25 Novembre 2017
Fonte: formiche.net
Stefano Barocci
Nota di Domenico Cambareri
Nessun rammarico per non avere avuto l’agenzia europea del farmaco. L’Italia è il Paese in cui da almeno vent’anni l’industria farmaceutica è stata smantellata.
Si tratta semmai di prendere coscienza
come in Italia “fare squadra” non significhi nulla a confronto con la solidità dell’azione di altri Paesi.
Si è data l’ennesima conferma di un Paese poco credibile,
conferma dovuta alla scarsa credibilità dei governi italiani, governi di un Paese immerso nel caos politico, partitico e burocratico, nell’inefficienza del ginepraio di montagne di leggi e norme prodotte dalla partitocrazia a iosa a livello nazionale, regionale, locale solo per paralizzare l’efficienza economica e sociale nazionale,
a scapito degli interessi nazionali, pronta a disinformare su tante cose, come sui fatti ispanici, a fare quadrato sull’informazione “eroica” sulla morte di Riina, a starnazzare e folleggiare su una super fatua e irresponsabile incidenza del calcio nella vita nazionale …
per preservare l’ipoteca delle camarille del regime e del “costo della democrazia” partitocratica. Un Paese e un popolo letteralmente divisi fra una nomenklatura e una “dirigenza burocratica” sempre più benestanti e una popolazione sempre più aggredita e deprivata dalla spoliazione del regime predone.
Si tratta altresì di prendere atto che,
pure a causa dell’intrinseca e cronica debolezza del ruolo italiano (che non è in grado di “bilanciare” gli squilibri interni all’UE e a fortiori di “aggregare” attorno a sé innanzitutto le fasce delle Nazioni mediterranee e orientali) dovuto alla scarsa credibilità dei governi italiani per quanto abbiamo appena sottolineato,
l’asimmetria geografico-istituzionale delle sedi dell’UE
si è accentuata a dismisura. Dalla caduta dell’Unione Sovietica, la CEE prima e l’UE poi non si sono poste il problema di una radicalmente diversa distribuzione geografica delle maggiori sedi operative delle sue agenzie.
Il modus operandi va completamente modificato.
L’integrazione europea non potrà essere realizzata perpetuando
un’egemonia di comodo e di convenienza della grande burocrazia e dei clerks dell’UE attorno all’arcipelago urbano belga-olandese e del suo retroterra franco-germanico.
Questa è la via dei fallimenti e la sponsorizzazione e copertura politica germanica e francese costituiscono un’irresponsabile, negativa ipoteca del futuro sviluppo dell’Unione,
laddove proprio queste due maggiori Nazioni dovrebbero attivarsi nel promuovere lo sviluppo dell’integrazione europea compensando le inadeguatezze italiane e di altri partner e sollecitando al loro interno una corale partecipazione ideale, politica e economica delle élite non affetta da sindromi di sciovinismo e di egemonismo inconcludenti e corrosivi, che ci espongono, tutti quanti, a pesanti condizionamenti e perfino a ricatti di altre potenze.
Una corale partecipazione atta a dare rinnovata forza propulsiva in questo passaggio particolarmente critico della vita dell’UE.
Questa strada non solo non porta ad alcuno sbocco. Essa prefigura rischiose fughe all’indietro, che vanno sin da subito stigmatizzate, combattute e neutralizzate in modo fermo, drastico dalle menti più lucide, lungimiranti e politicamente e culturalmente equilibrate e determinate, sia in Germania che in Francia.
– Domenico Cambareri
L’intervento di Stefano Barocci, già funzionario italiano allo European Patent Office, Den Haag, Paesi Bassi
Ospitare un’organizzazione internazionale è per una città europea non solo una questione di prestigio, ma spesso anche un forte incentivo alla valorizzazione economica del suo territorio. Seguire la dislocazione di una organizzazione internazionale e la assegnazione dei posti apicali e di funzionario direttivo è un task operativo dei diplomatici, ovviamente spalleggiati e sostenuti dal loro governo e dal “sistema-Paese”. Esistono tante di queste strutture ed è facile trovarne un elenco esaustivo; naturalmente il loro rango e la loro importanza, specialmente se sono elencate in ordine alfabetico, balza subito all’occhio… C’è quella per la protezione delle specie tropicali e c’è l’Ema, c’è il sistema delle Organizzazioni delle nazioni unite e quello della Unione Europea, e via dicendo.
Una realtà come l’Ema rende bene l’idea di cosa significhi averla o non averla: 900 civil servants o funzionari internazionali, con uno status diplomatico o semi-diplomatico; 900 famiglie, diciamo oltre cento con domestici e nannies al seguito. Circa 100 funzionari a livello di direttore generale e direttore; 900 case da prendere in locazione o comprare, dall’alloggio di tipo medio alla residenza adatta a ricevimenti. Auto di media e grande cilindrata a soggetti che non pagano né Iva né accise, servizi di svago e turismo, viaggi di servizio, ristoranti e locali gourmet, catering, cinema e turismo regionale, abiti e regali, la lista è lunga. I civil servants spendono.
Sul coté più istituzionale, continui meeting, congressi e arrivi di delegazioni in un settore così delicato e strategico come quello del farmaco. Ricordo che in deroga all’Accordo Trips la Wto ha concesso che per i farmaci di importanza vitale siano ristretti i diritti di proprietà intellettuale.
Sempre ragionando su Ema come idealtipo di organizzazione internazionale ci sono i rapporti con i governi dei Paesi membri e dei ministeri competenti, ed in particolare con quelli del Paese ospite. Credo che non vi siano ragionevoli dubbi che avere una organizzazione internazionale sia una opzione appetibile.
Come vengono scelte le sedi in caso di nuova organizzazione internazionale o di relocation è una questione molto complessa, senza un protocollo unitario, è un balletto di trattative sottobanco e di offerte pubbliche, un vero e proprio marché de vaches. Ci sono consultazioni tra Stati, offerte di posizioni più o meno apicali in cambio di appoggio alla candidatura, ci sono le offerte base, il pacchetto, che ogni Paese formula cercando di sottolineare gli aspetti attrattivi e favorevoli e sfumando le cose negative. Tutto questo può durare mesi ed aumentare lo stillicidio di voci e contro-voci, esasperando le reazioni della stampa, del pubblico e dei diretti interessati.
Nei miei ricordi diciamo recenti ci sono l’Istituto Europeo per i Marchi ad Alicante, Spagna, la OPWC sulle armi chimiche a L’Aja e la scelta di EXPO 2015 (non è una organizzazione internazionale ma più o meno le trattative si assomigliano, come se si trattasse di una organizzazione internazionale temporanea). Poi c’è anche la Agenzia europea per il cibo con sede a Parma, che non è comparabile per “giro di affari” ad Ema, ma non è certo trascurabile ed in cui il presidente Berlusconi mostrò tutta la sua capacità diplomatica con una infelice frase riguardante il premier donna di un Paese baltico, che non è stata dimenticata.
Qual è la sede ideale e giusta di una organizzazione internazionale (OI)? Per i grandi manager ovviamente valgono le considerazioni di Stato fatte sopra e i grandi temi economici, poi dovrebbe – dico dovrebbe, perché proprio il caso di Ema è emblematico – valere un certo equilibrio e una buona equi-distribuzione. Esistono organizzazioni internazionali monosede ed altre con più sedi. Certamente, anche se non primario, conta anche il parere del personale: dove cioè i funzionari di livello medio e basso, la maggioranza, vorrebbero stare. Si cerca di tenere conto di questo aspetto, perché queste strutture hanno una particolare attenzione corporate per il personale e ragionano così: il personale rende di più dove si trova meglio, ed in un certo senso è vero. Negli anni ’80, ad esempio, i funzionari di Esa (Agenzia Spaziale Europea) preferivano stare ad Amsterdam Zandaam e non a Darmstadt in Germania, non fosse che per la presenza del mare; parimenti i funzionari di Epo (European Patent Office) desideravano invece andare a Monaco di Baviera piuttosto che rimanere nell’umididità di Den Haag, capitale olandese senza Università, anche perché Monaco era considerata – e non credo vi siano dubbi – molto più joli di Den Haag.
Direi che abbiamo ora tutti gli elementi per calare il caso reale della relocation di Ema in una delle sedi rimaste alla scelta dei 27 Paesi membri, per quello che se ne sa a caldo Copenaghen, Amsterdam, Bratislava e appunto Milano.
Il meccanismo di scelta era stato codificato e deciso di comune accordo. Che scelte così importanti in casi di stallo di tale meccanismo (ma i matematici e gli attuari possono aiutare a verificare che non si arrivi a stalli) siano affidate al sorteggio, che è regolato dalla legge di Poisson della teoria della probabilità, sembra però quanto meno inopportuno, anche perché gli interessi coinvolti da tali scelte andrebbero governati e non lasciati al democratico e impersonale caso. Non si tratta di essere partigiani a tutti i costi di inciuci e magouilles, ma si parla di un meccanismo di scelta degli organi della Ue che potrebbe essere più condiviso, ponderato ed equilibrato.
Diciamo subito dell’Olanda: il Paese è anglofono, ben collegato (KLM e Schiphol ok), ben dislocato nelle direttrici nord-sud ed est-ovest. Una sua città, Utrecht prende il nome addirittura dalla parola latina Trajectum, tanto il Paese era ed è di transito commerciale e culturale. La vicina Germania, nonostante le eterne idiosincrasie tedesco-neerlandesi, gradisce e Amsterdam è una bella città in cima all’elenco delle città turistiche europee. Il Paese è molto piccolo e sei in meno di una ora ad Anversa o a Arnhem, confine tedesco. I servizi di trasporto sono molto buoni e quelli sociali di ottimo livello; le organizzazioni internazionali in Olanda usano poi un broker sanitario, la van Breda, che rimborsa anche i calzini bucati. Eppure ricordo che al fine settimana c’era chi scappava in Germania o in Belgio, per mangiare meglio, o per trascorre la giornata a Colonia. Lasciamo perdere il cibo olandese, perché sarebbe sin troppo facile aggredire gli appassionati dello Stampot, ed il meteo, perché come diceva Collodi, pochi lo sanno, si tratta del “minder grillig volk onder het grilligste weer”, cioè “del popolo meno fantasioso sotto il cielo più strambo”.
Un aspetto oggettivo è che in Olanda ci sono già diverse organizzazioni internazionali, alcune delle quali molto blasonate: la Corte Internazionale di Giustizia (Un), la Opcw che è come la Iaea per la non proliferazione delle armi chimiche, la Nato Shape TC o i suoi discendenti, che è un organo tecnico della Nato, Esa-Estec (che è il centro più importante della Agenzia Spaziale Europea) ed Epo (European Patent Office), figlia della Convenzione europea sulla proprietà industriale, che non dipende dalla Ue ma i cui stakeholders sono gli Uffici nazionali brevetti e marchi, inoltre due piccole ma significative agenzie europee, Europol e Eurojust.
Gli olandesi hanno mostrato per tempo ad una delegazione di Ema un building in costruzione nel quartiere commerciale di Zuidas, lo stanno finanziando con circa 280 milioni di Euro, lo affitteranno ad EMA a prezzi di mercato; inoltre hanno offerto un “raddolcitore” di 16 milioni di euro a fondo perduto e uno straordinario pacchetto di relocation per i dipendenti di Ema (ed in questo gli olandesi sono fantastici, ancora ricordo quando il 1 settembre 1987 arrivai all’Aja per rendere servizio in Epo).
A proposito del discorso sullo staff, date le condizioni di impiego a Londra e la provenienza sembrerebbe che circa il 70% dello staff, quindi non solo clerks e addetti alle fotocopie (che sono soprattutto locali), avrebbero lasciato data anche la maggiore mobilità del lavoro in Nord Europa se a sede fosse stata considerata disagiata. Teniamo presente che belgi, olandesi, tedeschi e francesi (il grosso dei funzionari) possono raggiungere Londra in auto e mutatis mutandis anche Amsterdam!
Questa estate una funzionaria lituana di Ema, Audra Levickote, mi confidò a Bergamo che c’era una fronda tedesca contro la candidatura di Milano e che sia i Paesi baltici sia quelli di Višegrad la avrebbero assecondata. Non era poco; si è tento conto di questo nelle manovre diplomatiche e governative?
Una comunicazione di ieri 20 novembre del Dr. Roberto Porta, senior scientist presso Nato Shape TC a l’Aja e vecchio “compagno di armi”, recita quanto trascrivo: “Cronica incapacità di decidere della Ue e media olandesi che, senza alcun fair-play, non hanno esitato ad attaccare l’Italia con ogni mezzo”. Porta è in Olanda da 20 anni ed è nativo di Novi Ligure, per me il suo giudizio è molto affidabile.
Tra l’altro l’attuale executive director di Ema, Guido Rasi, è italiano e viene dalla Agenzia nazionale del farmaco, essendo professore di microbiologia. È lì per la naturale rotazione delle cariche che, va subito detto, non è sempre rispettata nelle organizzazioni internazionali, e certamente non poteva andare oltre frasi molto diplomatiche.
Milano è una città straordinaria, europea, al centro di una regione ricca di luoghi di cultura e di svago: cito solo i laghi lombardi e le vicine zone alpine per gli sport invernali, assai amati dai civil servants. L’Italia oltre alla FAO a Roma, alla Agenzia europea per la sicurezza del cibo a Parma e ad Esa-Esrin (poco più che una biblioteca digitale) non è sede di altre organizzazioni internazionali. Sì ci sono basi Nato, c’è il Centro triestino di biotecnologie e quello per la luce di sincrotrone ma, benché scientificamente importanti, non hanno il peso di Fao o di Ema.
Il contesto della sicurezza generale in Italia è molto enfatizzato all’estero e la nostra ansia per il problema migrazioni, un problema concreto, è stata fortemente diffusa dai media europei, sicuramente ha giocato un ruolo e non è solo la percezione del personale e delle loro famiglie, ma anche quella dei top-manager. In Olanda ancora oggi, come negli anni ’90, il reato più comune è quella della effrazione in autovetture! Il codice civile olandese è spesso meno della metà di quello italiano, ma l’Olanda non collassa ed è uno dei Paesi che meglio ha sopportato la crisi degli anni 2008-2012.
Il contesto politico italiano è conosciuto come caotico, la Germania ha enfatizzato le difficoltà relative alla legge elettorale e negli ultimi giorni ampia risonanza ha avuto il richiamo dell’esponente finlandese sulla situazione del debito pubblico che non rassicura molto sulla situazione e sulla stabilità economica. Una cosa che gli europei ricordano dai tempi della contrattazione sul Cern e sulla Stazione Spaziale Europea è spesso la mancanza di partner autorevoli nelle contrattazioni, di soggetti capaci cioè di impegno di spesa e di scelta, che caratterizza spesso oltre al settore pubblico, anche quello privato.
Nella dinamica delle votazioni si sono notati il mancato sostegno di Madrid, in questi giorni incattivita dalla sindrome catalana, e che pure avevamo sostenuto per la sede dello Eto (Trademarks Organization) ad Alicante e la astensione di Bratislava, che si è risentita di non essere entrata nella rosa finale. Come noto la candidatura di Bratislava poggiava molto sul sostegno dei Paesi dell’Europa centro-orientale e sulla estrema vicinanza di Vienna, che è molto attraente per i funzionari rispetto alla capitale slovacca, la pur antica Pressburg- Posonium. Nessuno aveva fatto una simulazione della situazione e nessuno ha pensato di fare delle offerte agli slovacchi? Di quelle usuali, lecite a livello di funzionari di livello medio e alto da assumere nell’organizzazione in caso di voto favorevole. Che so, molto gradita è capo del personale!
Non può essere nascosto il comportamento in questi giorni della maggior parte della stampa e dei media italiani che hanno dato la precedenza alle notizie riguardanti la morte di Riina e naturalmente, con enfasi, alle sorti del presidente della Federcalcio Tavecchio. Paradosso nel paradosso, anche l’Olanda è fuori dai mondiali di Mosca ma nessuno ne ha parlato. Cosa curiosa, dato che gli olandesi amano molto il calcio.
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