Roma. Secondi a nessuno. Le allegre kermesse del cupolone e la carta assorbente

04 Dicembre 2014

Domenico Cambareri

Il cibo avvelenato della partitocrazia italiana.

Che ne è stato e che ne rimane del “popolo sovrano?” Esso è solo carta assorbente?

Le aberrazioni politiche del regime partitocratico e le autoreferenzialità del mondo politico-accademico. – La giustificazione del rubare per il partito è stata la fossa in cui è stata seppellita seduta stante la sovranità dello Stato e delle sue prerogative. – In cosa consiste questa tipizzazione comportamentale? Essa consiste nell’artificiale distinzione fra il “prendere” soldi pubblici e finanziamenti privati illeciti per il partito e il “rubare” soldi pubblici e finanziamenti illeciti per fini personali e di cosche più o meno ristrette. – In tale modo, assolutamente esplicito, è stato affermato il principio irrazionale, incostituzionale ed eversivo secondo cui il partito viene prima dello Stato. – La peculiarità dei tratti distintivi di questo sistema partitocratico, con oggettiva analisi, costituisce la definizione di una vera e propria costante politologica e storica, di una specifica e chiaramente delineata categoria di regime politico. – A ciò non si sono sottratti, e forse neppure ci hanno provato, gli esponenti di quel che fu Alleanza Nazionale e ancor prima il MSI – DN., non appena assaggiate le prelibatezze di questo regime di connivenze. Eppure, sulle loro spalle ricadeva una responsabilità politica, civile, storica ben maggiore.

L’organizzazione dedita a loschi traffici politico-amministrativi scoperta nella capitale dall’indagine giudiziaria svolta con carabinieri e guardia di finanza ha messo a nudo una realtà ch non può destare nessuna meraviglia. Premesso però che sino a sentenza definitiva ciascun accusato non è colpevole e che sul piano morale c’è da augurarsi sempre che il maggior numero possibile di persone coinvolte possa uscire indenne da questa indagine giudiziaria. Quantomeno perché si verrebbe a scoprire che a delinquere sarebbe una percentuale in meno e non in più di italiani.
Non c’è da meravigliarsi affatto perché sappiamo tutti da decenni che l’amministrazione pubblica italiana e la vita politica tout court sono in misura non irrilevante che una mera facciata “istituzionale” della inveterata matassa politico-affaristica di corruttela e concussione, in qualsiasi ordine e grado.
La meraviglia sta semmai nel vedere che proviamo ancora dello stupore davanti a ogni nuova vicenda di questa natura; nel constatare che nonostante tutto la sequela sterminata di fatti pubblici criminosi non abbia ingenerato in noi l’atrofizzazione di ogni capacità reattiva emozionale, nonostante i tanti “calli” ai piedi e l’intorpidimento della sfera razionale.
Il senso dell’ancora presente meraviglia in noi è dovuto al fatto che le migliaia di scandali portate alla luce nel corso degli ultimi cinquant’anni (tralasciando di considerare lo sconosciuto ipogeo in cui sono nascoste le ben più numerose azioni criminose rimaste nascoste, ingiudicate, archiviate), ci hanno trasformato comunque in carta assorbente.
Una carta assorbente in grado di non lasciare quasi traccia nella nostra memoria, se non lievi increspature, talora, perché essa è letteralmente implosa da chissà quanto tempo per l’impossibilità di potere accumulare un così ininterrotto fluire di avvenimenti criminosi. Ciò sarebbe stato un impossibile sforzo sovrumano.
La cupola a mezz’aria di questo ultimo caso d’espressione della criminalità amministrativo-affaristica romana e italiana può solo costituire un qualcosa di originale in questo dato. Che non è quello della trasversalità in quanto fenomeno già acquisito in tante altre circostanze, reiterate anche dalla più recente cronaca nazionale da Milano ad alte città. Questo dato è costituito da alcuni particolari aspetti che desideriamo indicare qui di seguito. Innanzitutto, che a capo dell’organizzazione vi fossero due ex giovani terroristi d’estrema destra.
Giovani allora probabilmente nutriti di grandi ideali e finiti a fare i terroristi rivoluzionari, durante le lunghe e criminali notti della repubblica dilaniata da una guerra civile strisciante dovuta alla lotta implacabile per il potere attuata dal PCI e per le discriminazioni e persecuzioni politiche subite dalla destra sociale italiana. Il successivo salto da essi compiuto, fra criminalità comune ed esperienze carcerarie, può forse confermare come lo scadimento dalle tensioni politiche ideali e da modelli comportamentali forse intesi come estremi e “eroici” ma in realtà innanzitutto subiti ( più che attuati ) come imposti dalla violenza comunista e di regime, sia venuto a costituire un debole confine e una deprecata ma non rifiutata accettazione, dopo le cocenti disillusioni e il crollo esistenziale. In ciò, si sono accomunati al destino di qualche terrorista comunista che li ha preceduti in questa scelta di vita che rappresenta un disvalore assoluto,disvalore purtuttavia totalmente perdente nella spietata lotta per il vivere al meglio dei nostri politicanti e dei loro accoliti.
Questo non giustifica e non salva le scelte comunque fatte da loro, ma la dice lunga sul piano della comprensione degli avvenimenti, anche in chiave psicologica e in chiave sociologica, visto che essi hanno liberamente fatto proprio un paradigma della nostra più tetra e appena scalfita realtà politica, purtroppo.
La condizione esistenziale in cui essi hanno sempre vissuto è stata quella di vedere come la quasi totalità dei comportamenti dei politicanti fosse di natura delinquenziale e quanto fosse accettata in maniera supina se non anche adulatrice da non poca parte della popolazione e garantita da condizioni di quasi oggettiva impermeabilità e intoccabilità. Ossia garantita dall’agente condizione omertosa del non vedere e del non sentire e del non sapere, del volgere altrove lo sguardo e l’attenzione, da parte della quasi totalità dell’apparato pubblico, in particolare quello destinato al controllo, lasciato sempre più isolato quando non persistentemente adescato. Nel fare proprio questi modelli e nel volerli emulare, i due ex terroristi probabilmente hanno voluto dimostrare a se stessi di essere in grado quantomeno di uguagliare e di superare la gran massa della fauna della partitocrazia e di vivere ben bene nell’esercitare questa redditizia professione di grassatori e di insuperabili esperti in relazioni affaristico-commerciali, il cui centro era costituito dall’appropriazione, dallo sfruttamento e dallo sperpero del denaro pubblico.
 
La cupola o coppola romana che dir si voglia, assieme ai recenti antecedenti del Mose di Venezia e dell’Expo di Milano tuttavia non è altro che la pedestre, ennesima conclamata conferma della più che cinquantennale codificazione di regole, procedure e comportamenti imposti dai partiti del CLN agli apparati istituzionali.
La “tipizzazione” comportamentale – fenomenologica e storica- imposta dalla classe politica alla vita quotidiana della cosiddetta “prima Repubblica” è stato il cibo avvelenato con cui è stata nutrita la coscienza pubblica dei cittadini, e dunque delle giovani generazioni comprese entro questi decenni di cronaca e di storia contemporanea, entro ciò che è stato ed è il nostro reale “vissuto civile”.
Questa tipizzazione comportamentale, gravemente e irresponsabilmente giustificata da opinionisti, storici, politologi e … politici fino ai giorni nostri anche nelle trasmissioni del talk televisivi (su cui già in precedenza abbiamo richiamato l’attenzione dei cittadini) dimostra il gradi estremo di miseria morale in cui abbiamo vissuto e viviamo. A nulla serve richiamare qui qualche inventata nemesi storica, a pro di un’ irrazionale e inventata risposta al modello dello “Stato etico” del ventennio fascista.
In cosa consiste questa tipizzazione comportamentale, così tanto giustificata, relativamente alla storia dei primi decenni della vita della Repubblica, quindi fin oltre i primi anni 90? Essa consiste nell’artificiale distinzione fra il “prendere” soldi pubblici e finanziamenti privati illeciti per il partito e il “rubare” soldi pubblici e finanziamenti illeciti per fini personali e di cosche più o meno ristrette.
La sclerotica vita dei partiti e dei sindacati italiani, ricordiamolo, è stata realizzata e garantita attraverso la non applicazione della Costituzione. Delle semplici organizzazioni privare sono state dunque messe al di sopra dello Stato, del parlamento e dei governi, nella correità politica e morale. Da ciò è conseguita la peculiarità dei tratti distintivi di questo regime su cui andiamo da tempo scrivendo non come passionale e soggettiva declamatoria, ma come oggettiva analisi, individuazione e definizione di una vera e propria costante politologica e storica, di una specifica e chiaramente delineata categoria di regime politico.
Si dirà che fattori estremamente potenti riconducibili alle gravi dinamiche internazioni hanno potentemente interagito? Certamente. Non lo abbiamo mai negato, e anzi le abbiamo spesso richiamate. Ma tutto ciò non riduce le colpe dei protagonisti della vita politica nazionale, ma le aggrava ancor di più, rilevandone in generale l’assoluta inadeguatezza civile e politica, e rilevando come fosse rimastopersistentemente eversivo il piano del PCI, pur nell’accettazione togliattiana dello strumento elettivo democratico.
L’immorale e irricevibile speciosità di tale atto giustificatorio pesa come un macigno sulla storia italiana dal secondo dopoguerra ad oggi. In modo inescusabile. Premesso inoltre, del tutto a margine, che chi rubava per il proprio partito intascava anche per sé in quanto, ciò facendo, egli veniva al contempo a proteggere e rafforzare, dare lustro e possibilità di ulteriore carriera al proprio ruolo nell’apparato politico (e parlamentare e amministrativo e giornalistico e industriale) del proprio partito e di quanto esso si rendeva garante attraverso l’esercizio del potere politico. E perciò di lauto e non spettante guadagno.
La giustificazione del rubare per il partito è stata la fossa in cui è stata seppellita seduta stante la sovranità dello Stato e delle sue prerogative.
In tale modo, assolutamente esplicito, è stato affermato il principio irrazionale, incostituzionale ed eversivo secondo cui il partito viene prima dello Stato. Il partito è così al di sopra dello Stato. Principio secondo cui il vero oggettivo referente primo, il valore pubblico oggettivo e fonte che informa ogni legittimante condizione di “esercizio sovrano” dello Stato in ogni sua subordinata sfera pubblica è il partito. Sono i partiti del CLN, dell’ “arco costituzionale”, i loro apparati di vertice e periferici, le loro dinamiche, i loro reciproci ricatti e veti , le concertazioni sempre più coinvolgenti e corrodenti i più diversi livelli amministrativi e sindacali, pur di annichilire la sfera della diretta responsabilità decisionale e farla condividere entro l’ottica del promiscuo guadagno partitocratico.
 
A ciò non si sono sottratti, e forse neppure ci hanno provato, gli esponenti di quel che fu Alleanza Nazionale e ancor prima il MSI – DN., non appena assaggiate le prelibatezze di questo regime di connivenze. Eppure, sulle loro spalle ricadeva una responsabilità politica e civile ben maggiore. tutto Essi rappresentavano per tanti italiani l’esempio vivente dei principi più validi di quel che era stata l’ “alternativa al sistema”, storicamente esemplata da Giorgio Almirante nella sua opera “Processo al Parlamento”; e delle ragioni della buona politica vissute e contenute in decenni di decisa e quasi sempre virtuosa opposizione ai governi. E della missione storica e civile di salvaguardare la memoria sepolta della recente storia italiana e di garantire una futura azione di ripristino delle verità di quelle vicende e di quegli anni e degli italiani che ebbero ingiustamente a patirne fino alla morte.
Ciò dimostra quanto sia ampio e radicale, onnipervadente, “totalitario” il male prodotto e instaurato dalla partitocrazia italiana. Essa ha prodotto un deserto immenso e uno squallore morale altrettanto immenso. Ed è innanzitutto un fenomeno storico assolutamente individuato, un regime compiutamente realizzato, in violazione del dettato costituzionale.
In tutto questo, che ne  è stato  e che ne rimane del popolo sovrano?