15 Febbraio 2021 Fonti: Affari Internazionali, Libreria Universitaria, IBS, Hoepli, Il Fatto Quotidiano, Il Post, Autori: Elena Paparelli per AI la rivista dello @IAIonline: https://www.affarinternazionali.it
Con il suo miliardo e trecento milioni di abitanti, l’India è il convitato di pietra al tavolo delle potenze mondiali. Eppure l’immaginario attorno al subcontinente asiatico sembra rimasto ai tempi di Gandhi: una terra di bramini, pacifica nella sua povertà, divisa in un sistema castale millenario, meta prediletta per cercare se stessi e le proprie radici spirituali, e allo stesso tempo fonte eterna di manodopera a basso costo. Carlo Pizzati, che in Asia vive da oltre dieci anni, descrive invece una realtà diversa, sospesa tra un progresso sociale e tecnologico inarrestabile, una crisi climatica senza precedenti e il riemergere di tensioni religiose all’apparenza superate. Nel racconto di Pizzati, l’India è infatti allo stesso tempo un paese che ha avuto un primo ministro donna e dove in alcune regioni è in uso la pratica del rogo delle streghe, un modo per derubare le vedove dei loro patrimoni bruciandole vive con l’accusa posticcia di eresia; dove a San Valentino fondamentalisti indù assalgono le coppie che si tengono per mano, mentre cinque milioni di femministe che vogliono far rispettare il loro diritto a entrare in un tempio manifestano per strada. Tra riserve di vacche sacre e città di otto milioni di abitanti deturpate da monsoni fuori stagione e da un inurbamento inarrestabile, Pizzati accompagna il lettore in un viaggio affascinante che, dalle paludi del Bangladesh alla crisi del calo demografico in Giappone, offre un punto di vista privilegiato su un continente in cerca della propria identità.
Intervista di Elena Paparelli per AI
“La tigre e il drone” (Marsilio Editore, 2020), l’ultimo, appassionante libro del giornalista e scrittore Carlo Pizzati, è eloquente già nel sottotitolo: “Il continente indiano fra divinità e robot, rivoluzioni e crisi climatiche“. All’autore abbiamo rivolto qualche domande per parlare di alcuni dei tanti spunti presenti nel volume che prova a fotografare, anche attraverso storie raccolte sul campo, la complessità di un Oriente molto più sfumato dell’immagine (talvolta stereotipata) che ne abbiamo noi occidentali.
Perché ha scelto di raccontare l’India soprattutto attraverso la religione, l’ambiente, i diritti civili, la tecnologia?
In questi dieci anni vissuti in Asia ho visto che questi sono i temi, oltre all’economia, che riguardano più da vicino un grande numero di asiatici. I conflitti religiosi in India, Myanmar, Bangladesh, Thailandia, Sri Lanka, Malesia e Indonesia circolano come un vortice attorno al Golfo del Bengala, zona colpita anche dal riscaldamento globale con alluvioni e siccità che creano nuove migrazioni. Tutto è collegato, quindi l’inurbamento e l’inquinamento, oltre alle migrazioni spinte dall’intolleranza, generano violazioni dei diritti civili, in un circolo vizioso. In tutto ciò, le nuove tecnologie trasformano le società, a volte alleviando sofferenze, ma a volte come strumenti di repressione.
All’inizio del volume ricorda che la parola stessa, “orientale”, cambia a seconda di come e dove viene utilizzata. Ci spiega?
In Italia questa parola si trova anche sull’insalata al supermercato. Ma la divisione in “Occidente” e “Oriente” non ha più molto senso. È una pigrizia lessicale che offusca il nostro sguardo su sistemi ormai diversi da come li abbiamo percepiti. I Paesi che chiamavamo “in via di sviluppo” preferiscono chiamarsi “Sud globale”, il che fa di Europa, Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda il “Nord globale“. In America, il termine oriental, quando riferito alle persone, da alcuni è considerato un insulto. Il governatore dello Stato di New York lo ha reso illegale sui documenti ufficiali, imitato dal presidente Obama a livello federale. “Oriente” è una parola che nutre la stucchevole smania di esotismo, ma ci allontana dal comprendere la realtà del presente asiatico.
Nel libro ha raccontato tante storie grazie ai viaggi compiuti in Asia nel corso degli anni. Quali di queste ritiene più incisive nella narrazione di un Oriente ancora poco conosciuto?
Sono troppe. Per me la lezione più importante è stata quella di trovare una prospettiva flessibile basata sui fatti, piuttosto che su preconcetti ideologici o stereotipi ormai incrostati. In Corea del Sud, ho trovato illuminante la battaglia femminista contro le telecamere nascoste dai maniaci sessuali che ha riempito le piazze di manifestanti. Pensavo che ciò sviasse da temi più seri del #metoo, come le violenze sessuali. Ma incontrando scrittrici e analisti ho capito invece che quella campagna, in quel contesto, è importante tanto quanto la lotta contro gli abusi del potere maschile in India. Ogni realtà ha una declinazione diversa. È utile essere adattabili, per poter interpretare al meglio. Fluidi come l’acqua, direbbero i manifestanti di Hong Kong.
Fra i temi che tratta nel volume ci sono il cambiamento climatico e l’ambiente. Come e quanto il problema ambientale è percepito nei diversi paesi asiatici?
Dipende da chi lo percepisce. I governi e le classi medie sono consapevoli del collegamento tra riscaldamento globale e danni ambientali. Le classi povere, che pagano il prezzo più alto, sono preoccupate dalla sopravvivenza e spesso hanno difficoltà ad articolare una critica quando si propone di aprire centrali di carbone. La Cina ha fatto passi avanti, l’India non è ancora all’altezza della sfida.
L’India è la quinta potenza al mondo. Come ha reagito alla pandemia?
Male. Il governo ha annunciato un severo lockdown causando una rapida fuga dalle città di centinaia di migliaia di migranti che, con un esodo distopico, hanno disseminato l’infezione nelle campagne. L’investimento nella salute pubblica è troppo esiguo, la differenza nelle cure tra ospedali statali e privati è criminale.
In che modo l’influenza europea si fa sentire nella “nuova” India?
Ne “La Tigre e il Drone” indago su un nuovo rapporto con l’Asia, guardando oltre il retaggio coloniale sempre più sbiadito. Le influenze sono reciproche. Come Giuseppe Mazzini ha ispirato i nazionalismi asiatici del secolo scorso, così nel Nord globale siamo influenzati dal pensiero asiatico tramite filosofia, religioni e pratiche come lo yoga e la meditazione. Una distanza ancora da colmare è un senso di armonia nella società. Ma in Asia, dove abbondava, inizia a sfilacciarsi. Mentre in Europa, dove sembra svanita, si può forse ricomporre con il nome di fratellanza.
Il titolo “La tigre e il drone” fa riferimento a un capitolo in cui ci racconta come, nello stato del Maharashtra, si sia deciso di stanare la “mangiatrice di uomini” attraverso l’uso di un drone a lettura termica. Ci riassume i motivi di questa caccia?
I motivi sono che, spinti dalla povertà e dalla sovrappopolazione, sempre più agricoltori edificano abusivamente nelle riserve naturali. Si trovano quindi nel cammino degli animali selvatici. Non solo tigri, ma anche elefanti. Entrambi uccidono più umani di quanto gli umani sopprimano queste specie protette. Nel caso delle “tigri mangiauomini”, si deve chiedere una “licenza di uccidere” speciale a un tribunale per poterle eliminare.
Nel libro sono presenti anche alcune mappe.
Ho sempre amato le mappe, che colleziono. Rappresentano la voglia di scoprire il mondo oltre i confini, il desiderio di comprendere il territorio iniziando dalla geografia. Ho proposto all’editore di illustrare il libro perché non tutti sanno dove sia l’Assam o l’Uttarakhand. Le mappe indicano le tappe di un viaggio che inizia tra i pescatori in un’isola indonesiana, sale verso il sub-continente, esplora il sud-est asiatico, per instradarsi verso l’Asia del Nord, Hong Kong, Seul, e terminare contemplando la Baia di Tokyo dall’alto di un grattacielo.
- Editore: Marsilio
- Autore: Carlo Pizzati
- Titolo: La tigre e il drone. Il continente indiano tra divinità e robot, rivoluzioni e crisi climatiche
- Collana: Gli specchi
- Data di Pubblicazione: settembre 2020
- EAN: 9788829706990
- ISBN: 882970699X
- Pagine: 368
- Formato: brossura
- Prezzo: € 19,00