17 Dicembre 2020 Autore: Enea Franza Postfazione di Domenico Cambareri
Apriamo una nuova porta sul mondo digitale! Gli americani si solleveranno contro la folle speculazione dei colossi del web?
Vi è mai capitato di disporre di uno scanner o di una stampante perfettamente funzionante, con interfaccia hardware compatibile con il vostro computer, ma a cui dobbiamo rinunciare magari per il mancato sviluppo del driver che ne abilita l’utilizzo da parte del sistema operativo installato nel computer; ovvero, di possedere uno smart phone, in apparenza ancora nuovo, ma che diventa praticamente inutilizzabile via via che si istallano gli “aggiornamenti”? Ancora, vi è mai accaduto di volervi collegare ad alcuni siti internet e scoprire che essi sono fruibili (parzialmente o totalmente) esclusivamente con determinate (più recenti) versioni di browser (e/o di relativi plugin e/o estensioni), le quali guarda caso risultano non installabili su determinate piattaforme con sistemi operativi datati, e così trovarvi con un bellissimo computer da buttare, causa interdizione all’accesso delle risorse del web?
Bene, tutto ciò non è casuale, ma accade spesso. A volte, accidentalmente, per l’avvenuta chiusura dell’azienda produttrice dello scanner o della stampante, da cui la naturale cessazione di sviluppo driver per sistemi operativi successivi, ma troppo spesso anche – ed è questa la cosa da sottolineare – per arbitrale scelta in tal senso espressa da parte dell’azienda produttrice, che, pur attiva, sviluppa però driver per nuovi sistemi operativi. Solo per i nuovi prodotti!
Anche nel caso degli smart phone, la maggior parte dell’invecchiamento di dispositivi comunque funzionanti, avviene tramite programmi realizzati per essere inutilizzabili su determinati sistemi o funzionare in modo pessimo, a causa di sempre maggiori requisiti hardware, necessario per la maggior dimensione di byte con cui sono stati realizzati, e delle conseguenti maggiori risorse di elaborazione e di memoria che necessitano. O per altre cause non ufficialmente note quanto facilmente intuibili dagli esperti, dettate non raramente da strategie di mercato e operative opache messe in atto da parte delle proprietà.
Bene. Senza approfondire anche l’ultimo esempio, quello relativo ai browsers, osserviamo che
ci troviamo di fronte al fenomeno che è all’origine della moltiplicazione degli utili delle moderne industrie del digitale, fenomeno che va sotto il nome di obsolescenza digitale.
Purtroppo, gli effetti non sono solo legati alla perdita economica per il consumatore relativo al dispositivo (scanner, stampante, pc o smart phone da riacquistare) ed al relativo danno ambientale connesso allo smaltimento del c.d. ferro inutilizzabile, ma soprattutto per la perdita di informazioni digitali già elaborate e con il tempo non più accessibili.
Con un esempio, è un po’ come se una intera biblioteca andasse a fuoco!
Gli esiti di tale fenomeno li abbiamo, in parte, già sperimentati con riferimento ai dati contenuti sui vecchi floppy, zip, nastri , ecc. le cui informazioni presenti non possono più essere lette, a meno di disporre sia del lettore con cui utilizzarlo, sia di un’interfaccia fisica compatibile con il lettore sul computer cui vogliamo collegarlo, nonché dei driver per il sistema operativo (e/o sua specifica versione) installato nel computer. In definitiva, oggi, riprendendo l’esempio proposto poco fa, i dati memorizzati su un floppy disk da 5 pollici e ¼ sono ormai inaccessibili se non si è provveduto a suo tempo a riversare il contenuto da quel supporto ad un altro supporto più recente.
Insomma, l’obsolescenza digitale ha importati risvolti connessi al sapere umano, che paghiamo in termini di sempre minori informazioni disponibili, e tutto questo ci viene presentato come progresso umano.
In realtà siamo di fronte alla più grande catastrofe culturale del nostro sviluppo.
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Semplici ma immediate e sagaci osservazioni che sospingono ancora più in avanti e in avanti ancora fino a far riconoscere la cogenza di una presa di posizione e di un giudizio senza dei signor Tentenna attorno… In questo breve e quanto mai incisivo articolo, Enea Franza ha affondato il dito con dei concreti e immediati esempi in una delle più dolorose ferite prodotte dal risvolto tossico, ossia altamente speculativo sui piani finanziario e economico, di ciò che l’ininterrotto fluire della crescita tecnologica, e quindi dei processi produttivi dei sistemi informatici, determina sull’asse non remunerativo in termini monetari ma che è di non minore importanza: quello culturale.
La sua basilare focalizzazione sia problematica che di giudizio stimola e consente dunque di sviluppare tutta una serie di riflessioni e di proposte, che cercheremo di condensare al massimo. La logica esclusiva del guadagno monetario che governa a livello mondiale questo impero commerciale a carattere privato, che è nelle mani di poche colossali holding di rilevanza mondiale, è infatti qualcosa di aberrante e soprattutto di estremamente pericoloso sul piano culturale e su quelli sociologico e politico. Qui desideriamo soffermare l’attenzione solo sul primo aspetto. Le legislazioni degli Stati e delle Organizzazioni internazionali pubbliche finora sono state assolutamente subalterne, impotenti, succubi davanti allo spavaldo e minaccioso potere politico che gli Sati Uniti esercitano, al servizio degli interessi speculativi delle lobby che nei fatti da decenni controllano dibattiti, programmi, decisioni e vita di congresso, senato e governo federale, pure a discapito dei reali interessi federali e del popolo americano: quindi di una ‘faccia’ dei loro interessi nazionali.
E’ ora di porre sul tappetto, da parte dell’UNESCO, dell’Unione Europea, e non soltanto dell’UE, ma anche da parte di Giappone, Russia, India, Brasile e di tante altre Nazioni il fatto che questo tipo di commercio mirante a conseguire un inarrestabile profitto non può più oltre sottrarsi al preminente interesse espresso dalla logica della preservazione e custodia culturale del patrimonio circolante nel web da parte di ciascuno di essi e di tutta quanta l’umanità.
Eccezionale fatto epocale sarebbe una SOLLEVAZIONE interna negli USA: professori di high school e università, ricercatori della NASA e delle più disparate industrie e non solo dell’h,t, studenti e genitori, direttori e personale di biblioteche e musei, attori e lavoratori di cinema e tv, dipendenti della borsa di W.S. che invadono il web con documenti di protesta e occupano i piazzali dei colossi del web e la borsa newyorchese, gli immensi spazi fra Casa Bianca, Congresso, Senato …
Tutto quanto viene immesso nella rete deve essere tecnologicamente commutabile e fruibile attraverso tutti gli ulteriori processi di ammodernamento materiale e operativo dell’hard e del soft prodotti dal mercato della tecnologia, con costi a carico di una percentuale irrisoria degli iper moltiplicatori del plusvalore ‘guadagnato’ dai colossi del web.
Del pari, tutti i siti, le testate in ogni modo chiamati e classificati intestati a singoli, associazioni e gruppi come altrimenti denominati, privi di diritti o con diritti alla scadenza che cessano di pubblicare o di pagare i canoni dei diritti agli host proprietari e che amministrano la diffusione web, non devono andare dispersi ma devono essere trasmessi per essere conservati presso appositi centri di deposito, raccolta e codificazione nazionali. Sarà poi compito dei ricercatori (dei Ministeri della Cultura e degli altri organi pubblici, quali Beni culturali e ambientali, Industria, etc.) e degli altri studiosi selezionarli per consentire la conservazione e la diretta fruizione presso le maggiori o minori articolazioni scolastiche e universitarie e dei giacimenti culturali, quali biblioteche, cineteche, archivi, conservatorie, musei, etc. e ovviamente e innanzitutto on line.
Parlamenti e governi nazionali e organismi sovranazionali e ONU dovrebbero agire con grande spirito di solidarietà e rapidità mai visti al fine di non perdere altro tempo prezioso per affermare e fare rispettare un sacrosanto diritto e fermare l’ulteriore, irreparabile perdita di idee e conoscenze. Riteniamo di non avere raccontato fanfaluche e di non avere affatto fantasticato. Qui c’è tutto il realismo possibile. – Domenico Cambareri