla, giocoforza o meno, a iniziare da Francia e Turchia. La Russia non potrebbe che trarre benefici dalla riduzione della grande area d’instabilità caucasico-anatolico-mediterranea.
Questa intesa, che le azioni occulte (o, con l’anglismo, “cover”) già messe in atto da una o più potenze hanno cercato di ostacolare (e in cui si inserisce la morte del giovane italiano Regeni, obiettivamente fatto compromettere da chi lo pilotava strumentalmente), inizierebbe a costituire altresì il più potente freno allo straripamento del pascià di Ankara in tutta l’area del NENA (Near East and North Africa, non MENA, geopolitici al servizio degli errori anglogermanici!).
Ad essa, dopo quasi nove anni dall’uccisione di M. Gheddafi, nei consessi diplomatici ufficiali tutte le potenze maggiori e minori qui citate non avrebbero più motivo di opporsi. Anzi, ogni loro ulteriore tentativo di agire copertamente, potrebbe con maggiore certezza ricevere convinte condanne internazionali ufficiali e credibili, e subire azioni di contrasto commisurate e perfino asimmetriche, al fine di far metabolizzare il significato delle appropriate ritorsioni.
Obiezione e risposta
Si potrà obiettare che due debolezze messe assieme, Italia e Egitto, non potranno far quagliare alcunché. Errore. Da un asse politico di tal fatta farebbe nascere una logica di autoesclusione: chi ostacolerebbe la linea di condotta italo-egiziana e, speriamo anche tunisiana e algerina, di fatto determinerebbe una reazione più che uguale e più che contraria da parte di altre Nazioni interessate a contrastarla, e quindi si favorirebbe un processo di aggregazione di interessi e di concrete convergenze con Roma-Il Cairo-Algeri-Tunisi atto a amalgamare le convergenze e a stemperare i contrasti che finora sono rimasti senza sbocco.
Un altrettanto plausibile diverso, negativo scenario, avrebbe la sua positività dovuta al fatto che sarebbe il risultato di un’azione di discrimine: sarebbe la risultante di politiche diplomatiche disgregatrici che scatenerebbe una reazione di maggiore aggregazione dei partner internazionali non consenzienti al prolungamento della logica del caos in tutto il Mediterraneo meridionale centro-orientale. Italia e Egitto costituirebbero insieme l’ago della bilancia, di fronte a cui la super potenza occidentale, le grandi potenze, le potenze medie e quelle esclusivamente economiche nell’odierno e futuro contesto mediterraneo avrebbero motivo di mostrare maggiore adesione anziché opposizione.
In questo quadro, l’obiettiva frenata che verrebbe imposta al regime turco, il quale persegue l’esportazione delle instabilità che lo assillano lontano dai suoi confini attraverso una proiezione di potenza che desta preoccupazione in quasi tutti gli attori internazionali (chiudendo così in un ben sigillato cul de sac le repressioni interne e i possibili nuovi massacri di curdi lungo i versanti dei confini siriano e irakeno, e non solo), ma anche direttamente nelle acque del Mediterraneo centro-orientale (in aperto contrasto con Cipro-Grecia, Egitto, Italia, Francia e quindi EU) costituirebbe un ulteriore elemento di condivisione da parte di molti degli attori internazionali presenti nell’area.
E’ da sottolineare il fatto che la Turchia, da più importante partner di Roma per le esportazioni e cessioni di tecnologie e di armamenti italiani, ha acquisito con passi da gigante un maggiore grado di autonomia progettuale e industriale, per cui si sta ancor più affrancando in diversi ambiti ed è diventata un competitor anche per tutte le maggiori potenze produttrici.
Duplice importante chiarificazione riguardo al Mediterraneo centro-occidentale.
Il Il governo di Algeri, verso cui l’Italia e l’UE hanno motivo di rafforzare sempre più le intese in ogni campo e di poterla un giorno associare a pieno titolo, ha motivo di dimostrare previdenza e estrema cautela onde evitare di aggiogarsi in spregiudicate, immotivate e pericolose competizioni a fianco della Turchia, e perfino della Cina, anche nell’ambito del suo maldestro e buffo ma grave tentativo di stravolgimento del diritto internazionale degli Oceani e dei Mari lungo il confine italo-ispanico-algerino (Trattato ONU di Montego Bay).
L’Algeria, assieme all’Egitto e all’Italia, ha un importante ruolo da svolgere ai fini della stabilizzazione di tutto il contesto pan-mediterraneo. Il suo parlamento e il suo governo dovrebbero sentire l’onore e l’onere di articolare una politica estera di grande respiro, completamente rinnovata e in grado di innervarsi in proficue sinergie con questi partner e con l’Unione Europea. Per fare questo, dovrebbe ridisegnare in pari tempo il suo impegno in tutta l’Africa sahariana e subsahariana e spuntare i gravi dissidi che la oppongono soprattutto al Marocco. Una valutazione non dissimile riguarda appunto il regno di Rabat. In conclusione, essi dovrebbero iniziare a operare uno sganciamento non dall’OUA ma dalla Lega Araba, indicando apertamente come priorità politica la condivisione della scelta geopolitica pan-mediterranea.
Veniamo subito al sodo.