04 Ottobre 2008
Gino Ragno
Le vicende che precedettero e accompagnarono l’abbattimento del Muro di Berlino
La riunificazione della Germania e la costruzione dell’Europa nel ridisegnare i nuovi equilibri del vecchio continente furono le basi della politica del cancelliere Kohl, non solo dopo la caduta del Muro, ma ancora prima, nel secondo semestre del 1989. Allorché la perestroika e la glasnot di Gorbaciov preannunciavano riforme democratiche negli stati comunisti, si cominciava a parlare della riunificazione propo in quei mesi in cui la rivolta del popolo tedesco dell’Est aveva scelto l’Ungheria e la Cecoslovacchia come strada per fuggire in decine di migliaia verso la libertà in Occidente. La turbolenza di quelle giornate ammonitrici raggiunse anche l’Italia. Qui infatti av vennero le regolari consultazioni dei due governi, ma anche il primo incontro del forum italo-tedesco al quale parteciparono 250 personalità dl mondo dell’industria, della finanza e della cultura. Andreotti presentò una Magna Charta delle convergenze fra Italia e Germania che fu condivisa da tutti, poiché essi vedevano nel partner tedesco la garazia della crescita economica e della stabilità del valore del denaro. Nl novembre del 1989, in Italia esistevano due posizioni contrapposte in merito alla realtà presente e a quella futura della Germania. La prima è sintetizzabile nell’affermazione dell’allora presidente Pertini, che già nel 1979, duante una visita a Berlino, disse chiaramente, condannando, il Muro: “Se l’Italia fosse divisa, io mi batterei per la sua unità.” La seconda è espressa da GiulioAndreotti nel 1984 con la frase: “Esistono due Germanie, è bene che esistano due Stati.” La posizione del governo italiano fu espressa dall’allora presidente del consiglio Bettino Craxi, il quale scrisse una letera a Kohl in cui approava il desiderio del popolo tedesco all’unità. Dopo il sorpendente e sensazionale avvenimento dell’abbattimento del Muro che i Italia produsse entusiasmo e fiducia nei tedeschi, nacque anche un groviglio di paure frammiste a scetticismo in nome di un presunto, pericoloso pangermanesimo. Paure e scetticismo che provenivano da alcu ni settori della DC. Il presidente del consiglio Andreotti solo apparentemente non si sbilanciò con le sue riflessioni, anche “l’Unità” di Occhett scriveva: “Il confine con l’Europa orientale è di nuovo aperto. Questo ridarà all’intero Continente una politica e una identità culturale nuove, con conseguenze oggi imprevedibili ma sicuramente di grande significato pratico e ideale.” “La Stampa” di Torino andò ancora oltre e titolò: “La madre pallida, la Germania, ora guida l’Europa”. L’Italia, con Adreotti presidente del consiglio, si comportò in maniera ambigua con Kohl, venendo meno a quella lega delle nazioni amiche ed alleate che nella Nato e nella Comunità europea si erano sempre dimostrate associate ai principi della Costituzione della Repubblica Federale che ponevano l’unità della nazione tedesca a loro fondamento. Pochi giorni prima dell’arrivo a Roma di Gorbaciov, alla fine del novembre 1989, Andreotti, in un’intervista al “Corriere della sera”, confermò la sua contrarietà all’unità della Germania affermando:”Mi sembra chel’esistenza della nazione tedesca in due Stati è un dato di fatto, una realtà che non viene messa in disucssione. Nel caso della riunificazione tedesca, mi auguro che tale processo non abbia luogo. Andreotti era innamorato dello status quo ante murum, egli non era sensibile alla volontà di libertà dei cechi, degli ungheresi, dei baltici, dei polacchi e dei tedeschi dell’Est. Andreotti nutriva grandissimi sospetti davanti ad una Germania forte di 80 milione di abitanti. Soilo i socialisti al governo e fuori dal governo si dimostrarono soddisfatti delle idee del governo federale tedesco e soprattutto del susseguente ulteriore espandersi dello sviluppo del partner tedesco che avrebbe moltiplicato così il turismo verso l’Ialia e avrebbe ad essa dato ulteriore possibilità di crescita e di sottrarsi all’isolamento internazionale in cui si era cacciata per i suoi mille problemi interni. La posizione di Andreotti irritò per motivi comprensibili l’alleato Kohl. Essa, oltre ad essere una posizione politicamente illogica, non influì sugli altri alleati e si rivelò molto minoritaria in Italia. Il Vaticano non si esaltò al momento dell’abbattimento del muro di Berlino, nonostante il papa polacco, Wojtiwa, si fosse sempre espresso per l’autodeterminazione di tutti i popoli e si dimostrasse sempre preoccupato del confine tedesco-polacco sullOder Neisse. Giovanni Paolo II disse: “Le brutte conseguenze della seconda guerra mondiale scatenata cinquant’anni fa consigliano di restare vigili. E’ sempre possibile che si sveglino rivalità vecchie di secoli.” Era chiaro il significato di questa espressione inserita nel contesto della Ostpolitik del Vaticano, anche se la nostra memoria ci riporta più inditro, quando nell’ottobre del 1965, quando Papa Paolo Vi, ricevendo in Vaticano il sottoscritto e il giovane fuggiasco berlinese Gregor Neumann, rimasto gravemente ferito dalla VolksPolizei, ebbe a dire: “Noi peghamo per un a Germania unita, libera e cristiana.” Una dichiarazione che obbligò il Vaticano a dover contrastare la politica pro Vietnam del Nord inaugurata da Fanfani e dal sindaco di Firenze. In relazione a quell’incontro con il pontefice, ebbi l’onore di accendere per Natale sul Muro di Berlino un cero da lui benedetto. Ritorniamo alla dinamca di quegli eventi cruciali. Kohl, e Adenauer idealmente, ricevette da noi una spinta epocale. Nel febbaio del 1990 la posizione del governo italiano venne corretta radicalmente ad Ottawa durante la conferenza dei ministri degli esteri europei.La Germania cercava di capire tuttavia gli inconfessabili motivi che adombravano la parziale contrarietà che si ravvisava ancora, espressa ad esempio da Francia e Regno Unito. La posizione di Andreotti cambiò radicalmente a Pisa, dove, Kohl, durante la visita alla città, parlò all’ombra della torre a tu per tu con l’esponente politico italiano, “collega” din un partito fratello. Durante la successiva conferenza stampa, ad una domanda del giornalista tedesco Joachim Fischer, Andreotti ammise apertamente la sua conversione. Ma già Forlani aveva votato per la riunificazione tedesca. Pisa, storicamente sempre ghibellina e fedele all’imperatore tedesco,fece dunque il miracolo. L’Italia politica, come già da tempo il popolo italiano, si espresse coralmente per la riunificazikone della Germania.