Trattati e euro. Berlino e partner hanno l’obbligo di sanare gli errori e rinegoziare

 

23 Maggio 2019

Eulà

Nota di Domenico Cambareri

 

I trattati internazionali, qui in modo specifico i trattati dell’Unione Europea, non sono qualcosa da considerare come un usa e getta e neppure come proposizioni metafisiche di valore atemporale e intangibile.

Essi, in presenza di errori rilevati anche a distanza di anni, in particolare errori che hanno prodotto e producono difformità, distorsioni, iniquità per l’oggettiva non parità di condizioni fra i contraenti – i quali liberamente si sono imposti un reciproco accordo di profonda e solidale amicizia e addirittura hanno contratto un vincolo di integrazione -, vanno rivisitati, rivisti, riscritti in quelle parti inadeguate e/o erronee. Con la logica e coerente conseguenza di valutare e calcolare le negatività delle divaricazioni prodotte e sanare il danno ai partner che lo hanno subito. Tutto ciò concerne direttamente pure gi errori commessi dalla BCE che dalla Commissione dell’UE. – Domenico Cambareri, maggio 2019. –

 

Mentre i popoli dell’Unione Europea vanno a votare per il rinnovo del Parlamento europeo, i contesti interni infuocati e i contesti extraeuropei esplosivi rendono questa tornata elettorale di un’importanza affatto cruciale.

Le recenti e meno recenti interviste all’economista Prof. Jpseph  Stiglitz in merito a aspetti di primaria criticità comunitaria come la nascita e le sorti dell’euro, evidenziano l’irreversibile necessità di arrivare a dei chiarimenti e a delle decisioni atti a fare uscire dalla stasi distruttiva in cui ci si è venuti a trovare per i perniciosi egoismi dei governi nazionali.

A tal proposito, ripubblichiamo la nostra nitida analisi pubblicata il 7 marzo 2018 come nota all’articolo del Prof. Luca Baccaro, che dirige il settore ricerca sulle società dell’Istituto Max Planck, apparsa su FAZ e ripresa da Scenari economici. L’articolo di Luca Baccato, favorevole all’uscita dell’Italia dall’euro, viene ripubblicato pure in data odierna, separatamente.

Precisa, opposta e netta è invece la nostra posizione: non uscire dall’euro, a meno che, nero su banco, Germania, Olanda, Francia e satelliti non dichiareranno che gli errori contenuti e individuati nei trattati e/o nelle loro attuazioni non intendono sanarli.

L’euro a più velocità di cui parla il Prof. Stiglitz, dal nostro punto di vista, s’inquadra perfettamente nel più ampio contesto della tesi dell’Europa a più velocità, che sosteniamo da tempo.

 

Estratto.

L’ambito delle libertà che la sfera finanziaria e economica rivendica il diritto di avere e le proporzioni effettive di cui gode non sono e non possono essere per loro intrinseca natura autonome, non sono e non possono essere neppure lontanamente autoreferenziali. Sempre per loro intrinseca natura.

Esse discendono dalla volontà politica che redige e statuisce e fissa i protocolli, le leggi, i trattati e, al loro interno, gli ampi o ristretti limiti di esercizio della libertà eteronoma e giammai della sovranità  della sfera finanziaria. E, specificatamente, di quella monetaria. Esse non possono e non potranno mai sottrarsi ab imis e per intero alla sovranità della decisionalità politica. Neppure in un sistema politico accentuatamente liberista.

Domande doverose che richiedono specifiche, anticipatrici risposte. E ancora: tutto ciò intralcerebbe o esemplificherebbe la realizzazione dell’UE a più velocità? Quanto inciderebbe nei mercati UE e nel commercio extra UE? A beneficio di chi? Il fronte anti UE messo in moto dalla Brexit e le derive internazionali delle politiche commerciali apertamente ostili degli USA troverebbero ulteriori sponde e accresciuto vigore? La crescita dell’export tedesco e francese nell’area UE sarebbe garantita? Prospettive di intese e di amicizie diverse si delineerebbero per l’Italia e i Paesi mediterranei prima e dopo la frattura europea?

Il sistema – euro è nato, almeno per quanto attiene all’interno dei suoi meccanismi, con un rapporto marco – lira del tutto sbilanciato in favore della moneta tedesca. Anche a volere tenere in più che debito conto la debolezza della lira e la robustezza del marco come moneta di rifugio e di “accaparramento” ne mercati mondiali già allora in atto. Dalla Turchia alla Cina, il marco del corso parallelo all’euro era e resta espressione di affidabilità piena.

In fin dei conti, l’autonomia della lira “sovrana” era sempre servita come paraurti alla pessima conduzione politica dei governi italiani al fine di “aggiustare” il controvalore della lira con i soliti strumenti forniti dalla finanza  e permettere i rilanci dell’export e la crescita produttiva dal sempre breve respiro. Tutto ciò era possibile con l’accrescere la disparità del valore fra la moneta nazionale e le maggiori divise straniere. Con l’uscita dall’euro, si tornerebbe a questa solita solfa, senza certezza alcuna di contenimento  delle inefficienze e delle passività e del debito e di cambiamento virtuoso del sistema politico?

La soluzione della sovranità monetaria nazionale non risolverebbe dunque i problemi, ma li accentuerebbe: l’illusione dei benefici grazie agli aggiustamenti svalutativi è un compenso che a lungo termine si rivela aleatorio e controproducente. Essa non consente una prospettiva di sicura sostenibilità e di effettiva efficienza di un sistema politico e dell’economia di Paese ma soddisfa la messa in opera di misure succedanee, transitorie che giovano solo a prolungare le cause oggettive dell’inefficienza del governo del Paese e delle passività che produce, accumula, moltiplica, provocando un inarrestabile indebitamento e depauperamento pubblico. Così come in effetti è finora accaduto in Italia.

Noi riteniamo che, dopo questi quattro lustri, vi siano considerevoli, abbondanti motivi perché le considerazioni e le riconsiderazioni avvengano sul tavolo della politica. I margini delle trattative future vanno considerati entro questi piani e non su quelli monetari. E’ qui che si decidono sorti molto più paganti.

Testo integrale

Baccaro: Italia fuori dall’euro. Eulà: sarebbe in gioco pure l’UE? Francia e Germania pronte al nulla?

07 Marzo 2018

Fonte: Scenari economici

intervista FAZ a

Luca Baccaro

foto di Wolfgang Eilmes

Nota di Domenico Cambareri per  Eulà

 

Pubblichiamo quest’importante, recente intervista del prestigioso quotidiano tedeco FAZ al Prof. Luca Baccaro, in Italia ripresa da Scenari Economici.

Essa conserva  con piena enfasi intatta la sua attualità alla luce del risultato delle elezioni politiche italiane e dell’affermazione dei “populisti” e “scettici” che si appellano antieuropeisti. populisti e scettici che scherzosamente vogliamo definire non intransitivi e non deponenti ma del momento. Non antieuropeisti per credo ma perché costretti dalla necessità e dalla rabbia ingenerati in larga misura dai loro stessi governanti.
Luca Baccaro  dirige il settore della ricerca sulle società dell’Istituto Max Planck, il colosso della ricerca pubblica tedesca, con sede a  Colonia. Egli indica, nel contesto delle perduranti gravi problematiche italiane e delle frustanti e non meno croniche relazioni interne all’Unione in riferimento al “circuito” dell’euro,
la possibile soluzione  nell’uscita controllata dell’Italia dall’euro.
Non entriamo nel merito delle sue valutazioni e dichiarazioni, perché sono espressioni di giudizio sotto i profili strettamente monetario-finanziario e economico. Ci soffermiamo, in controluce, con le valutazioni espresse dall’importante studioso, sul perché l’Italia debba o meno uscire dall’euro nell’ambito della decisionalità politica e non sul piano della cogenza dell’opzione tecnica prospettata da Baccaro.
Da parte nostra, anticipiamo la nostra conclusione già qui in premessa:
l’Italia deve rimanere nell’euro.
Come e perché, se condividiamo in larga misura il giudizio di Baccaro e di altri studiosi?
C’è da porre innanzitutto questo quesito di fondo: Euro, BCE et alia … sarebbero, sono espressioni in toto dell’autonomia della finanza dalla sfera politica?
La nostra risposta è: certo che no.
Questa asserzione di fondo, che nasce assieme e accompagna e “garantisce” da due decenni buoni la creazione dell’euro, sin dalla fase preparatoria svolta dall’ecu, è un’affermazione fondativa di natura squisitamente politica.
Che si voglia negarlo o meno, l’ambito delle libertà che la sfera finanziaria e economica rivendica il diritto di avere e le proporzioni effettive di cui gode non sono e non possono essere per loro intrinseca natura autonome, non sono e non possono essere neppure lontanamente autoreferenziali. Sempre per loro intrinseca natura.
Esse discendono dalla volontà politica che redige e statuisce e fissa i protocolli, le leggi, i trattati e, al loro interno, gli ampi o ristretti limiti di esercizio della libertà eteronoma e giammai della sovranità  della sfera finanziaria. E, specificatamente, di quella monetaria. Esse non possono e non potranno mai sottrarsi ab imis e per intero alla sovranità della decisionalità politica. Neppure in un sistema politico accentuatamente liberista.
L’uscita controllata dell’Italia dall’euro è dunque in linea di principio e in via subordinata
valutabile SOLTANTO entro uno scenario decisionale e un contesto operativo derivati da precondizioni politiche esplicitamente dichiarate condivise in toto da tutti i partner.
Precondizioni politiche riempite nero su bianco all’interno degli organismi preposti, il Consiglio dei capi di Stato e di governo e quelli che a latere discendono, con trasparente acribia punto per punto, tale da risultare siffatto percorso giovevole e percorribile in tutto e per tutto dalla parte richiedente. Ossia dall’Italia.
 
Riteniamo però, entro una realtà così prefigurata in positivo, che tutto questo possa rivelarsi per davvero una via di fuga parzialmente conveniente ma non felice e comunque alla fin fine non proporzionata verso … l’affrancamento dalle vessazioni subite e volute subire per inadeguatezza politica propria.
Infatti, visto che gli esperti valutano che l’uscita dall’euro comporterebbe per l’Italia oneri ben al di sopra dei 300 miliardi di euro, sia pure considerato che questa cifra possa essere brillantemente e drasticamente ridotta appunto a riconoscimento e a beneficio dell’Italia per quanto ha sinora subito a suo detrimento, è da chiedere:
perché mai si dovrebbe uscire dall’euro alla luce del riconoscimento politico di quanto subito dall’Italia? Converrebbe, a questo punto, sia all’Italia che alla Germania e alla Francia e agli altri attori dell’Unione che aderiscono alla moneta comune
pervenire a un’obiettiva riparametrazione dell’euro e al puntuale calcolo e ricalcolo e indennizzo delle perdite?

Se,

sia alla luce dell’importanza complessiva della posta in gioco sia in considerazione del maggior peso che riveste il continuare a procedere nel perseguimento della realizzazione strategica di questa finalità geopolitico-economica e di questo ambito di “bene comune” e di orizzonte comune,

Germania e Francia e soci dovessero riconoscere gli obiettivi e perduranti danni subiti dall’Italia sin dalla linea di partenza dell’euro – e quindi dovessero attivare all’unisono il principio equitativo e riparatore dell’ora per allora e per ancora e della correlativa cogenza del diritto e del dovere di accedere alla rinegoziazione dei trattati, impugnandone ogni limite prescrittivo – il suo giusto diritto a vedersi indennizzata, sarebbe da considerare risolto il problema italiano?

O invece, se nonostante siano coscienti del sistematico detrimento che trae l’Italia dalla sua non equa partecipazione all’euro, dovessero persistere in una posizione di contrasto,quale profitto trarrebbero dall’uscita ad ogni costo dell’Italia dall’euro?                                
Nella prima condizione, quale ulteriore beneficio trarrebbe l’Italia stessa dalla sua uscita dalla moneta comune, rinunciando alla possibilità di agire more geometrico e quindi di ridisegnare la geometria dell’euro? Ovvero: laddove si dovesse addivenire a una revisione dei trattati e a un generale e condiviso ricalcolo dei valori  monetari nazionali che stanno alla base del sistema euro, sarebbe conveniente uscire o cercare di realizzare e di gestire una più che difficile uscita controllata?
E’ naturale che debba essere considerata in profondità la possibilità opposta su delineata: il niet di Germania e/o Francia e degli altri partner dell’euro. Che profitto obiettivo di media e di lunga durata trarrebbero essi da questa evenienza? Dall’uscita dell’Italia dalla moneta unica? Quali scenari conseguirebbero dopo? Quali ulteriori incrinature si determinerebbero all’interno e quale sarebbe il ridimensionamento conclusivo della circolazione dell’euro in Europa? Fuori poi tutti i Paesi euromediterranei?  Gioverebbe davvero alle economie dei rimanenti Paesi euro  l’uscita dell’Italia e di almeno altri quattro partner o questo comporterebbe frizioni e reazioni più ampie all’interno dell’UE?
Domande doverose che richiedono specifiche, anticipatrici risposte. E ancora: tutto ciò intralcerebbe o esemplificherebbe la realizzazione dell’UE a più velocità? Quanto inciderebbe nei mercati UE e nel commercio extra UE? A beneficio di chi? Il fronte anti UE messo in moto dalla Brexit e le derive internazionali delle politiche commerciali apertamente ostili degli USA troverebbero ulteriori sponde e accresciuto vigore? La crescita dell’export tedesco e francese nell’area UE sarebbe garantita? Prospettive di intese e di amicizie diverse si delineerebbero per l’Italia e i Paesi mediterranei prima e dopo la frattura europea?
 
Il sistema – euro è nato, almeno per quanto attiene all’interno dei suoi meccanismi, con un rapporto marco – lira del tutto sbilanciato in favore della moneta tedesca. Anche a volere tenere in più che debito conto la debolezza della lira e la robustezza del marco come moneta di rifugio e di “accaparramento” ne mercati mondiali già allora in atto. Dalla Turchia alla Cina, il marco del corso parallelo all’euro era e resta espressione di affidabilità piena.
In fin dei conti, l’autonomia della lira “sovrana” era sempre servita come paraurti alla pessima conduzione politica dei governi italiani al fine di “aggiustare” il controvalore della lira con i soliti strumenti forniti dalla finanza  e permettere i rilanci dell’export e la crescita produttiva dal sempre breve respiro. Tutto ciò era possibile con l’accrescere la disparità del valore fra la moneta nazionale e le maggiori divise straniere. Con l’uscita dall’euro, si tornerebbe a questa solita solfa, senza certezza alcuna di contenimento  delle inefficienze e delle passività e del debito e di cambiamento virtuoso del sistema politico?
La soluzione della sovranità monetaria nazionale non risolverebbe dunque i problemi, ma li accentuerebbe: l’illusione dei benefici grazie agli aggiustamenti svalutativi è un compenso che a lungo termine si rivela aleatorio e controproducente. Essa non consente una prospettiva di sicura sostenibilità e di effettiva efficienza di un sistema politico e dell’economia di Paese ma soddisfa la messa in opera di misure succedanee, transitorie che giovano solo a prolungare le cause oggettive dell’inefficienza del governo del Paese e delle passività che produce, accumula, moltiplica, provocando un inarrestabile indebitamento e depauperamento pubblico. Così come in effetti è finora accaduto in Italia.
 
Noi riteniamo che, dopo questi quattro lustri, vi siano considerevoli, abbondanti motivi perché le considerazioni e le riconsiderazioni avvengano sul tavolo della politica. I margini delle trattative future vanno considerati entro questi piani e non su quelli monetari. E’ qui che si decidono sorti molto più paganti.
Torniamo a sottolineare: ciò riguarda sorattutto la Francia e in particolare la Germania sotto una duplice veste. Come Nazioni di maggiore rilievo politico e economico dell’Unione assieme all’Italia, e come partner che per un motivo o per l’altro hanno tratto i maggiori (più rilevanti e durevoli) benefici dalla non equità dei parametri di partenza e dalle ulteriori non equità dei trattamenti goduti a 360° fino ad oggi sia in ambito BCE sia in ambito di governance da parte della Commissione Europea che del Cosiglio dei capi di Stato e di governo.
Detto in termini estremamente crudi, perfino brutali: se dovesse perdurare l’inadeguatezza della governabilità italiana, se in sede di siffatte prospettate trattative la parte italiana non dovesse rivelarsi sempre all’altezza dell’arduo compito, se dovessero prolungarsi nel tempo le inquietudini interne italiane converrà ulteriormente alla Francia e alla Germania approfittarne o porre in essere un definitivo cambio di metodo e perciò porre freno al conseguimento di profitti che in fin dei conti non farebbero altro che accentuare la crisi europea e rendere fosche le future crescite comuni? E rendere perfino irreversibili e profonde le fratture?
Un’Europa a incontrastata egemonia franco-tedesca, geograficamente etnicamente e politicamente deprivata del Mediterraneo, potrà ambire a perseguire ulteriormente il processo di unificazione europea? Potrà ambire a realizzare un’architettura di una politica economica ancora in grado di confrontarsi con le minacce degli USA e di reggere l’urto della Cina? Una siffatta micro mittle-Europa potrà riaccostarsi alla Russia?
 
L’obiettivo dell’Unione Europea, Unione da rifondare rilanciare e allargare, rimane assolutamente valido. Esso rimane l’obiettivo principe e al tempo stesso il luogo e l’ideale fondativo della nuova, grande Eufrasia. Esso impone senza deroghe un salto nell’etica politica dei governi e dei parlamenti degli Stati europei, Stati la cui lillipuziona sovranità fa sorridere pure i beoti. – EULA’.

 

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