Silvio, ti do una mano. Cambareri: «Pessima la gestione del rinnovo del contratto del pubblico impiego. Ma ha ancora una chance»
13 Maggio 2005
Domenico Cambareri
(fonte: Parvapolis)
Massimo Riva scrive su Repubblica che Berlusconi sta dimostrando la più grande incapacità politica su come sta gestendo il rinnovo del contratto del pubblico impiego. Nulla da eccepire. In gran parte sono da condividere le osservazioni che Riva muove sullo scontro plateale all’interno del governo, che apparentemente pare diviso tra chi mira agli interessi elettorali (UDC e AN) e chi mira agli interessi più generali del Paese, in primis Siniscalco, Maroni e…la nuova accoppiata Berlusconi – Confindustria (che non è un soggetto governativo). Per Belzebù, non sono da condividere affatto gli esempi in positivo che Riva richiama, rifacendosi ai tempi del governo dell’ultimo centrosinistra vecchio stile, fra l’altro con Amato e Ciampi, all’inizio del decennio scorso. Infatti, la rovina di Berlusconi non sta tanto nell’aver buttato alle ortiche la politica della concertazione, come sostiene Riva, quanto nel non conoscere gli effettivi problemi, le contraddizioni e le mille porcherie che si celano nel bubbone del pubblico impiego e dei deconntrattualizzati (ossia di tutti quei dipendenti pubblici, ad iniziare da quelli delle camere e dai dirigenti che ricevono il rinnovo del contratto direttamente dal parlamento e dal governo, con aumenti reali e non “calcolati” sull’inflazione). Ha torto sfacciato Riva a richiamare quell’esempio in positivo, e in tal modo dimostra come se e quando governa la sinistra ogni politica di di riduzione effettiva del reddito della solita parte dei dipendenti pubblici sia additata come soluzione “buonista” e di rigore, di scelte “virtuose” e necessarie. Perché? Perché in quegli anni furono rapinati in banca i depositi dei cittadini con colpi di mano e manovre che ancora oggi puzzano troppo, e perché ai dipendenti pubblici non soltanto furono congelati i rinnovi contrattuali e perché non soltanto la lira fu tagliata di oltre il 30% e fu messa “fuori corso” dalle valutazioni di borsa (sì ci si preparava al passaggio dall’ecu all’euro e al blocco delle mostruose crescite debitorie, ma ci sono i ma del colpire i soliti noti). Ma anche perché con la concertazione sociale e con l’accordo capestro del 1993 venivano abolite le anzianità di carriera dei dipendenti pubblici (le risorse reperite venivano e vengono utilizzate per oleare l’apparato e gli ingranaggi con in sindacati e per criteri meritocratici asinini), che hanno comportato in maniera ben specifica per alcuni una contrazione reale del reddito percentualmente elevata che dura tuttora, reddito che già era stato riparametrato e declassato con la creazione dei livelli di inquadramento, sicché i professori delle secondarie da “dirigenti” e “funzionari” diventavano e risultano ancora caporali con le toppe al sedere. In realtà, le sceneggiate di quest’ultimo mese si sono sempre ripetute nel corso dei rinnovi contrattuali anche con accenti molto più forti e scontri più aspri. I problemi di Berlusconi sono di diversa natura, oltre a quelli della probabile poco conoscenza e dell’arroganza che in non pochi casi lo caratterizzano. E’ strano e comunque interessante il fatto che in questi giorni si sono tenuti ufficialmente fuori della vicenda il suo consigliere economico, Brunetta il rosso, e il vice di Silvio Tremonti. Non può che preoccupare invece su come la bruta manovalanza leghista continua ad occupare il proscenio. Non può che preoccupare ancor di più il ruolo svolto dal ministro del tesoro, oggi dell’economia, Siniscalco. Preoccupazione per me motivata dal fatto che ancora una volta, l’ennesima volta di questi ultimi decenni della storia repubblicana, il ministro del tesoro ha svolto e continua a svolgere il ruolo di protagonista predominante del gioco del rinnovi contrattuali e di garante di accordi mai visti alla luce del sole. In particolare, i ministri del tesoro già dai tempi di Carli e ancora prima sono stati gli scherani dei più indicibili interessi e patteggiamenti della Confindustria e dei sindacati confederali. Sono gli artefici concreti dei fatti e dei misfatti. Anche in questo caso. Siniscalco è la persona meno titolata a potere esprimere giudizi per la patente sua faziosità. Faziosità che lo schiaccia con il peso del suo corpo. Anche il ministro del lavoro è il meno titolato ad esprimere giudizi così salomonici. Egli in pratica esterna le manifestazioni più triviali di un populismo campanilistico e terrone cresciuto alla luce dei grandi inghippi politico-industriali su cui è prosperato il nord alla Lodigiani e dei piccoli e grandi evasori. Gente che è stata sempre priva del senso dello Stato, non meno dei capi-bastone delle plebi emarginate delle zone rurali o delle grandi aree urbane meridionali. Non parliamo neppure della Confindustria. Ho troppo rispetto e troppa stima per chi si cimenta e si ingegna nell’ambito dell’imprenditoria. Ho troppo stima e rispetto per chi mira al legittimo profitto e al contempo produce posti di lavoro. Non posso avere stima per una categoria imprenditoriale che ancora per l’ennesima volta irrompe nell’agone della politica dei rinnovi contrattuali dei dipendenti pubblici in tal guisa. Da siciliano, so benissimo il significato storico e morale del termine “mafioso”, significato che non collima per nulla con quello contemplato dalle leggi vigenti. Ebbene, per quanto oggi dei sindacati moribondi cercano di alzare la voce una volta tanto più per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici che per quello dei dipendenti privati, il loro avversario-alleato si scatena ancora di più. E’ inutile ricordare che tutta un’intera generazione di imprenditori falliti ha prosperato sulle spalle del denaro pubblico più degli stessi (quei ben precisi!) dipendenti pubblici “improduttivi” e parassitari. E’ inutile ricordare che tutta una classe imprenditoriale è responsabile dei misfatti non meno dei sindacalisti e dei politici, ai quali si è legata in un patto sciacallesco e infame. E’ inutile ricordare alla Confindustria che le balle che spara sono dimostrazione di come le sue menti guida vivano ancora relegate nell’universo consocietario dei trascorsi decenni. E’ inutile ricordare alla Confindustria che le maggiori Nazioni europee tengono ben disgiunte le competenze pubbliche e dei loro governi dalle misere, parassitarie, mafiose comparazioni che si vuole che ancora valgano in Italia, e che le condizioni del reddito dei dipendenti pubblici del nord Europa è molto diverso. E poi, non si capisce perché un colletto bianco di un ministero debba prendere la meta e non di più di un colletto bianco di un’industria, dal momento che ai dipendenti pubblici sono state tolte le “gratifiche” indirette di cui godevano come la illicenziabilità e o il raggiungimento dell’età pensionabile anni prima. Il gioco confindustriale è molto pericoloso oltre che sporco. Ma lo è diventato a questo punto anche quello del presidente del Consiglio, se è vero come pare vero che avrebbe cercato di scatenare i grassi mastini del grasso benessere. Non bisogna certo usare i termini pesanti e corrivi che oggi percorrono le piazze tedesche, laddove in Germania la stagnazione prima e la recessione poi ci precedono di almeno tre anni: “industriali vermi”. Nessun linciaggio morale, nessuna esaltazione della lotta di classe. Ma è bene che stiano davvero attenti i capitalisti italiani ad attaccare il già inesistente ceto medio pubblico e gli impiegati pubblici proletari. Il vento potrebbe voltare di brutto. La loro Confindustria è specializzata nel linciaggio morale dei dipendenti pubblici da decenni, come i più vieti mestatori di piazza. Qui non vi è alcun segno di serietà e di maturità civile, ma sono il disegno scoperto di calcoli che non coincidono con gli interessi di chi è stato sempre, troppo sacrificato. Questo governo ha avuto il coraggio di fare un colpo di mano legittimo e in parte motivato, ed ha decontrattualizzato i militari e gli appartenenti ai corpi di polizia, i quali sono arrivati così al secondo rinnovo biennale secondo queste regole e non più con la contrattazione sindacale. Ho chiesto al governo quanto chiedo da diciotto anni, che è una cosa tanto semplice quanto immensamente doverosa: procedere alla decontrattualizzazione dei professori delle secondarie e ripristinare le corrispondenze della funzione docente con le funzioni comparate dirigenziali e funzionali (magistrati, docenti universitari, militari, dirigenti burocratici). Berlusconi sta perdendo un’occasione unica, storica, per essere ricordato. Non è la manciata di cento euro, ma è il riconoscimento e la ricostruzione giuridica di una professione a cui tocca tutto questo, e che richiede risorse immense. Se Berlusconi ha interesse a naufragare e irrefrenabile istinto al suicidio, avrà sempre più tanta gente contro. Se ritrova lungimiranza e senno, e se vuole cercare idee valide scelte coraggiose e doverose, se soprattutto vuole affrontare in questo ultimissimo scorcio di legislatura i problemi che la sinistra ha fatto incancrenire e che lui ha finora glissato, non ha che da dirlo. Non gli conviene neppure lasciarli in esclusiva all’UDC e ad AN. Gli potremmo stare accanto altre persone. Per intanto, il nuovo ministro Baccini, al quale ha dato purtroppo nessuna autonomia rispetto alla canea urlante. Non ha che da scegliere e da decidere. E stamattina, con quello che deciderà in consiglio dei ministri in merito al rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici, avrà consumato il tempo che resta alla ricerca della saggezza o meno. Non rimane che aspettare ancora poche ore. Nel caso in cui vince la scelta della sua alleanza definitiva con Confindustria.non rimane che prendere atto e dell’ultimo disincanto e passare alla lotta implacabile contro un governo fantoccio.