Tutti si interrogano sul Patto del Nazareno. Tutti, chi più chi meno, stanno lì a chiedersi se il Nazareno è morto e sepolto. Se il patto è andato in frantumi. Se, al contrario, è finito nel congelatore, in attesa che una manina lo tolga dal freddo e gli restituisca calore. Molti osservatori, soprattutto a sinistra, si affannano a spiegare che a rimetterci, visto come sono andate le cose per il Quirinale, è soltanto Berlusconi. L’atteggiamento altezzoso e spregiudicato di Matteo Renzi nei confronti del Cavaliere ne sarebbe la prova lampante. L’alleato delle riforme messo in un angolo, sfibrato e contestato all’interno del suo partito.
Chi ha beneficiato del Patto del Nazareno?
C’è però un’altra chiave di lettura che rende molto più problematica di quanto appaia la posizione del presidente del Consiglio. La offre Claudio Cerasa. Per capire come stanno effettivamente le cose il direttore de il Foglio suggerisce di domandarsi, ad un anno dalla nascita del governo e del varo del patto tra Renzi e Berlusconi, chi dei due ne abbia maggiormente beneficiato. I patti, come si sa, presentano
spesso delle “composizioni non omogenee”, non sempre sono paritari, le forze che li contraggono a volte poggiano su numeri diversi, come è il caso del Pd e di Forza Italia. Mettere nel conto tale difformità numerica è persino ovvio e banale. Quel che spesso sfugge anche agli osservatori più attenti è che dal patto “chi ci guadagna di più” è Renzi, “più dello stesso Berlusconi“. Quest’ultimo ricava, ovvio, un evidente vantaggio politico. Valutare le riforme avanzate dal premier senza furori ideologici e con senso di responsabilità significa non regalare al Pd un pezzo di elettorato moderato e contrastare “la linea di chi sogna di rincorrere Salvini o magari Grillo, una linea a vocazione suicida”.
Una romantica ammucchiata priva di colore
A parte questo, però, il vantaggio che trae dal patto Matteo Renzi è più consistente. “Per una ragione insieme numerica ma anche culturale”, sostiene Cerasa.Renzi è arrivato a Palazzo Chigi per fare le grandi riforme, soprattutto quelle istituzionali. Il patto con Forza Italia è nato all’interno di questo quadro e si regge su quei voti. L’ex sindaco di Firenze sa perfettamente che, senza la sponda di Berlusconi, che sulle riforme la pensa come lui, difficilmente potrebbe reggere alla pressione che viene dall’interno del suo stesso partito, il Pd. Senza quel patto “non c’è Renzi“. Potrà l’inquilino di Palazzo Chigi arrampicarsi sugli specchi, immaginare tutte le “maggioranze variabili” che vuole, sottrarre senatori a destra e a manca, ma il suo governo sarebbe inevitabilmente destinato a perdere senso. Si trasformerebbe, come scrive “il Foglio”, in una “romantica ammucchiata priva di colore”. Ragion per cui è lecito supporre che il patto, che tutti danno per rotto, si sia solo “allentato”. Salvo scorciatoie elettorali che, al momento, tutti vogliono scongiurare, il patto non potrà che tornare presto. Conviene a Renzi, più che a Berlusconi. Il dubbio è capire se e come dovrebbe essere il “nuovo” patto. Quello che si è visto finora non ci pare abbia prodotto frutti prelibati per gli italiani.