19 Febbraio 2021 Domenico Cambareri
Governo del dragondrago. Draghi, trasformazioni italiche e marmaglia maramaldesca. I partiti e gli esperti distruttori. Da Mattarella e Bassanini all’incredibile Brunetta.
Prima dell’articolo, presentiamo l’articolazione di un Governo atto a rispondere alle reali esigenze della Nazione e non delle mafie partitiche e dei loro giochi e mode delle denominazioni. Ministeri con portafoglio: Esteri, Cultura, Ambiente e Salute, Difesa, Economia, Interno, Giustizia, Industria e Sviluppo, Infrastrutture, Lavoro. Gabinetto ristretto per le urgenze internazionali e nazionali. Ministero della Cultura Nazionale. Basta con le elargizioni dissennate e con la pacchia pluridecennale dei tre ministeri per rimpinzare gli agglomerati partitici e i burosauri. Cultura: formazione civica e dottorati: (scuola materna, formazione civica primaria, secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado, secondaria superiore, università, ricerca, accademie; enti e aziende nazionali e di partecipazione europea e internazionale, in sinergia con Difesa, Sviluppo, Ambiente e Salute; beni artistici, culturali e archeologici). Difesa: Forze Armate: Esercito, Marina, Aeronautica, Spazio; Armi e Corpi alle dirette dipendenze delle Forze Armate di riferimento per le finalità e le relative specialità militari: Carabinieri, Guardia di Finanza, Capitanerie di Porto – G.C.
Legioni di plaudenti fanno quasi ovunque ala al neo eletto governo di Mario Draghi. Sporadici manipoli di perplessi, poco convinti o contrari, come i casi degni di essere qui rilevati di Massimo Cacciari e di Marcello Veneziani.
Qui scriviamo quello che tanti altri non scrivono e che forse neppure vogliono pensare.
C’è da parte nostra poco di che essere lungimiranti anticipatori delle prossime fortune di questo governo in cui in fin dei conti, in misura più o meno diversa, tutti guardiamo con speranza, ma non con speranzosa speranza bersaniana. E poco di essere ricchi di predizioni su quali secche o sabbie mobili o fossati e precipizi e imboscate esso si troverà davanti, ai fianchi e alle terga. C’è altresì da sottolineare che non vorremo spingerci o farci coinvolgere in chissà quali e quante più o meno sospirate o inspirate dietrologie.
Cercheremo di stare ai fatti, o almeno a quella parte di crudi e pregnanti fatti che possano costituire un riferimento sicuro da cui partire nello svolgimento delle nostre valutazioni e conclusioni.
C’è pure da sottolineare in via preliminare che, in non pochi aspetti di tutto ciò che verremo a dire, Trilaterale, gruppo di Bildberg e consimili centri più o meno etichettati come occulti non c’entrano affatto e che buona parte della farina di loglio, prodotta e utilizzata dalle ciurme di politicanti e sindacalisti per confezionare il ciarpame normativo a buon pro della voracità delle loro clientele, è stata ed è tuttora di stretto marchio indigeno.
Delimitiamo subito, a pro di Draghi. I compiti primari che il presidente del consiglio, per formazione preparazione e esperienza diretta o complementare dovrà subito affrontare sono quelli di garantire una nuova apertura di credito politico interno all’UE e alle organizzazioni internazionali di riferimento diplomatico-militare, finanziario e economico.
Circa il primo, ha già assicurato che l’Italia darà ulteriori contributi alla solidarietà della difesa europea, da pochi anni avviata con molte incertitudini a causa dei molteplici contrasti interni, e a quella atlantica, dichiarata cerebralmente morta da Macron ma rilanciata dal precedente governo Conte 2 con la linea del richiesto (da parte italiana) maggior coinvolgimento statunitense nel Mediterraneo. In poche parole: l’Italia, dopo il suo volontario, interrotto abbandono quale soggetto attivo della scena politica internazionale sui temi più qualificanti e scottanti, e dopo avere fatto passivamente accedere in modo tanto stabile quanto conflittuale nella sua ristretta e più interna area vitale molteplici attori amici o poco amici, in realtà tutti concorrenti fra loro e innanzitutto co-protagonisti a oggettivo detrimento della gestione, ripetiamo, del più delicato e ristretto perimetro della sicurezza vitale del nostro Paese; dopo tutto ciò, dicevamo, l’Italia sta correndo di correre alla men peggio e quasi alla disperata ai ripari. Su questo, Draghi per se medesimo e per il suo governo non potrà che affidarsi e assecondare le linee guida proposte dai nostri think thank diplomatici e militari, nei fatti quasi sempre bistrattati, mal considerati e zittiti. Ma purtroppo pure, non pochi di costoro sono troppo legati ai vecchi schemi atlantici filoamericani in cui non sembra emergere la richiesta di ripensare profondamente il rapporto con Washington. Da un preciso punto di vista, non gli si può dare d’altronde torto; punto che è quello del crudo realismo richiesto in questi contesti. Crudo realismo che mette in luce l’assenza propositiva a pro di qualsiasi linea di politica estera (di difesa e di sviluppo della ricerca avanzata e applicata, quantificabile in non meno del 2,5% del bilancio) italiana degna di tale nome da parte degli esponenti di tutti i partiti, tutti nessuno escluso.
L’urgere dell’assunzione di diretta responsabilità richiesto dai contesti internazionali (non riducibile alla richiesta preliminare della bandierina dell’ONU o della NATO) è talmente grave che il compito affidato a Draghi, non messo per iscritto ma che tale è per tacita e generale e esplicita quanto sottaciuta condivisione delle parti politiche (se parti politiche possiamo ancora definire queste piccole e sclerotiche bande partitiche il cui interesse tanto privatistico quanto pulviscolare per la gestione della cosa pubblica è … ) e del Quirinale, è quella tipica dei più qualificanti aspetti del potere del premierato inglese.
In tale ottica, in tale contesto operativo, chiaramente non costituzionale, autoritativo o autoritario, de facto già operante sotto l’etichetta del governo di unità nazionale, a Draghi possono fare comodo e fanno comodo la presenza di ministri come Di Maio, ai quali toccherà non solo di ubbidire tacendo, ma di svolgere il ruolo marginale quale è quello di un ritaglio di tappezzeria messo lì per soddisfare esclusivamente le esigenze cerimoniali. Lo stesso dicasi del ministro della difesa, che dovrà soltanto assicurare il reciproco assenso fra il Capo del Governo e il Capo di S.M. della Difesa e i tre capi di S.M. delle tre forze armate, più il S.G.D. e Capo degli armamenti e quello dei carabinieri e quello della finanza, per il miglioramento operativo di una macchina squilibrata e squinternata, molto al di sotto dei livelli di apprestamento minimi previsti (!) e miserrimi, tipici prodotti del tutto fantozziani della storia del Consiglio supremo di difesa (sic!!!). Una macchina sovrabbondante di ufficiali e sottufficiali ‘laureati’, gravemente, drammaticamente carente di effettiva disponibilità di truppa e complessivamente sottodimensionata dalle idiotissime e farsesche programmazioni dei governi partitocratici.
Questo vale non di meno per la catena di comando con i capi delle dei servizi e con il capo del dipartimento preposto, in particolare con capo dell’attività esterna, che, al di là del ciarpame legislativo e delle incompetenze di ruolo che esso ha prodotto, continua de facto a essere l’autorità della sicurezza nazionale. Sarebbe cosa necessaria che il neo presidente del consiglio non derogasse di un millimetro al suo ruolo, almeno per i primi dieci mesi di attività di governo, e che NON affidasse ad alcun sottosegretario l’azione delegata di comando d’indirizzo sui servizi per la sicurezza della Repubblica.
Dunque, considerati raggiunti e acquisiti reali questi salienti aspetti relativi all’effettivo esercizio del potere decisionale di Draghi, che potrà dai commentatori essere addolcito come mera espressione di moral suasion del presidente o bonaria immagine del ruolo della sua credibilità internazionale, oppure completamente omesso dalle loro considerazioni, Draghi in pari tempo ha appagato e zittito la famelica macchina del corrivo potere partitocratico.
Le segreterie dei partiti e il codazzo dello pseudo establishment sono tornate a invadere gli uffici di diretta collaborazione e delle segreterie particolari e dei consiglieri dei ministri e dei loro uffici stampa … e dei prossimi viceministri e sottosegretari. Ciò vale pure in riferimento agli altri ministri di colore, con portafogli o meno, e a quelli solo in apparenza tecnici.
Per scontata affinità di formazione, per conoscenza personale etc., soprattutto per rapporto fiduciario con il ministro dell’economia (bilancio, finanze e tesoro), personaggio e dicastero centrali negli scenari presenti e futuri, Draghi potrà recarsi a bordo di un mezzo a quattro ruote motrici ad affrontare le infuocate tematiche che attendono il governo italiano nei foyer e nei teatri e fori internazionali, sia quelli a dibattiti e sessioni aperte sia in quelli a porte chiuse.
Questo è il cuore del governo Draghi, non altro. Se non si accettano le valutazioni e i giudizi qui espressi, si dovranno individuare non meno e ancor più probanti e valide motivazioni sul ruolo di Draghi e sul significato della sua indispensabile ‘guidance’.
Su innovazione tecnologica e transizione digitale, non può che lasciare perplessi se non scandalizzati la nomina di un ministro la cui azienda pare che sia arci notoria per la prassi di scansare più o meno in toto le buone e virtuose pratiche relazionali con la clientela e pare che preferisca addentare alla gola senza mollare la presa per decine di mesi.
Non sarebbe necessario potenziare immediatamente il raggio d’azione e la capacità d’interdizione dell’autorità di controllo competente quanto quelli delle altre autority, e facilitare al massimo e non rendere difficoltoso l’iter burocratico di segnalazione dei singoli cittadini, soltanto attraverso l’invio di una circostanziata email? Quanto la giustizia minuta ne avrebbe a guadagnare in lungo e in largo, e quanti cittadini utenti di questo o di quello, diventati nevropatici cronici, non si rassegnerebbero amaramente disarmati e avrebbero a guadagnare di sonni più tranquilli?
Tralasciamo i riferimenti agli altri ministri, per andare al dunque sulle dolenti note di cui al titolo dell’articolo.
Le note che fanno riferimento allo sventramento sistematico e storico, allo sventramento sistemico di ceti professionali e sociali, di cui ci pare di scorgere in modo netto pure il senso dell’espressione diseguaglianze colossali tante volte utilizzata da noi, quanto in specie varie volte ripetuta per conto suo da Massimo Cacciari, e non soltanto. Il tutto, a venticinquennale beneficio della nomenklatura allargata inventata dalla cricca del DABABE e rafforzata da quella del TREBRUSAC di bandana memoria, che ha portato al definitivo disastro delle motivazioni di quanti operano nelle più disparate struttura pubblica, ad iniziare dalle secondarie superiori e dai funzionari burocratici nondirigentidababetrebrusac e nondirigentispoilingsystem .
In questo ulteriore passaggio, premettiamo qualcosa che tutti omettiamo o dimentichiamo, che invece dovremmo tenere ben in mente e scritta sulla fronte. I comunisti italiani non hanno cessato di esistere. Si sono camuffati, aiutati da tutti gli altri soggetti politici nessuno escluso, a mimetizzarsi nel genericissimo e insignificante termine di sinistra. Questo termine ebbe valore solo per poco tempo, dalla sparizione del PCI alla prima fase dell’avvento di Berlusconi, quando con una netta prevalenza di assensi passò il principio della possibilità dell’alternanza. Con esso, si realizzava una rivoluzione politica di portata storica, giacché veniva a cessare la logica ad escludendum a tutti i livelli dei fori internazionali della partecipazione di un governo italiano che comprendeva o avesse pur anche a guida esponenti ex-PCI; e, dall’altro lato, la pluridecennale politica vessatoria e discriminatori contro la “destra sociale”, che era diventata diretta alleata del partito fondato da Silvio Berlusconi. Partito che vedeva fra i suoi fondatori e primi animatori intellettuali ex comunisti di rango, e non soltanto. Rivoluzione politica che avrebbe dovuto realizzare la governabilità del Paese, cosa fino ad allora mai accaduta
Fu la breve e proficua stagione rappresentata nella capitale in modo emblematico dall’intelligente e aperta ma non più da altri ripetuta attività dell’assessore capitolino alla cultura Gianni Borgna, appartenete allo schieramento venuto fuori dalle ceneri del PCI.
fine prima parte