23 Agosto 2013
Fonti: Rai Storia, “Beppe Niccolai”, Il Foglio, Il Giornale, Il Corriere della Sera, Comites Houston (USA)
Michele Anselmi, Giovanna Grassi
Nota di Domenico Cambareri
Ci sono crimini e crimini. Quelli dei “liberatori” sono tra i peggiori e quasi sconosciuti
La sera dello scorso venerdì, 15 agosto 2013, su Rai storia è stato proiettato un film storico di enorme importanza. Chissà quanti telespettatori lo avranno visto su questo canale secondario e ancora molto poco seguito. Probabilmente poche migliaia, anche perché non mi pare che la stampa o i dibattiti on line, dopo avere perlustrato a vuoto sino ad oggi l’ottimo strumento di Google a caccia di eventuali riscontri, abbiano ri – “sollevato” il caso a cui sin dal nascere del film è stato dato pochissimo risalto.
Eppure, questo film, interpretato con la solita simpatica bonomia dall’attore Zingaretti, che interpreta l’uomo a cui è dedicato più direttamente, Armando Boscolo, il “capitano di cavalleria del regio esercito di sua maestà Vittorio Emanuele”, mette in luce, per quanto in maniera molto poco cruda e molto ovattata, le sofferenze a cui furono sottoposti i prigionieri di guerra italiani che non vollero piegare la testa fino a rinnegare il proprio onore nei campi di concentramento americani.
La gravità del comportamento statunitense, apertamente criminale nella diretta responsabilità delle autorità militari e di quelle politiche coinvolte e spesso dalla storia sottaciute, è tale che riconferma come la logica della disinformazione e della sopraffazione gratuite e ciniche abbia regnato indisturbata nei palazzi del potere americano.
Lo strumento pesantemente vessatorio e persecutorio utilizzato, ad iniziare dalla riduzione delle razioni alimentari minime stabilite dalle convenzioni internazionali, serviva a questi incalliti delinquenti ”liberatori” della banda di Roosvelt & accoliti politici e con le stellette a piegare la resistenza morale individuale dei soldati italiani, in particolare degli ufficiali, al fine di far loro firmare una dichiarazione con cui affermavano di non essere fascisti e di condannare i crimini di guerra fascisti, ossia del legittimo governo italiano e di essere pronti ad affiancare la guerra “liberatrice” prestando servizio in un “italian service” al servizio dei padroni . In tutto, nella brutale, scellerata, infame e perversa logica volta esplicitamente ad “associare “ in prima persona gli italiani nella responsabilità dei crimini commessi da reparti nazisti operanti in alcuni campi di concentramento trasformati in luoghi di sterminio, di cui mostravano delle foto ai prigionieri.
Quegli stessi uomini, nelle responsabilità politiche e militari di vertice e non, avevano già consumato e consumavano nello stesso tempo ininterrotti crimini contro l’umanità con l’impiego massiccio di bombardamenti a tappeto con le bombe al fosforo su obiettivi esclusivamente civili; utilizzavano le prime due bombe atomiche su due obiettivi esclusivamente civili e non su obiettivi militari o a titolo dimostrativo, circa l’inimmaginabile potenza distruttiva di questi rivoluzionari ordigni, nell’aria o in tratti di mare aperto. Inoltre, avevano bombardato ininterrottamente la Germania ma avevano evitato con cura di colpire strutture industriali, e perciò strategiche ai fini della conduzione della guerra, i cui capitali erano in parte americani (General Motors). Da lì a poco consegneranno oltre trecentomila prigionieri di guerra e civili dell’armata russa filotedesca a Stalin che li fece sterminare tutti, compresi i bambini (“The Last Secret”). Nel mentre, erano e sono partecipi attivi nel nascondere la verità sugli oltre quattro milioni di tedeschi delle marche orientali scomparsi e di cui nulla pare che ancora si sappia.
A proposito dei campi di sterminio. Complici, delatori, organizzatori e al tempo stesso utili idioti dei sionisti, cominciarono a mettere in giro cifre incredibili sugli “ebrei” massacrati. Dapprima tali voci parlavano di massacrati “ebrei” tra gli undici e i nove milioni, poi, anni dopo, si fermavano alla falsa vulgata tuttora in voga dei sei milioni,intoccabili, laddove le rivisitazioni storiche hanno fatto scendere, per fortuna delle stesse presunte vittime, la cifra complessiva di oltre il 30%. Con questo strumento, degli incalliti delinquenti riuscivano a mettere la museruola definitivamente agli europei, ad iniziare dagli altri utili idioti di inglesi e di francesi, guidati da fanatici di non comune taglia e per ciò non di meno paragonabili alla megalomania di Hitler (Churchill scimmiottò perfino la famosa frase sul reich millenario nazista, preconizzando un millenario Commonwealth con la “vittoria” inglese; meglio non parlare del generale De Gaulle e della sua grandeur, sconfitto sul campo di battaglia da un colonnello tedesco con forze di molto inferiori, che disobbedì al doloroso ordine impartito da Pétain; sulla “liberazione” francese, pare che ancora l’opinione pubblica non sappia del costo delle fucilazione e delle altre condanne a morte eseguite contro i “collaborazionisti” che credevano e combattevano per una grande Europa e anche nei confronti dei patrioti corsi che speravano nella riunificazione con la madrepatria italiana).
E ancora. Questi incalliti predicatori della liberazione dei popoli a suon di massacri di popolazioni inermi perpetrate con i bombardamenti aerei “asettici” in modo scientifico e preordinato istigarono i loro soldati a non fare prigionieri. Non sappiamo quante volte questi bonari liberatori l’abbiano fatto, allora, certo è che uno dei loro maggiori idoli, il famigerato generale Patton, istigò spavaldamente e impunemente i suoi soldati a non fare prigionieri italiani. Di questi casi la stampa italiana ne ha parlato, compreso il Corriere della Sera, e noi l’abbiamo ripreso (si veda tra i tag: crimini americani, crimini inglesi), quindi il velo del non sapere e/o dell’eventuale omertà e complicità dei collaborazionisti traditori del re e dei ministri scappati e dei partigiani e dei mafiosi è acclarato.
E ancora. Gli americani per conquistare l’Italia e poi ancora in Italia si avvalsero di mafiosi italoamericani e italiani in tutto e per tutto. E’ una delle pagine più clamorose e sporche del dopoguerra, dopoguerra che ridusse la nostra Nazione a semplice provincia dei malavitosi organizzati, coperti e resi intoccabili dai servizi americani. Con la mafia prosperò parallelamente e spesso in simbiosi l’altra calamità nazionale, la rinata e affamata partitocrazia..
E ancora. Questi moralisti grondanti di sangue, allo stesso tempo dettero rifugio agli scienziati e a tecnici tedeschi, ad iniziare da quelli che realizzarono i grandi missili a stelle e strisce e anni dopo li portarono nello spazio e sulla luna. Inoltre, garantirono la fuga a una quantità non indifferente di nazisti, in particolare quelli direttamente responsabili di efferati crimini.
Ritorniamo a Hereford e ai “prisoners of war camp”. 50.000 militari italiani , al di là dal loro credo politico, resistettero alle lusinghe, alle minacce e ai crimini statunitensi. E alcuni di loro ci rimisero la pelle, altri per sempre la salute. Ci fu chi non tornò in Italia e rimase in America e lì si sposò e visse, come il capitano Boscolo. Il lettore troverà di seguito documenti che offrono specifici riferimenti.
Apprendiamo dagli italiani-americani che alla commemorazione dello scorso anno fatta ad Hereford dai pochi sopravviventi hanno partecipato anche rappresentanti del mondo politico, parlamentare e istituzionale americano. La cosa ci fa molto piacere. Ma essa diventa del tutto irrilevante davanti all’ottuso silenzio che il Parlamento, il Pentagono e la Casa Bianca mantengono su questi atti criminali. Gli italiani attendono ancora la richiesta di perdono. I canadesi, a proposito delle terribili vessazioni fatte soffrire agli emigranti italiani rinchiusi in campi di concentramento, da alcuni anni hanno avuto il coraggio di farlo. Per quanto non di chiedere pedono ma “scusa”. E’ già qualcosa, anche perché è nei loro atti ufficiali. Certo non gli hanno tornato i beni confiscati. Sui canadesi “liberatori” tornerò a breve con una nota,in riferimento a quanto in scandaloso è stato consumato questa estate in Sicilia in “onore” dello sbarco alleato. E l’Italia era un Paese in guerra con un capo della Stato, un re legittimo, e un governo altrettanto legittimo. Quanta infamia e quanta mancanza di dignità vi è ancora tra questi codini, insulsi servi dello straniero? – Domenico Cambareri
The Good War in Italy.
Anche oltre il termine della guerra. Per piegare la dignità di soldati e di un intero popolo.
Ai Fratelli Italiani d’arme e d’amore
Da Giuseppe Berto a Gaetano Tumiati, da Alberto Burri a Dante Troisi, da Armando Boscolo e Beppe Niccolai, furono in molti, poi ascesi alla fama, a raccontare la dura esperienza sofferta nel campo di Hereford nei mesi successivi alla fine della guerra. Decisi a piegare la cocciuta resistenza degli ufficiali “fascisti” (Michele Anselmi) –
FRAMMENTI (di Beppe Niccolai)
da “Il Foglio”, 5 febbraio 2002
Texas ’46, il lager USA
dove i fascisti italiani non furono trattati coi guanti
Michele Anselmi
Roma. Vista da lontano, ricorda la bandiera americana di Jasper Johns che “Il Foglio” offrì in regalo ai suoi lettori in forma di poster. Invece è il manifesto di un film: “Texas ’46”. In primo piano, quasi a confondersi con le strisce bianche, una rete di filo spinato; sulla sinistra, là dove si raggruppano le stelle, il corpo senza volto di un soldato: lacero, impolverato, in maglietta, con le scarpe malamente rappattumate. Un soldato italiano. Sì, uno dei cinquemila (cinquantamila in tutti gli States) che dalla seconda metà del 1943 fino al febbraio del 1946 si ritrovarono nel campo di concentramento di Hereford, in Texas. “Military Reservation and Reception Center” era il nome ufficiale di quel posto poco ospitale, a mille metri d’altezza, spesso devastato dai tornado e dalle tempeste di polvere, eretto nel 1942 nei pressi della cittadina texana che oggi conta 15.865 anime e tre milioni di mucche condannate al macello.
Ma per chi vi fu rinchiuso, Hereford diventò, soprattutto dopo il maggio ’45, semplicemente un luogo di patimenti: il cosiddetto Fascist’s Criminal Camp destinato agli ufficiali italiani che, dopo l’8 settembre, s’erano rifiutati -non sapendo o non fidandosi- di firmare fedeltà al Re e quindi di aderire a un corpo speciale chiamato “Italian Service Units”. Pronto da svariati mesi, il film del quarantenne Giorgio Serafini uscirà l’8 marzo prossimo. Ma sin da ora promette di riaprire qualche ferita storica, nonché di sollecitare, più o meno maliziosamente, un paragone con il trattamento riservato al primo gruppo di talebani rinchiuso nella base americana X-Ray, a Guantanamo. S’intende, c’è una differenza non di poco conto: gli italiani catturati in Nord Africa dopo la disfatta di El Alamein avevano combattuto nei ranghi di un esercito regolare nel quadro di una guerra dichiarata, e quindi erano a tutti gli effetti “prisoners of war” garantiti dalla Convenzione di Ginevra, mentre i militanti di Al Qaida presi in Afghanistan appartengono a una formazione terroristica che ha agito al di fuori di ogni regola bellica, fomentando e organizzando un odio totale culminato nella strage delle Twin Towers. Nondimeno le ormai note fotografie ritraenti quei talebani in tuta arancione, inginocchiati, ammanettati e imbavagliati, controllati a vista da giganteschi marines, hanno sollevato una franca discussione che s’è riverberata sulle pagine de “Il Foglio”, con l’aggiunta di gustose divagazioni storiche connesse alla “Legge degli Elleni” evocata da Tucidide a proposito dei tebani sconfitti. Vero è che, se non la “Legge degli Elleni”, neanche la più ravvicinata Convenzione di Ginevra fu rispettata a Hereford dalle autorità americane nei confronti degli ufficiali italiani considerati «irriducibili».
Il film, pur costruito romanzescamente sul simbolico duello nel campo ormai svuotato tra il comandante yankee Roy Scheider e il tenente italiano Luca Zingaretti (il Giorgio Perlasca di una recente fiction tv), rielabora le testimonianze già raccolte da Serafini per un documentario, “Le mura di sabbia”, prodotto da Canal+ belga, la Sept e Rtl. E così riemerge dagli archivi, con la potenza drammatica del cinema, una pagina di storia poco conosciuta, volentieri rimossa, benché narrata nel Dopoguerra da più di un testimone oculare. Da Giuseppe Berto a Gaetano Tumiati, da Alberto Burri a Dante Troisi, da Armando Boscolo e Beppe Niccolai, furono in molti, poi ascesi alla fama, a raccontare la dura esperienza sofferta nel campo di Hereford nei mesi successivi alla fine della guerra. Decisi a piegare la cocciuta resistenza degli ufficiali “fascisti” (per i soldati semplici, ingaggiati come lavoratori agricoli, la vita era ben più morbida), gli americani le provarono tutte. Scrive il futuro giornalista (e socialista) Gaetano Tumiati nel suo “Prigionieri del Texas” (Mursia): “Dagli ultimi di maggio del ’45 hanno cominciato a diminuire le razioni di cibo. Primo hanno chiuso lo spaccio, poi hanno abolito le salse, il burro, ogni tipo di carne, fresca, congelata o in scatola”. Non bastando, si passò a punizioni ancora più gravose: adunate senza scopo sotto il sole cocente, dalle 10 del mattino alle 3 del pomeriggio, e gradevolezze del genere.
Spiega il regista, ora alle prese con un duplice progetto (il rifacimento televisivo de “La cittadella” e un film su Edda Ciano): “Ho voluto raccontare alcuni uomini persi in una surreale Terra di Nessuno, la piana desertica del Nord Texas. La guerra era finita, ma a Hereford tutto restava uguale, cristallizzato. I prigionieri non capivano che cosa stava succedendo in Italia. Nel dubbio si irrigidirono, evitando ogni collaborazione col ‘nemico’. Gli americani, a loro volta sospettosi e orripilati dalla scoperta dei lager nazisti, fecero di tutto per ritardare il ritorno a casa degli italiani, tanto che gli ultimi quattromila furono rimpatriati nel gennaio del ’46″.
Del vecchio campo di prigionia è rimasto ben poco oggi a Hereford: una torre dell’acqua, una bizzarra cappella bianca in stile mussoliniano edificata dagli ufficiali in mezzo al grano, qualche traccia di filo spinato. Ma il ricordo di quei cinquemila italiani resta vivido. Molti di essi si fecero voler bene dai farmer locali, nacquero anche degli amori, e ogni anno da lì parte qualche anziana signora vestita di rosa per partecipare al raduno dei sopravvissuti che si svolge a Pesaro, in settembre.
Corriere della Sera.it
Ciak in Texas, ” lager ” degli italiani
Anche Bova nel film sui soldati deportati nei campi Usa dopo l’ 8 settembre 1943 Il regista Serafini: ” A Hereford costrette alla fame 5000 persone ” Sul set Sam Shepard e Martin Landau
Ciak in Texas, “lager” degli italiani Anche Bova nel film sui soldati deportati nei campi Usa dopo l’8 settembre 1943 Il regista Serafini: “A Hereford costrette alla fame 5000 persone” Sul set Sam Shepard e Martin Landau IROMA nizieranno a giugno negli Stati Uniti le riprese di “Texas”, un film che narra l’odissea, dal 1943 al 1946, di soldati e ufficiali italiani nel campo di concentramento americano di Hereford, un episodio della storia poco conosciuto. Gia’, nel Texas, luogo esemplare di tutte le mitologie americane, furono tradotti piu’ di cinquemila soldati e ufficiali prigionieri di guerra italiani, che avevano scelto di non collaborare con gli Alleati. E qui tenuti dopo l’8 settembre. Il film sara’ diretto da un giovane regista italiano, il trentasettenne Giorgio Serafini, da tempo attivo in America come sceneggiatore e documentarista. Sul tema di “Texas”, Serafini ha gia’ girato il documentario “Le mura di sabbia”, intervistando prigionieri e guardie. Negli Usa il lavoro continua a essere replicato in tv. “Alcuni dialoghi del copione – dice Serafini – sono l’esatta trascrizione di cio’ che mi e’ stato narrato da Armando Boscolo, un prigioniero del campo. I caratteri della storia del film sono immaginati, ma ognuno di essi rappresenta un aspetto reale. Cosa fare di quei prigionieri di guerra imbarcati per gli Stati Uniti? Dovevano essere considerati alleati o nemici? Per risolvere questa difficile situazione, l’esercito americano decise di far firmare a tutti un documento di arruolamento in un corpo speciale chiamato “Italian Service Units”. Cinquemila prigionieri rifiutarono di firmare e furono internati a Hereford. L’amministrazione americana diminui’ le razioni di cibo sotto il minimo stabilito dalla Convenzione di Ginevra per forzare i prigionieri italiani a firmare”. Il film sara’ interpretato da Sam Shepard e Martin Landau, che hanno gia’ firmato il contratto. All’italo americano Martin Scorsese e’ stato offerto il cameo di un sacerdote del campo e il regista ha dato la sua piena disponibilita’. Raoul Bova, che sta mettendo a punto la sua partecipazione, dice: “Sono conquistato dall’idea di fare questo film in America, a contatto con protagonisti di grande calibro. Mi interessa il ruolo di questo italiano che ha uno scontro ideologico, dialettico con un ufficiale americano. La guerra con gli americani era finita, il mondo poteva essere in pace, l’8 settembre si era celebrato, ma a Hereford nulla cambiava”. Dice il regista: “Il produttore Alessandro Verdecchi, anche co – sceneggiatore, ed io abbiamo ottenuto il Fondo di garanzia italiano per quasi tre miliardi e abbiamo la co – produzione francotedesca e la distribuzione internazionale americana (quasi 4 miliardi). Questo e’ un progetto italiano, al quale il Governo ha dato la fiducia. Rappresenta una di quelle nuove strade produttive che il nostro cinema sta cercando di sperimentare”. “Sam Shepard – racconta il regista – sara’ il colonnello Gartner, che ha costruito la sua carriera militare combattendo in due guerre mondiali. + il comandante del campo. Il suo ruolo e’ molto importante perche’ la storia lo mette a confronto con un prigioniero italiano, Luigi – Raoul Bova, che, dopo essere fuggito ritorna nel campo ormai quasi deserto. Gartner lega Luigi a un letto, in una baracca vuota. Ma la mattina non viene nessuno a prendere il prigioniero; le linee del telefono sono interrotte per un fulmine, la jeep non riparte. Dimenticati in mezzo al Texas, i due uomini continuano un conflitto che non ha piu’ senso nel momento in cui il resto del mondo va verso la pace”. * —————————————————————– IL RICORDO DI UN PRIGIONIERO Lo scrittore Tumiati: “Con me soffrivano anche Berto e Burri” Sul suo internamento nel campo di Hereford, Gaetano Tumiati ha scritto “Prigionieri nel Texas” (edito da Mursia nel 1985). Ricorda l’autore, premio Campiello per “Il busto di gesso”: “Io ero uno di quelli che rifiuto’ l’alleanza con gli americani. Con me c’erano Giuseppe Berto, che proprio in quel luogo concepi’ “Tra la gente comune”, poi pubblicato con il titolo “Il cielo e’ rosso”, il musicista Mario Medici, lo scrittore Dante Troisi. E fu li’ che Alberto Burri inizio’ a dipingere”. Il film di Serafini non e’ tratto dal libro – documento che Tumiati ha dedicato al fratello Francesco, fucilato dai fascisti nel ’44 proprio mentre lo scrittore era rinchiuso nel campo di concentramento. Tuttavia “Prigionieri nel Texas” e’ stato una fonte di documentazione per gli sceneggiatori. “Il regista chiese di parlarmi dopo aver letto il mio libro – spiega Tumiati -. Tuttavia, mi auguro che il film renda il travaglio morale e politico di quei giovani poco piu’ che ventenni, la loro caparbia resistenza, le sofferenze, la fame. A Hereford c’erano fascisti nostalgici dell’Impero o affascinati da Salo’, gruppi minoritari marxisti, soldati che non se la sentivano di cambiar trincea dopo aver sparato per anni da una parte. Spero che, per le nuove generazioni italiane, le prime che hanno avuto la fortuna di crescere senza una guerra, i nostri “Prigionieri nel Texas”, rappresentino un momento di riflessione, di studio della storia del nostro Paese”. (Giovanna Grassi)
Grassi Giovanna
Pagina 38
(15 aprile 1998) – Corriere della Sera
Manifestazione Commemorativa di Hereford Texas – 2009-08-12 8 AGOSTO: DA MARCINELLE AL TEXAS CON LA MANIFESTAZIONE COMMEMORATIVA DI HEREFORD HOUSTON aise – Erano prigionieri in una terra sconosciuta, le migliaia di italiani che da oltre oceano erano stati portati durante il conflitto della seconda guerra mondiale negli infiniti campi del Texas.
Dal 1943 al 1946 circa 7000 prigionieri italiani furono internati nel campo di Hereford circondato da 800 acri di terra.
Ricordi e racconti molto toccanti degli ex prigionieri italiani della seconda guerra mondiale, testimonianze uniche: dal trattamento rispettoso da parte dei “farmers” locali che impiegavano i soldati italiani nelle proprie terre, al taglio drastico delle razioni agli Ufficiali “non collaboratori” dopo la firma dell’armistizio. Ricordi ancora vivi quelli del “campo” a 3 miglia di distanza dal paese più vicino, Hereford, che conta oggi circa 15.000 abitanti e 3 milioni di capi di bestiame, dove nel mezzo di un’estesa piantagione di grano fu costruita con mezzi di fortuna una cappella votiva dai prigionieri italiani non collaborazionisti della seconda guerra mondiale per onorare i 5 caduti che non ebbero la fortuna di ritornare a casa.
Sabato 8 agosto alle ore 11.00, a distanza di 65 anni, in quel campo i 4 superstiti ex prigionieri italiani, il gen. Adriano Angerilli, Ezio Luccioli, Giuseppe Margottini, Fernando Togni ed il consigliere del Cgie Enzo Centofanti, in veste di Ex Pow nei campi dell’Africa, hanno presenziato la cerimonia solenne in prima fila, cantando l’inno nazionale all’alza bandiera elevata su dagli ufficiali dell’Aeronautica militare italiana, e, a testa alta e schiena dritta, con il saluto militare, osservando prima l’alza bandiera americana e poi un minuto di silenzio suonato alla memoria dei caduti da una trombettista militare americana con i “gun shot salut” da parte dei militari dell’aviazione statunitense, la benedizione e la preghiera, si è passati alla riapertura della cappella con i 5 che hanno depositato una lapide e delle targhe dedicate dal Comites di Houston ed un quadro dal Comitato Tricolore per gli Italiani nel Mondo.
Così si legge sulla lapide: “Fratelli Italiani d’Arme e d’Amore, qui presenti 64 anni dopo, ricordano coloro che non sono tornati a casa. Dura il valore della dignità vissuta e confermata: una testimonianza d’Italia, un sentimento di Patria, un abbraccio di Pace”.
Erano presenti il sottosegretario di Stato, Roberto Menia, in rappresentanza del governo italiano, il console Generale d’Italia a Houston, Cristiano Maggipinto, i rappresentanti del Cgie Della Nebbia, del Comites Gargiulo e Pacetti, del Ctim Clemente, dell’Associazione Italoamericana dell’Oklahoma Frank Agostini; ed ancora il comandante RAMI di Sheppard Piccolomini ed una delegazione di 8 militari tra ufficiali e sottufficiali, il presidente UNUCI Sezione di Miami Pianta, le autorità locali, i sindaci di Hereford e Dimmitt, i giudici delle contee di Dimmitt e Castro, il senatore J. Cornyn ed il parlamentare R. Neugebauer, il responsabile della commissione storica dello Stato del Texas Mcworther e delle contee Clara Vick, gli sceriffi. Per le autorità militari hanno partecipato alla commemorazione il rappresentante del Joint Chief of Staff (Capo di stato maggiore della Difesa) Keith Thurgood, una delegazione dell’Aviazione Militare della base di Cannon Air Force Base ed il maggiore dei Marines Barela. Presenti infine il regista cinematografico Giorgio Serafini, i media locali, regionali e nazionali, Raitalia e circa 200 partecipanti provenienti non solo dalle località limitrofe ad Hereford, ma anche da fuori lo stato del Texas.
Prima della conclusione due ufficiali dell’Aeronautica Militare Italiana hanno depositato all’interno della cappella una corona di Fiori accompagnati dalla musica del Piave, 24 Maggio, e dalla più alta autorità presente, il sottosegretario Menia. C’è stata tanta commozione tra i presenti.
Adriano Angerilli, 92 anni, è l’unico superstite del gruppo originale che ha costruito la cappella. Lasciò l’Italia nel 1939 arruolato nell’esercito con i gradi di Tenente; catturato nel 1943 in Africa del Nord, arrivò nel campo di Hereford nel 1944 e ritornò in Italia nel 1946 dove assieme agli altri non collaborazionisti fu prima messo in carcere e poi rilasciato. Nel dopoguerra si arruolò nel corpo forestale dello Stato, si laureò e concluse la sua carriera con il grado di Generale. Così dice: “Troppe emozioni, è eccezionale. Sono contento che finalmente dopo tanto tempo il governo italiano abbia riconosciuto questa storia”. E poi: “Non ho visto mai l’America come nemico. Mi è sembrato di essere stato qui poco tempo fa e invece è passato tanto tempo. Con serenità posso dire che è vero che sono stato trattato da prigioniero, ma ricordo anche quanto gli Stati Uniti abbiano fatto per ricostruire l’Europa”.
Oggi Angerilli risiede ad Arezzo, vicino ad un altro dei presenti, Ezio Luccioli.
Durante la conferenza stampa, l’ex POW Fernando Togni ha precisato: “in termini di età io e Margottini eravamo più giovani rispetto ad Angerilli, perché ci eravamo arruolati come volontari della RSI, Margottini racconta che ha dovuto mentire per arruolarsi volontario, era infatti il più giovane del campo di Hereford, fu catturato all’età di 15 anni assieme a Togni nel 1944 nelle spiaggie di Anzio”.
Enzo Centofanti fu catturato in Africa e dopo 7 anni di prigionia in diversi posti del Nord Africa da non collaborazionista ritornò in Italia. Emozionato, racconta di una sua recente visita in Kenya, dove ci sono molti italiani sepolti ed in ogni Paese, a distanza di 10 km, gli italiani costruirono diverse cappelle e addirittura una Basilica in memoria dei caduti. “Sono affascinato dal calore del popolo texano, dalla loro ospitalità e dalla loro sentita partecipazione a questo evento straordinario”, ha detto congratulandosi con gli organizzatori e i promotori per questa iniziativa. Poi assieme al presidente del Comites di Houston Vincenzo Arcobelli ha chiesto al sottosegretario Menia di farsi portavoce presso il governo italiano e il ministero della Difesa affinché iniziative di questo genere siano uno sprone per “creare una commissione e poter conservare come patrimonio storico le cappelle e i cimiteri dove sono sepolti gli italiani morti in guerra e sparsi in diverse parti del mondo”.
Dopo la riapertura e benedizione della Cappella in Texas, i partecipanti si sono recati all’Hereford Country Club dove si sono tenuti i discorsi di benvenuto e i saluti da parte delle autorità locali. Il rappresentante della commissione storica dello Stato del Texas Mcwhorter e Clara Vick hanno ringraziato in particolare il Comites di Houston che ha contribuito al restauro della cappella ed hanno introdotto il “partner più vicino all’organizzazione di questa commemorazione”, il presidente Arcobelli. Questi si è rivolto agli ospiti in un discorso molto sentito e spontaneo: ha salutato e ringraziato in italiano ed in inglese le autorità locali per l’ospitalità, la commissione storica e tutti i volontari che si sono prodigati per l’allestimento ed i lavori di restauro della cappella, il presidente del Ctim Oklahoma Clemente per i molteplici compiti svolti sempre con passione e dedizione, i colleghi del Comites che hanno sostenuto l’iniziativa ed il console Generale d’Italia a Houston Maggipinto che ha sposato la causa dal primo momento, il col. Piccolomini e la delegazione dell’Aeronautica Militare di Base a Sheppard per il loro supporto, il presidente Unuci Antonio Pianta, la rappresentanza Militare Americana e tutti i presenti per la loro partecipazione, primo fra tutti il sottosegretario Roberto Menia.
“Questa manifestazione”, ha detto Arcobelli, “è molto significativa oggi nel ricordare i 5 caduti italiani del Campo di Hereford, per onorare i nostri ex prigionieri di guerra per avere compiuto il loro dovere fino in fondo con sacrificio e dignità, rispettando i valori fondamentali della Patria e dell’onore personale ed in qualità di militari. Questa cerimonia ha e deve avere un aspetto unificante, fa parte della storia americana e di quella italiana e dovrà avere una continuità non solo storica ma anche culturale, viste le testimonianze della costruzione architettonica della cappella, della chiesa di St. Mary, di dipinti e quadri religiosi dedicati dai prigionieri italiani, alcuni dei quali hanno contribuito nel dopoguerra allo sviluppo socio-politico-culturale del Paese Italia, come il pittore Burri, i giornalisti e scrittori Boscolo e Tumiati, Melville”.
“Quello di oggi”, ha continuato, “è un ringraziamento ed un riconoscimento doveroso alla commissione storica del Texas, a Clara Vick e alla comunità locale di Hereford e Dimmit per la loro amicizia e per aver saputo conservare e promuovere un pezzo di storia che ci appartiene, per tenere alta e viva la memoria e non dimenticare, da esempio per le future generazioni. Una giornata che coincide con quella di Marcinelle, Giornata Nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo, voluta fortemente dall’allora ministro per gli italiani nel mondo, Mirko Tremaglia, il quale vi saluta tutti”. A Marcinelle, ha ricordato Arcobelli, “nel 1956 morirono 136 italiani nella miniera di Bois du Cazier”, per commemorare i quali “in tutte le ambasciate e consolati italiani nel mondo” è stato “dedicato un minuto di silenzio come da messaggio del Ministro degli Esteri Frattini”.
Quindi rivolgendosi al sottosegretario Menia, “finalmente dopo 65 anni abbiamo avuto una sensibilità ed un riconoscimento ufficiale da parte del governo italiano, per questa parte di storia un po’ troppo dimenticata. Grazie per la sua presenza e pregasi rivolgere al Governo e alle alte cariche dello Stato il ringraziamento ed il saluto di noi tutti i presenti”.
Infine, salutando il generale Thurgood e il colonnello Piccolomini, Arcobelli ha rivolto “un pensiero alle donne e agli uomini militari delle due Nazioni, ai volontari del servizio sanitario, ai missionari, che con il più alto sacrificio hanno pagato con la propria vita per portare pace, democrazia e progresso nel mondo”.
Dopo il discorso di Arcobelli, ha preso la parola il console Maggipinto che ha ringraziato tutti gli organizzatori ed in particolare Clara Vick ed ha letto i messaggi giunti per l’occasione dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Letta e dalle alte cariche dello Stato, il presidente del Senato Schifani e della Camera Fini, e del presidente del Comitato parlamentare per gli italiani all’estero Zacchera. Poi ha introdotto il sottosegretario Menia, che portando i saluti del governo italiano, ha detto: “sento molto questa manifestazione e non parlo con discorsi già preparati magari da altri, parlo con il mio cuore, toccato dalla funzione di pochi minuti fa. Mentre la cappella potrebbe essere un riferimento storico e di memoria o come simbolo di spiritualità, oggi con questa riapertura ha certamente un significato forte di riconciliazione affermata delle due nazioni. I due popoli, le due Nazioni si sono uniti nella lotta per la libertà,la democrazia e per contrastare il terrorismo internazionale e se 65 anni fa i prigionieri italiani che oggi siedono accanto a voi erano considerati il vostro nemico, oggi sono tra i migliori amici che avete”.
“Onorato” si è detto il generale Thurgood ed “orgoglioso” il colonnello Piccolomini.
La cerimonia si è conclusa con una breve presentazione del film “The Good War in Italia – Texas 46” da parte del regista Giorgio Serafini, il quale ha raccontato le parti salienti della preparazione del film e si è detto “molto grato di essere qui oggi tra di Voi, Hereford è un pezzo della mia vita professionale” – questo è stato il primo film girato da Serafini – “e dei ricordi che non se ne andranno mai”.
Alla fine della cerimonia sono stati consegnati dei Diplomi per la partecipazione. Molti i messaggi arrivati dalle autorità istituzionali e politiche, come il governatore del Texas Perry che ha dato il patrocinio della manifestazione, e parlamentari e senatori americani. (aise)
per il video mandato in onda da Rai Italia visitate il link sotto: