Finanza e politica. Quali difficoltà incontra la proposta sugli eurobond di Prodi e Curzio

25 Agosto 2011

Enea Franza

 

Eurobond, una proposta vale l’altra

 

Quadro Curzio e Romano Prodi lanciano la proposta di costituire un fondo con un capitale reale pari circa a 1.000 Miliardi di Euro. A tale fondo cui ciascun Paese Europeo parteciperebbe con il conferimento di beni reali. Cioè con oro, e l’Italia in Europa è la seconda nazione quanto a disponibilità di riserve auree (109 Germania e 80 Milioni di Once l’Italia) e titoli azionari misurati ai valori di bilancio (e non di borsa) fino a giungere con contribuzioni per ciascuno proporzionali al Pil fino a alla quota di capitale di 1.000 miliardi. A fronte di tale contributo, il fondo cosi costituito potrebbe emettere obbligazioni che hanno alla loro base la garanzia dei beni reali sottostanti, pari a 3.000 Miliardi di Euro. Tali obbligazioni troverebbero a facile mercato, in particolare, da parte dei fondi sovrani che hanno liquidità per 4.500 Miliardi circa di dollari. Il tasso di interesse relativo all’emissione andrebbe, secondo Quadro Cursi e Prodi, posto ad un livello intorno al 3%. Un tasso simile, secondo loro, si allineerebbe al costo medio del funding sui mercati internazionali.
Che fare con il denaro cosi raccolto?
Secondo gli economisti, una parte del denaro dovrebbe servire per rilevare i debiti pubblici nazionali dei Paesi in crisi e corrispondentemente la parte residua andrebbe spesa per rilanciare l’economia. L’acquisto dei debiti pubblici nazionali permetterebbe di dare fiato alle economie sotto pressione ed a rilanciare la crescita. La proposta è avvincente, ma solleva non pochi dubbi. Tuttavia, alcuni punti della proposta non sono scevri da critiche. Il primo afferisce al tasso d’interesse relativo all’emissione in discorso.
Infatti, la premessa da cui partire è se una tale operazione sia conveniente anche per i Paesi dell’euro come la Germania, che si oppongono all’emissione di bond europei proprio perché temono che questo determini un maggior costo per la loro provvista. Attualmente il tasso sui Bond tedeschi è, per un titolo decennale, intorno al 2,2%. Il 3% dunque è, secondo gli economisti proponenti, un valore adeguato alla caratteristica dell’emissione (prestito decennale garantito) e all’ammontare complessivo del prestito che, ricordiamo, è di 3.000, ovvero, con una leva paria tre. A fronte dell’emissione ci sono infatti oro e titoli per 1.000 Miliardi.
L’altra questione è relativa alla corretta valutazione dei valori reali posti a garanzia. Si parla di oro e di titoli primari. Per l’oro, la valutazione attuale è sicuramente a livelli elevatissimi. Rimarrà il prezzo dell’Oro alle attuali quotazioni e per quanto tempo? I titoli dovrebbero poi essere prezzati dall’istituendo fondo per i valori di bilancio, in quanto le quotazioni di borsa sono – dicono il Prof. Quadro Curzio e il Prof. Prodi – sottovaluti. Le cose stanno proprio cosi, ovvero, i valori di borsa in effetti danno il valore della società atteso che la crisi che si profila non è finanziaria e temporanea ma reale e di non breve durata?
Il terzo dubbio è relativo al comportamento della speculazione. C’è da sospettare che, per quanto sia grande il fondo, la speculazione riesca a mobilitare risorse più ampie. Spieghiamoci meglio. Il fondo del Prof Prodi è costituito con riserve reali a garanzia pari a 1.000 Miliardi che coprono a garanzia un’emissione di 3.000 Miliardi. La speculazione riesce a muovere importi considerevoli. Si stima che la leva finanziaria nel 2007 tra debiti cartolarizzati ed il Pil mondiale sia stata pari a quattro volte. Inoltre, i derivati sono stati, a metà 2008, pari a 765 trilioni di dollari (così indica la Banca Internazionale dei Pagamenti). Peraltro, più passa il tempo e più l’operazione diventa costosa anche per le autorità europee. La crisi economica, infatti, fa avvitare la situazione di crisi finanziaria dei Paesi in debito ed, in particolare, di Irlanda, Grecia, Portogallo, Spagna e anche Italia. Più il tempo passa, infatti, più i mercati chiedono un prezzo maggiore per rinnovare i prestiti in scadenza, appesantendo per tale via i bilanci pubblici.
Oggi appare chiaro a tutti che la cosa che non convince i mercati, ovvero, gli operatori che investono le loro liquidità sull’Euro, è il sistema stesso su cui si basa tale moneta. La questione è esplosa in tutta evidenza con il caso greco e, soprattutto, quando è stato evidente che non esisteva un impegno europeo sui debiti già emessi, per cui dell’insolvenza rispondeva il solo Paese emettente. A questo punto, è venuta meno la generale convinzione che esistesse una sorta di solidarietà del debito europeo (che invece era divenuta una convinzione condivisa) ed è conseguentemente partita la corsa da parte delle banche, degli intermediari finanziari ma anche dei privati cittadini alla liquidazione delle posizioni di credito più critiche.
Se le cose stanno come noi crediamo, il problema allora non è di costituire un fondo europeo che emetta titoli buoni e che, con il denaro raccolto, compri i titoli spazzatura degli Stati sovrani in difficoltà, ma quello di concordare e ratificare al più presto ufficialmente a livello europeo una sorta di patto che impegni l’Unione Europea (possibilmente e meglio se tutti gli Stati che la compongono e, perciò, non l’area ristretta a 17), ad intervenire a salvaguardia dei singoli debiti nazionali. Insomma, è necessario ripensare ai meccanismi di funzionamento dell’euro, in particolare, prevedendo quali siano i meccanismi che la comunità abbia per risolvere le situazioni di crisi di uno o più dei Paesi membri.
Un ultimo problema. Se le obiezioni mosse hanno lasciato qualche residua speranza, va osservato che il versamento di tali riserve monetarie a garanzia in un fondo equivale alla perdita delle riserve monetarie delle banche centrali. E questo solleva non pochi problemi sia giuridici che economici. Il denaro presso le Banche Centrali non sta là a caso e gli economisti ne conoscono bene la ragione. Ci stupisce, allora, che la proposta venga avanzata non da politici ma da chi insegna o ha insegnato in Università di prestigio. In estrema sintesi, le riserve ufficiali nazionali formano parte integrante delle riserve dell’Eurosistema. Esse, in sostanza, contribuiscono a sostenere e ad alimentare la credibilità del Sistema europeo di banche centrali. La BCE può richiedere, al verificarsi di determinate condizioni, il conferimento di ulteriori riserve. Inoltre, le riserve nazionali consentono alla Banca d’Italia di espletare il servizio del debito in valuta del Tesoro (evitando così eventuali effetti distorsivi sul mercato) e di adempiere agli impegni nei confronti di organismi finanziari internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale. Il risultato della gestione delle riserve nazionali contribuisce alla formazione del bilancio della Banca d’Italia e, come è possibile leggere dal suo sito istituzionale, alla preservazione della solidità patrimoniale dell’Istituto a fronte dei rischi cui questo è esposto nello svolgimento delle sue attività istituzionali.
Inoltre, l’attività di gestione delle riserve ufficiali nazionali è sottoposta – alla stregua dell’attività di investimento del portafoglio in euro – al divieto di finanziamento monetario previsto dall’ art. 101 del Trattato. Sono vietati, pertanto, gli investimenti sul mercato primario in titoli emessi da stati membri e da istituzioni dell’area dell’euro; gli stessi investimenti effettuati sul mercato secondario sono sottoposti a soglie di monitoraggio. Insomma, come si vede, le complicazioni relative alla costituzione di un fondo ad hoc per le emissioni di eurobond, non mancherebbero.

1 comment for “Finanza e politica. Quali difficoltà incontra la proposta sugli eurobond di Prodi e Curzio

Comments are closed.