(Fonte: Parvapolis)
16 Febbraio 2005
Domenico Cambreri
In una logica mercantilistica, i consigli vanno pagati, e pagati a peso d’oro. Non di meno in una logica di ufficialità istituzionale che ricorre ai consiglieri di professione. In una logica del politichese, essi addirittura possono fare le fortune personali e disfare, se sbagliate, intere fortune di governi, coalizioni, elettorato.Va da se che questi consigli sono qui dati a Silvio invece nella sovrabbondanza del dare di chi a nulla mira di direttamente personale, se non a fare perseguire obiettivi in cui l’interesse comune e distributivo risulti prevalente su forme di cointeressenze diverse di natura spregiudicata e corriva, cioè strettamente rispondente a interessi personali, di gruppi e, soprattutto, di natura partitocratrica.
Premesso che il responso elettorale ha mantenuto entro condizioni di oscillazione contenuta e al di sotto del prevedibile il riflusso dei voti per il Polo delle libertà, e che Silvio Berlusconi non perde occasione di essere inguaribile protagonista anche quando dice la verità, come nel caso dell’essersi definito il “parafulmine” per le forze minori della coalizione, e premesso che troppo anticipatamente aveva richiesto un responso su quanto in tre anni ha fatto il suo governo quasi senza parlare dei problemi e degli obiettivi europei, vediamo quali consigli potergli dare. Il primo, relativo al suo ruolo oltre la mera immagine, ruolo che egli consegna contemporaneamente alle cronache e alla storia, non è certo quello di potersi definire uno statista, neanche piccolo piccolo. Non solo per questioni di forme scelte, cosa che un comunicatore come lui avrebbe dovuto capire sin dall’inizio e a cui avrebbe dovuto rimediare a pochi mesi dal successo elettorale, è quello dell’enfatico e poco immaginativo e poco suggestivo ma puramente “mercataro” termine di “contratto con gli italiani”. Capisco bene le intenzioni e le finalità che lo hanno mosso, il voler dimostrare che efficienza, determinazione e perseveranza nelle scelte, tempismo lodevole sarebbero state le caratteristiche del suo governo, caratteristiche atte a dare una vera svolta nella storia dei governi nazionali. Ma le intenzioni e l’ “appeal” che intendeva suscitare dovevano pure essere riassorbiti entro una logica politica superiore, che è quella e soltanto quella di servire la nazione non come si serve il cliente con il contratto chiavi in mano. Scadente al massimo, dunque, l’avere voluto mantenere questo cliché. Elevarsi al ruolo di statista, porta a considerazioni e soprattutto a constatazioni affatto diverse. Lo statista insiste sui pilastri fondamentali della società e delle tradizioni nazionali. Il mercante insiste sulla falsa “logica” delle immagini con pacche sulle spalle denti da reclame per dentifrici e sorriso che ti dice “guarda come ti convinco e come ti sono amico”. In queste mere osservazioni non pagate, non vi è finora una ipercritica, quanto una serie di istantanee, epidermiche impressioni. Elemento comune fra un buon politico, un valido sociologo al servizio di ricerche di mercato e un grande imprenditore è quello di considerare come obiettivo al massimo pagante l’individuazione di quelle fette della popolazione o del mercato potenziale che nel corso dei diversi segmenti temporali (entro cui raggruppare gli indici statistici di almeno gli ultimi trenta anni) che hanno avuto di più, che hanno mantenuto un medesimo standard, ovvero che hanno avuto di meno o che sono state completamente declassate. L’errore di Silvio è stato lo stesso delle classi politiche che si incancreniscono, ad iniziare da quelle presuntamene democratico-socialiste o comuniste di tradizione nostrana: è stato quello di riconfermare e rafforzare i politburo e i gruppi dei beneficiari nella ridistribuzione dei benefici dettati dalla nomenklatura di turno. A nulla serva trarre vanto della riforma fiscale e della declamata ulteriore riduzione delle tasse, ad esempio, se egli con capisce che prima deve ristabilire una giustizia distributiva lungamente obnubilata, adeguando ai livelli europei non certo i ben pagati ma gli stipendi dei professori e dei funzionari ministeriali e non certo regionali, ad esempio. E che a poco serva ancora la diminuzione del carico fiscale nazionale se al suo interno non si calcola l’enorme aumento delle tasse regionali e locali e il costo delle inefficienze, delle improduttività, dei ritardi e delle sovrapposizioni e delle vessazioni prodotte dalla nuova burocrazia nata dalle sciagurate leggi “federaliste” che non avvicinano ma allontanano ancor più il cittadino. Egli ha qui da cambiare completamente registro, sfidando apertamente i leghisti e l’imbelle e trasformista “destra delle regioni” a riconsiderare il tutto dando il ruolo propulsore alle province e lasciando alle regioni quello normativo e di controllo.
Torniamo ancora alle attenzioni di uno statista. Questi si preoccupa del coinvolgimento “umanitario” e di interposizione ai fini della pace delle nostre truppe, ma non di meno e prima ancora si preoccupa di pensare in termini di logistica, ammodernamento e programmazione delle risorse, di reinvestire insomma prima del depauperamento e dello scadimento dello strumento militare che sopravvive poco e male. Si preoccupa anche dello sfruttare le eventuali nuove condizioni di successo che si presentano agli obiettivi della nostra politica internazionale, zittendo Casini e gli altri sproloquianti in merito alla riforma del Consiglio di sicurezza dell’ONU. L’Italia, con il suo non indolore e obiettivamente problematico intervento in Iraq, ha salvato da una grave lacerazione i rapporti fra l’Europa e gli USA, ma anche -all’interno dell’Europa – i rapporti con la Gran Bretagna. L’Italia, già quinto finanziatore dell’ONU e terza tra le nazioni coinvolte a vario titolo in missioni all’estro per quantità di uomini,. mezzi e costi, sta dando prova di così tanto mai vista prima coerenza negli impegni con i maggiori alleati, coerenza che mantiene nonostante i problemi, le perdite di uomini avute e le presumibili ulteriori perdite, il quadro economico interno che è di ulteriore condizione di stagnazione economica. Questa iniezione di fiducia, di cui il merito va a Silvio Berlusconi, favorisce in maniera eccezionale il ritorno del gioco a nostro favore per richiedere il seggio permanente nel futuro, riformato Consiglio di sicurezza dell’ONU, facendo cadere il preesistente e ancora esistente veto dell’alleato americano. Questa pedina è di importanza eccezionale, ma ancora risulta neppure considerata dalla classe politica italiana, tutta presa dai giochi di cortile. Una pedina che ci si impone non per ambizione e che ci obbliga ad uscire dalla condizione di “minorità” politica internazionale auto-impostaci dalla fine del dopoguerra, tanto da essere – per quanto con le dovute proporzioni – come i giapponesi fino agli anni’70, un nano politico e una potenza economica. Un nano politico che ancora oggi si autodefinisce mera “potenza regionale” che tuttavia ha ambito, contraddittoriamente, sedere nell’ambito del G7.
Berlusconi si vanta di avere elevato le condizioni dei pensionati che vivono in povertà, ma non vede come la riforma delle pensioni da lui imposta, senza avere prima fatto ricorso ad adeguati strumenti retributivi, produrrà nei prossimi anni una cascata di neo-pensionati privi del mino di autonomia economica. Sulla Scuola, nella piccola brochure, Silvio ha scritto soltanto balle, balle immense di sapore dei tempi che furono, dei tempi craxiani, o democristiano-comunisti, li si chiami come vuole. Balle che camuffano totalmente la realtà delle cose. Salvo il dimostrarsi buon venditore di parole e di fumi. Le scelte qualitative, pedagogiche, di risorse e delle retribuzione dei professori (capiamoci sulle parole, con dati e repertori statistici: dei professori delle secondarie superiori e inferiori) e il nome di Adornato, che pare svolgere il ruolo di vigilantes sulla Moratti, lo confermano. Infine, cosa davvero futile, debole , impietosa, ricorrere all’abbattimento dell’Irap per la ricerca, per la quale gli investimenti pubblici e privati dovrebbero essere immensi e non bruscolini da terzo mondo, è un’inezia da birbaccioni. Su queste cose, essenzialmente su queste, oltre che sul non sabotare ulteriormente la “convenzione europea” frutto dei “lumi” e delle radici ellenico-latino-germaniche e in ultimo, in verità, slave e non delle fedi ebraico-cristiane (per le quali ultime, nel versante cattolico, non bastano le richieste di perdono del papa: i catari, i valdesi, i sociniani, gli ussiti e i tanti e tanti gruppi e singoli individui cristiani e non cristiani massacrati, condannati, discriminati e dispersi dalle istituzioni secolari al servizio della chiesa gridano da secoli giustizia; e tanto meno basta il grande riconoscimento finalmente tributato dai neri gesuiti su “Civiltà cattolica” al bicentenario del “Codice napoleonico”: troppo, troppo poco, se si pensa che si approfitta subito dopo di intorbidire le chiare acque della laicità dello Stato e di metamorfizzare repentinamente e pericolosamente la fede che, entro e soltanto entro il suo ambito, è, sempre e dovunque, una ricchezza per l’umanità). Poche cose, Silvio, per un essenziale vademecum, valide a portarti al confronto elettorale di fine mandato. Ma valide anche per dei saggi avversari. Poche cose per realizzare un governo credibile, equo e competitivo nei raffronti con gli altri popoli, e non un ennesimo governo dell’incredibile. Dimenticavo. Su Gianfranco Fini, l’ultimo antifascista che gioca nella tiritera clericale, ti consiglierò alla prossima occasione.