09 Maggio 2017
Domenico Cambareri
Al di fuori dei partiti tradizionali.
L’azzeramento storico del “Fronte Repubblicano” e le scelte dei giovanissimi europei di Francia
Con un successo elettorale di notevoli proporzioni, due su te votanti, il giovane Emmanuel Macron si è confermato come nuovo Presidente della Repubblica Francese.
Cosa rilevare? Innanzitutto che la proporzione si abbassa, quasi si ribalta, se correttamente si considera la somma dei non votanti e delle schede bianche, cosa che gli apologeti del mummificato e tralignante sistema demoparlamentare europeo, nelle sue diverse declinazioni nazionali otto-novecentesche e dell’inizio del nuovo secolo non vogliono mai fare per non considerare le motivazioni individuabili secondo criteri condivisi fra gli esperti di demoscopia elettorale e gli analisti politici “autonomi”. Non si può continuare a non considerare una fetta così rilevante, come in questo caso, di cittadini che ha espresso un giudizio al di fuori del canone della scelta secca di un candidato, di un partito o schieramento. A maggior ragione, visto che, da un lato, fatti i dovuti raffronti, il modello elettorale e la partecipazione del corpo elettorale francese sono diversi da quelli statunitensi. E a maggior ragione ancora, dall’altro lato,visto che una cospicua percentuale votanti di Marine Le Pen e del candidato della variegata sinistra oltre il partito socialista, Jean-Luc Mélanchon, e dei non votanti rappresenta il volto della Francia che soffre, ovvero dei disoccupati, dei sottoccupati, degli emarginati, al di là della personale posizione ideologica. E di una parte dei giovani.
Da tutto ciò, anche a voler considerare un’elevata percentuale di non votanti come persone politicamente collocabili a sinistra, viene fuori il reale quadro socioeconomico francese: assolutamente deteriorato, allo stremo. Le politiche di destra e di sinistra intese in senso “moderato” (con Sarkozy e Hollande) sono state perseveranti nel fallire il raggiungimento degli obiettivi minimi e nel perseverare nella folle politica bellicista, d’interventismo militare banditesco e sena freno.
La Francia ha goduto per anni del non rispetto delle regole del’UE solo inconsiderazione del fatto che, in confronto all’Italia, ha un debito pubblico complessivo notevolmente minore. Ma non potrà continuare così, deve iniziare ad adempiere ai suoi obblighi. Il presidente della Commissione europea, Juncker, preicipitatosi a Berlino, accanto alla Merkel, per il commiato di Hollande e prima dell’insediamento di Macron, lo ha detto a chiare lettere. Poche parole estremamente asciutte. La Francia dovrà qualificare e soprattutto ridurre la sua enorme spesa pubblica. Noi ci permettiamo di dire: in favore dei giovani, dei disoccupati e degli extracomunitari (non dimentichiamo che Parigi eredita gli effetti a cascata del suo ruolo di grande potenza coloniale, come Londra; e di ciò dovrà farsi carico checché ne dica l’inconcludente e, su questo preciso punto se non superficiale e perfino pericolosa Marine Le Pen).
Il compito che grava su Macron è dunque enorme.
Bisogna aspettare la designazione del primo ministro e poi conclusivamente il risultato delle elezioni politiche per avere, entro fine luglio, una visione necessariamente delineata, chiara, credibile dell’articolazione delle forze parlamentari in campo e dell’incisività del programma di governo.
In ogni caso, l’Europa aspetta che il nuovo presidente della Repubblica e il nuovo presidente del consiglio assicurino un definitivo, storico cambio di direzione della politica estera, economica e militare francese innanzitutto in tutto lo scacchiere mediterraneo allargato (Vicino Oriente, Nord Africa, “Francafrique” o regione transahariana centro-occidentale).
In particolare, nel porre termine alle scorribande armate, nelle destabilizzazioni e nelle interferenze operate a fianco degli USA e del Regno Unito, nella più scandalosa e ripetuta violazione del diritto internazionale e della sovranità degli Stati e in assenza di dichiarazione di guerra. E nel porre termine alle perduranti “dissonanze” e ai crudi contrasti attuati e “imposti” contro gli interessi prioritari di Nazioni a cui la Francia è strettamente legata, nell’UE e al di fuori dall’UE, ad iniziare dall’Italia per finire con la Germania. Sono cose che non possiamo assolutamente stancarci di sottolineare.
Questa preoccupata sottolineatura avviene nella ricorrenza della Festa d’Europa, ossia nel giorno in cui, nel 1950, il ministro degli esteri francese, Schumann, dichiarava l’indifferibile esigenza di avviare un processo di unificazione europea.
Una vera profezia vanificata in tanti modi.
Come sappiamo, purtroppo, la Francia, pure essendo stata uno dei sei fondatori della CEE, è sta al contempo colei che ha affossato l’Euratom e la CED, per le sfrenate ambizioni di potenza nucleare e militare dei suoi governi e parlamento, continuando ad accrescere le enormi responsabilità che gravano sulle sulle spalle da fine ‘800 ai draconiani trattati di “pace” della prima guerra mondiale imposti da Foch ai vinti (ovvero: fine del primo tempo del conflitto). E da lì all’estremismo irrazionale del parlamento francese contro ogni accordo fra Roma e Parigi nel periodo fra le due guerre e in particolare alla non ratifica dell’accordo raggiunto dal suo capo di governo con Mussolini sul confine libico-ciadiano. Alle successive avventure golliste, alle spietate repressioni colonialiste e al contempo all’abbandono e al tradimento dei suoi soldati impegnati in conflitti così fuori tempo e crudeli, alle avventure neo colonialiste e neo neocolonialste degli ulteriori governi francesi sino ai nostri giorni. Una raccolta di orridi dello sciovinismo della classe politica della Francia repubblicana. Classe politica pseudo illuminista e pseudo democratica.
E ancora: Macron dovrà affermare e riaffermare senza tregua il definitivo cambiamento di rotta, cambiamento storico della politica francese, in tema di politica europea,”eufrasica”, della difesa.
Se la Francia aderirà alla prima fase di integrazione di reparti delle sue forze armate (ad es. due divisioni entro due copri d’armata europei, e due divisioni navali, una nel Mediterraneo e una nell’Oceano Indiano), bene. Altrimenti, dovrà considerarsi al di fuori dell’UE della politica estera e della difesa, il cui nocciolo fondante verrebbe ad essere costituito da Germania, Italia, Spagna, Benelux, Svezia e poi Polonia, Portogallo, Grecia; e fare quindi parte dell’EU a seconda velocità, ovvero Partner della difesa europea non integrato ma coordinato.
La Francia dovrà dare altresì atto del superamento definitivo dell’autarchia dell’industria militare, cosa già parzialmente avvenuta ma non nell’ambito di settori d’investimento prioritari che richiedono ingenti somme con il rischio di dispersioni immotivate, quale è il caso del caccia da difesa aerea, e promuover la nascita dell’integrazione effettiva delle società della difesa, dell’energia, dei trasporti e delle grandi infrastrutture con i maggiori Paesi europei, evitando la creazione di monopoli di “duopoli” (Germania e Francia o Francia e Italia).
Questo punto è di cruciale importanza, giacché, declinato come si deve e non come si vuole, anche in presenza di una non forte azione politica da parte dei governi italiani di turno a causa della conflittualità interna: esso deve mirare all’equilibrata integrazione e non ad alleanze strumentali, tattiche, che intendano affermare una supremazia e dei diktat all’interno dell’UE.
Queste parole sono rivolte in maniera altrettanto chiara agli imprenditori e alla classe politica tedesca.
La Germania ha vinto troppe battaglie e ha perso parecchie guerre. Cosa vorrà fare adesso, non dipenderà da Angela Merkel, che riteniamo che abbia idee molto chiare in testa, quanto da chi all’interno del suo partito vuole continuare a combatterla con ogni mezzo.
La vigilanza tedesca deve essere sempre adeguata, giacché la May a Londra e Trump nella Casa dei misfatti bianchi non se ne staranno con le mani in mano. Questo vale non di meno per Macron. E per la … classe politica italiana, se così a vogliamo chiamare. Per intanto, come prima cosa, classe politica classe finanziaria e industriale germanica non possono più postergare di dare una precisa liberatoria in merito al diritto agli investimenti in Italia e negli altri Paesi dell’Unione in sofferenza e immettere essi in circolazione una parte del surplus dei profitti. A loro proprio non conviene avere una grande industria tedesca, un esclusivo mercato tedesco e gli acquirenti europei alla loro mercé. Ciò ingenererebbe una sconfitta germanica senza riserva. Un autogol del tutto distruttivo, neppure evitabile con un duopolio franco-germanico. Senza Italia e senza Spagna e in presenza di un radicale scetticismo polacco dove andrebbero?
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Dato che, in maniera del tutto inaspettata e speriamo non per mero spettacolo, Macron si è presentato nella corte del Louvre per il suo comizio di ringraziamento preceduto e accompagnato dall’ INNO ALLA GIOIA di Friedrich Schiller e Ludwig van Beethoven, inno ufficiale europeo; e dato che Macron ha catalizzato simpateticamente e perciò con estrema facilità una non indifferente raccolta di consensi elettorali fra i giovani, nella sua passeggiata di candidato all’Eliseo, siamo portati a considerare che abbia voluto esprimere una scelta di fondo, in grado quindi di potere guidare la Francia verso questi nuovi orizzonti europei, dianzi indicati. La scelta di essere il Presidente delle nuove generazioni francesi e dei ceti meno abbienti.
Se così stanno le cose, Macron potrà apportare cambiamenti formidabili, di portata storica alla politica estera, economica e militare francese, alla strategia della grandeur fuori tempo, incardinandole nella nuova Europa da rifondare interamente, strappandola al controllo e ai profitti dei grandi banchieri.
La nuova grande Europa: Eufrasia.
Sarà all’altezza, soprattutto, sin dall’inizio, di sapersi affrancare nelle analisi e nelle decisioni da assumere dai condizionamenti della sua professione e del suo ambiente e sapere semmai volgere a buon pro dei francesi e dell’Europa queste esperienze? Saprà andare oltre il mero slogan della positività della mondializzazione per mettere dei paletti fermi alla difesa finanziaria e economica attiva dell’Unione Europea e dei suoi popoli?
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E Marine, Marine, Marine Le Pen? Trionfante per il successo elettorale conseguito, ha capito che al contempo si è spennata, si è letteralmente dissanguata, rinunciando a un successo elettorale di ancora maggiori proporzioni?
Il “fronte repubblicano” ha mostrato le sue brecce, con tutta la sua triviale demagogia settantennale, e Macron, con il linguaggio misurato e rispettoso, lo ha capito e lo ha dimostrato.
Le giovani generazioni francesi pare che abbiano voltato definitivamente le spalle all’arroganza indicibile delle loro classi politiche e alla perfidia del loro mimetico colonialismo. Se quanto ci hanno offerto con queste elezioni ha un intrinseco e futuro senso e valore, allora non potranno che nascere nuove forme di aggregazioni politiche. Sarebbe come uscire dal “medioevo” della prima fase storica delle democrazie e dei partiti che ne sono stati sempre carente, cancerosa espressione. Specie in Italia, ove hanno instaurato un vero regime, defenestrando ogni adempimento costituzionale e utilizzato l’espressione democrazia solo come instrumentum regni. In Italia, proprio per questo, siamo più propriamente non alla fine del “medioevo” delle democrazie ma siamo rimasti fermi all’età delle invasioni barbariche.
Marine tutto questo ha voluto non capirlo per nulla, con un caparbietà ostinata, inconcludente, irrefranabile e autolesionistica. Il linguaggio patriottardo e non patriottico ha davvero toccato il fondo. Marine ha dimostrato di avere combattuto contro ombre e di non avere visto il nuovo che in Francia esiste e avanza. Il nuovo: la gioventù europea francese.
Il suo peccato inemendabile è stato quello di avere emulato oltre misura patriottardi popoulisti e sovranisti d’accatto di ogni contrada europea e di ogni risma, che in precedenza hanno pure ben vissuto e ben lucrato nel mercato della partitocrazia e sulle spoglie dei loro popoli e della democrazia derubati; e di avere abbracciato un falso sovranista lombardotto il quale in mente ha nient’altro che la fissa distruttiva della secessione. Un populista sovranista il cui partito ha messo definitivamente in ginocchio il popolo italiano in favore di una sterminata nomenklatura, in alleanza con PDS Margherita Asinello PD Forza Italia e ultime neoformazioni; sterminata nomenklatura che nei fatti anche oggi non combatte per nulla.
Una vera caduta, quella di Marine, non di stile, ma di credibilità e di moralità civile, Marine l’ha avuta poi quando ha chiamato la bandiera dei popoli europei una straccio. O forse si è ridotta a straccio proprio lei?
Bene che pensi a lasciare il testimone a un altro, e a uscire di scena così come ha fatto entrando in scena durante il successo elettorale – disfatta presidenziale: più come una diva dello spettacolo che come una leader politica.
Non ha avuto l’intelligenza e la sensibilità di comprendere la profondità della crisi del modello politico oltre alla crisi sociale e di gridare nelle piazze: << Noi siamo la nuova Francia! Seppelliamo i giochi dei vecchi partiti, facciamo luce sulle tristi pieghe della storia dei nostri genitori e nonni e del loro colonialismo, contribuiremo a rendere magnifica l’Europa e a liberarla dai ceppi degli speculatori! >>.
Non di meno, le parole dell’ex premier Manuel Valls contro la Le Pen e il Front National, sono parole che vanno definitivamente seppellite. Valls rappresenta il vecchio e il fallimento politico, ad iniziare dall’assenza di un programma di aiuti per disoccupati e ceti deboli che avrebbe dovuto, sotto una presidenza socialista, innanzitutto tutelare. Se accetterà di affiancare Emmanuel Macron, per prima cosa dovrà chiedersi a cosa mai potrà essere ancora utile ai francesi. Per seconda cosa, dovrà porsi in autocustodia e vagliare pensieri e parole prima di profferir verbo.
* Il lettore è libero di sostituire i tanti deve e dovrà a dovrebbe, potrebbe. Per noi, rimane inteso il deve come una condizione d’imperiosità oggettiva, incontrovertibile e non refutabile, al punto in cui siamo giunti. Non perciò come un’acritica mposizione piovuta dall’alto.