10 Luglio 2011
Filppo Giannini
Domenico Cambareri
In questo intervento, Filippo Giannini tocca un aspetto assolutamente dimenticato perché apparentemente insignificante. In verità massimamente significativo nel suo reale valore di ignominia politica e morale e di nanismo mentale dei traditori dell’Italia “liberata”. La dichiarazione di guerra dell’Italia antifascista del post tradimento al Giappone. In realtà, tale dichiarazione fu priva di effetti concreti sul piano di un suo intrinseco valore diplomatico in quanto essa era da gemellare con quell’artificiosa e insignificante dichiarazione dell’Italia dei traditori alla Germania. Il rappresentante diplomatico tedesco in Spagna rifiutò di ricevere da quello italiano tale presunta dichiarazione di guerra. Giustamente, in quanto l’Italia, potenza sconfitta che aveva capitolato senza condizioni, era sotto occupazione straniera e non era più un soggetto in grado di potere esercitare poteri sovrani. Schiaffo su schiaffo. Sui rilievi che Giannini muove all’ambasciatore Sergio Romano, uno degli spiriti più coerenti e liberi di questa nostra Italia, non mi sento di condividerli in pieno giacché non è da una semplice ma estremamente lineare e coincisa risposta data a un lettore che si possa cogliere il significato del tutto. Siamo nell’ambito di una grande opinabilità. Certo, Sergio Romano avrebbe potuto rimarcare in maniera più incisiva e colorita il senso della problematica storica che inerisce a un così vile atteggiamento. Non possiamo al tempo stesso non rilevare come le parole da lui usate, che con precisione parlano di opportunismo inconcludente o “sostanzialmente inutile” siano parole che nel linguaggio storico e diplomatico esprimono un giudizio netto. Il giudizio assolutamente negativo espresso dall’ambasciatore Romano, apparentemente asettico, è irrobustito dall’ulteriore spassionata e cruda constatazione: << … due Paesi[ Italia e Giappone] egualmente sconfitti … l’uno dall’altro … privi di sostanziali divergenze>>.
Questa occasione mi è gradita per informare i lettori che l’ambasciatore Sergio Romano anni addietro accettò di accogliere il Premio italo-germanico “Capo Circeo” (uno dei maggiori premi di tutta Europa, fondato da Gino Ragno, Rodolfo Tambroni, Paul Heinz Henke), e che nell’ambito della commissione internazionale del Premio il suo nome era stato proposto da me, trovando unanime consenso.
La politica di Roosvelt, su cui poi si intrattiene Giannini, è la politica di colui che guidò e pervertì la conduzione di governo degli Stati Uniti d’America in anni cruciali, realizzando de facto una dittatura politica in cui i repubblicani accettavano di soggiacere alla farsa delle libere elezioni. In realtà, Roosvelt rese carta straccia il sistema democratico statunitense asservendolo completamente ai suoi progetti, ad iniziare dall’abbattimento del limite dei due mandati presidenziali. Egli riuscì, all’interno degli Stati Uniti, agevolmente ad estirpare le estese simpatie americane verso l’Italia, come quella del trasvolatore Charles Lindberg e le non minori simpatie che gli statunitensi nutrivano verso la Germania (… compreso il tal finanziere Kennedy, padre di John). Sulla contrapposizione tra USA e Regno Unito da un lato e Giappone dall’altro (fermo restando che non si eclissano le atrocità commesse dall’esercito giapponese contro i civili cinesi e dei territori caduti sotto la sua occupazione), spesso gli storici dimenticano di parlare della lezione che apprendono dall’esercizio del potere, ossia di quale ruolo primario e di quali insuperabili duttilità di impiego è fornito l’esercizio del potere marittimo che Roosvelt seppe sfruttare in maniera insuperabile … portando gli avversari – al di fuori dalla logica delle ragioni e dei torti – ad impiccarsi quasi da soli. Domenico Cambareri
LA “GUERRA ITALO-GIAPPONESE”
Ecco, di nuovo, il Signor “X”