10 Dicembre 2020
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AMOR
ROMA
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Nella foto sopra, frontespizio della tessera della Giovane Italia di Giuseppe Salmeri, quando era studente liceale. Le foto sono state fornite dalla moglie, Anna Maria Stramondo.
Giuseppe “Peppino” Salmeri, catanese in perpetua trasferta a Roma o catanese diventato romano? Non so dire. Certo è che il cambio di residenza e la vita da adulto non alterarono affatto le sue peculiarità. Insaziabile lettore di libri, riviste e giornali d’ogni latitudine e conversatore con una “parlantina” incontenibile, penso che ebbe sin dall’inizio l’idea che non avrebbe mai voluto seguire un percorso di laureare in giurisprudenza o in qualsiasi altra facoltà con il minimo dell’ordinaria applicazione richiesta. Nella città più nera d’Italia, frequentatore fisso di Palazzo Cerami (sede della Facoltà di Giurisprudenza), intratteneva con assiduità quasi quotidie gli ‘avventori’ nelle sale del palazzo, che fossero studenti di destra o meno, di legge o di altre facoltà, come nel mio caso. Peppino era il mattinale speciale, gratuito in differita di alcune ore e a viva voce, della stampa quotidiana per chiunque, e l’ermeneuta – autore dai toni esclamativi ricchi dell’implicito “ti pare!”, “ma pensi che…!”, accompagnati da una mimica altrettanto originale, e fornitore gratuito di chiose alle notize politiche e alle terze pagine e agli elzeviri e alle novità cinematografiche. E’ questa dimensione che, riadattata alle condizioni di vita e di lavoro di Roma e ben amplificata, continuò a mantenere, fra questa o quella libreria questo o quel convegno, con il fascio di giornali sotto l’ascella e con le stanze di casa subissate di raccolte librarie e bibliografiche e con la stesura di articoli o piccoli dossier. Così egli trascorse tutta la sua vita, da inesauribile e originale conversatore a tu per tu con chiunque. Egli è stato scrittore e storico, critico e saggista, così, del tutto a modo suo, in misura pressocché totale, nell’immediata originalità dell’offerta dell’oralità del pensiero, con i suoi flash o con un più articolato argomentare. Oralità del pensiero che si esprimeva e viveva nella non meno originale passionalità che la dialogica in tal modo si realizzava con i diretti interlocutori. Peppino è stato, ripeto, il fluire innterrotto di una pulsione vitale che mai avrebbe potuto auodisciplinarsi nell’applicazione secondo un pur minimo impegno temporale che gli studi universitari richiedevano per ogni singola materia da sostenere. Fra i conversatori, poi, vi era sempre chi gli chiedeva maggiori lumi e, se non dello stesso avviso, gli replicava, come la compianta Maria Loreta (Stella) Rao, e allora, nelle non rare schermaglie di più o meno serrati confronti, i toni, le interiezioni, le esclamazioni e le espressività mimiche dei dialoganti diventavano esplosioni di ricchezze ineguagliabili. Eventualmente, nel caso che fosse proprio Stella una delle persone coinvolte in queste conversazioni al pepeoncino, lei poi andava distendersi con un giro in moto, con il suo simpatico spasimante, il centauro Prospero Cocimanno, silente, zittozitto “man”parlatore tutto d’un pezzo. Peppino era una ‘pulsionepassionaleinfrenabile’ d’interessi (espressione da pronunziate d’un fiato come se fosse una sola parola) così attorcigliata che … saltava fra le più disparate letture con un eclettismo senza pari in men che non si dica e in cui non annegava. Questo mi meravigliava non poco, perché nelle mille e mille discussioni avute e quasi sempre avviate da lui, tante volte avevo cercato di poterlo cogliere in ‘flagranza di reato’, rinserrando e ravvivando il confronto, per obbligarlo a riconoscere la frettolosità o l’incompletezza di un’informazione che lo aveva poi portato a sviluppare argometazioni erronee, o che altrimenti delle letture superficiali e non approfondite lo avevano portato a presumere cose non accettabili. Peppino cadeva sempre in piedi, o quasi. Un’innata, forte capacità intuitiva (quindi, di “intuizione intellegibile”, per cui nell’accezione non kantiana ma correttamente prekantiana, accezione a mio avviso ancora oggi assolutamente corretta nel valore semantico) lo guidava e attraverso questo continuo esercizio egli la rafforzava, si rafforzava, e lo poneva al riparo dagli svarioni, dalle superficialità, dagli eclettismi culturali appiccaticci e ricchi di non sensi in cui sarebbe incappata sicuramente gran parte delle persone, al solo pensare di potere avanzare questo ipotetico paragone. Fra conaca, letteratura, storia, cinematografia e politica, il suo diletto e la sua passione avevano modo di sbizzarrirsi in maniera creativa senza limiti. In tutto questo, rusciva davvero a trovare l’appagamento del suo animo. Egli curava con riserbo però anche sviluppare ‘sogni’ ad occhi aperti, antevendendo uno splendido futuro per il il nostro mondo, frutto dello storico successo elettorale sicilianio del 13 giugno che avrebbe impresso una svolta elettorale a livello nazionale, svolta poi bloccata dalle operazioni sporche del regime; e disegnava geometrici sviluppi della futura presenza della gioventù nazionale di Catania di allora nella città e nell’Università. Per cui pronosticava, ad esempio, in me un futoro ordinario di storia medievale. La triste realtà politica catanese, regionale e soprattutto nazionale sarebbe invece continuata ad essere tale e quale allora essa era, in mezzo alle violenze e alle discriminazioni più bestiali, tant’è che con Fabio Fatuzzo, ben ‘curato’ da un prof d’italiano che lo sbarrava sempre per motivi ideologici, dovetti trasferimi all’Università di Palermo, con il tocca e vai, vista l’ininterrotta sequela di agguati e aggressioni dell’ultrasinista e le interdizioni professorali di cui ero onorata vittima. Qualcuno si trasferì a Messina, non so se per queste stesse ragioni, forse ne avrà memoria Fabio; a Palermo, con noi si trasferì Nino Strano, ma a giurisprudenza. Tuttavia, Nino era già troppo preso da galvanizzanti quanto fulminei o al massimo fugaci amori e da interessi di natura artistica. Io, da parte mia, a Palermo incappai in nuove e e assolutamente diverse e impreviste disavventure con un gesuita, prof. incaricadìto di filosofia morale, con il quale ebbi proverbiali scontri, davanti a dei colleghi letteralmente terrorizzati. Ritorniamo a Catania: se la memoria non mi trae in inganno, fra i camerati del FUAN attivi e non defilati, solo Marcello Lattuada e Gianna Tempera avrebbero percorso tutta la carriera accademica nell’Università etnea. Ci sono altri casi, ma non comparabili a questo nitido contesto. Fra i vecchi camerti del FUAN “GUF” di Catania presenti nel gruppetto di W.up, Franco Cortese ricorda che Peppino gli aveva affibiato il nomignolo di “Bratta” , mentre Franco Attinà ha allegato in Pdf uno scritto di quindici pagine di Peppino risalente ai primi anni settanta, che ha conservato, dedicato al pensiero del filosofo Giovanni Gentile.
Non desidero fare riferimento ai dibattiti e alle discussioni che avvenivano nella sede del FUAN, in Via Etnea, all’angolo della Villa Bellini, in quella sterminata sede di un palazzo storico, spesso con toni accesisamente passionali. Aprirei un capitolo difficilmente sintetizzabile, su cui altri amici hanno in tutto e per tutto molto più titolo a potervi fare riferimenti più circostanziati, a iniziare da Turi Grillo, Enzo Caudullo, Marcello Lattuada, Tonio Schilirò, Gigi Charenza.
Anna Maria Stramondo mi ha inviato una serie di suoi ricordi, a iniziare di quelli di quando lei era ancora liceale, al Cutelli, e già faceva le sue prime puntate al FUAN, origine del loro legame sentimentale, oltre a quelli della figlia Francesca, che sono stati già pubblicati l’11 aprile su Barbadillo a firma di Luciano Lanna sull’impeniente e onnipresente catanese de Roma, il quale al suo arrivo nella città eterna trovò gia installato, oltrea un suo zio editore della storica “La Navicella”, annuario dei parlamentari italiani, un altro iper attivo peripatetico etneo, Toni Gemmellaro. A Anna Maria e alle tre figlie di Peppino va il caloroso affetto nutrito per lui, mentre le insidie del tempo cercano di scolorare in tutti i modi i tanti ricordi dei fermenti miglori degli anni di così fervide e intrepide giovinezze.
Ripropongo, collegati a questo breve ricordo d Peppino Salmeri, quello dedicati a Stella Rao, che presenta un lungo inquadramento storico delle vicende in cui ci trovammo a vivere, che ritengo importante e su cui penso di non dovere cambiare alcunché, e quelli dedicati a Benito Paolone e a Felice Merotto. In essi vi sono riferimenti su altri nomi della gioventù del FUAN ma anche a quella dei Volontari Nazionali etnei, a iniziare da quelli che ci hanno lasciati, come Eleonora Cardillo, moglie di Enzo Caudullo. e di Stafano Galatà (che fu capo dei Volontari nazionali etnei). Un caro ricordo va anche al penultimo che ci ha lasciati, per quanto io sappia, Claudio Stazzone, dopo dolorosa malattia. Sull’altro siciliano di Roma, mio fraterno camerata, ‘Peppino’ Giuseppe Spadaro, in arte Michele Protospathario, eccezionale ma disconosciuto pittore vissuto in un’età culturale assolutamente estranea, scrittore, storico e originalissimo saggista, sarà facile trovare i diversi rimandi alle sue opere e alla sua dipartita attraverso search. Un ricordo particolare va a Enzo TRantino per il grave lutto che lo ha colpito. Assieme a Benito, Enzo è stato per molti anni vicino, come avvocato e come parlamentare, non soltanto a me ma anche ad altri studenti incappati in vicissitudini violente di aggressioni politiche e di calcolo del regime.
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