09 Novembre 2020 Autore: Enea Franza
A dicembre un summit sull’ambiente
Il prossimo 12 dicembre 2020, giorno del quinto anniversario dell’accordo di Parigi, le Nazioni Unite ed il governo del Regno Unito hanno annunciato la volontà di organizzare un “summit mondiale sul clima”, promosso dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, e dal premier britannico, Boris Johnson, che riunirà “i leader più ambiziosi del mondo” in tema di cambiamento climatico.
L’annuncio segue al rinvio di un anno, per la pandemia, degli incontri operativi per l’adozione delle misure pro-ambiente (il c.d. Cop26) che avrebbero dovuto tenersi questo novembre a Glasgow (in Scozia). Tale incontro era particolarmente importante perché nello scorso vertice mondiale sul clima (Cop25) si sono rinviate le decisioni su molti importanti questioni. In particolare, sul mercato delle emissioni di carbonio, di cui all’articolo 6 degli Accordi di Parigi[1], sui meccanismi finanziari di supporto a chi subisce le conseguenze del global warming, nonché sull’orizzonte temporale comune sugli impegni per rientrare negli Accordi di Parigi (dovranno durare 5 o 10 anni?)
Cop 26, dunque, è una scadenza importante per la complessa diplomazia internazionale per il clima: dovrà verificare se i Paesi che hanno aderito all’Accordo di Parigi intendono aumentare le loro ambizioni nella riduzione delle emissioni dei gas serra. Questo perché gli impegni presi fino ad ora si sono dimostrati globalmente insufficienti a stabilizzare l’aumento delle temperature sotto i 2°C.
Pertanto, il rinvio del Cop26 ha generato parecchi malumori. Il punto debole dell’Accordo di Parigi sono i suoi tempi troppo lunghi, a fronte dell’accelerazione della crisi climatica e dell’aumento delle emissioni globali degli ultimi due anni. Dunque, la decisione del “summit mondiale sul clima” costituisce un tentativo di non perdere tempo e di adottare concrete misure e questo, almeno nei Paesi più volenterosi.
[1] Nel dettaglio: Australia e Brasile hanno insistito per includere in questo sistema di scambio di emissioni “non spese”, anche i crediti di CO2 avanzati dal Protocollo di Kyoto. Tuttavia, sono in molti a pensare che inondare il mercato del carbonio con questi crediti acquisiti “a poco”, quando gli impegni sul clima erano meno stringenti, minerebbe l’integrità del sistema. Lo stesso blocco è favorevole al doppio conteggio, un altro controverso meccanismo in base al quale il taglio di emissioni è conteggiato sia dal Paese che ha acquistato il credito di emissioni, sia da quello che l’ha venduto. Ancora, le economie emergenti come Cina e India hanno chiarito che non formuleranno promesse più ambiziose, dal momento che i Paesi industrializzati non hanno tenuto fede agli impegni – anche di natura finanziaria – sottoscritti per il 2020. Il mercato di CO2 dovrebbe poi assicurarsi che i progetti “verdi” finanziati non ledano i diritti delle comunità indigene, e contemplare anche una quota di emissioni da sottrarre attivamente dall’atmosfera (e non solo da compensare). Su nessuno di questi punti si è trovato un accordo, e pochi passi avanti sono stati compiuti sugli strumenti finanziari che dovrebbero servire a ripagare perdite e danni dei cambiamenti climatici
L’incontro è di particolare importanza anche per l’Italia, che fa parte dell’High Ambition Coalition, il club dei Paesi più green al mondo, ovvero dei Paesi che si sono impegnati, alla conferenza Cop25 di Madrid sul cambiamento climatico, ad azzerare le emissioni entro il 2050[2].
L’Italia, sebbene abbia ceduto alla Grand Bretagna l’ospitalità e la Presidenza della COP 26, può comunque giocare un ruolo europeo ed internazionale di grande rilievo, innalzando il grado di attenzione sulle questioni che la vedono, ad esempio, impegnata nella questione Ilva.
Ricordiamo opportunamente, però, una delle più vistose e gravi e croniche incongruenze della politica energetica dei governi italiani mai superata, sia in termini finanziari che di autonomia nella conversione delle fonti energetiche e di effettivo adempimento dell’esplicita rinuncia al nucleare e che ci portò alle costosissime dismissioni delle nostre centrali nucleari, visto e considerato che quelle straniere sono posta a ridosso dei nostri confini fisici e politici ma è come se fossero installate in Italia.
L’Italia continua ad essere, è bene sottolinearlo ancora, il maggiore importatore di energia elettrica prodotta da centrali nucleari.
Dunque, gli esiti del summit di dicembre, saranno, a nostro modo di vedere, molto importanti per preparare e consentire esiti concreti sia per l’incontro del Cop26 che per la verifica fissata nel 2023: esiti possibili solo se si comincia a rimettere gli impegni nazionali in traiettoria con l’Accordo di Parigi, sancendo che gli impegni nazionali, conteggiati con criteri omogenei, vanno migliorati e ottenendo l’assenso dei vari Paesi a procedere sulla via maggiori delle riduzioni. E’ certo che alla Cop 26 arriveranno al pettine nodi rilevanti.
La questione Cina, ad esempio. Essa ha sempre difeso
l’Accordo di Parigi, ma in realtà li vola nei modi più sistematici e plateali.
Infatti continua ad aumentare le proprie emissioni e non ha ancora assunto
impegni quantificati per la loro riduzione, ma solo di miglioramento tecnologico
relativo all’intensità energetica e carbonica prodotta.
[2] Tra i temi tradizionalmente cari all’Italia, si annovera la cancellazione del debito per i Paesi più poveri. Questi sono i più gravemente colpiti dal cambiamento climatico e la cancellazione del debito li può aiutare nella decarbonizzazione nonché nelle strategie di mitigazione e adattamento. Altri temi cari all’Italia sono l’economia circolare, l’efficienza energetica, l’educazione alla sostenibilità e al clima (in cui ha un ruolo pionieristico), la necessità di una partnership strategica con l’Africa e l’importanza di garantire inclusione. Inoltre, come dettagliato nello studio “La geopolitica nell’era delle energie rinnovabili: sfide e opportunità per la politica estera italiana”, l’Italia ha un interesse strategico a promuovere le rinnovabili poggiando su una leadership maturata in vari ambiti. Tra questi spiccano know-how e attività imprenditoriali nei settori del geotermico, dell’idroelettrico e delle pompe di calore, delle tecnologie di nicchia nell’eolico e nelle reti elettriche altamente digitalizzate. Le rinnovabili offriranno all’Italia anche la possibilità di sviluppare ulteriori vantaggi comparati finora inespressi e di accrescere il proprio peso geopolitico.