Napolitano: balle e ruberie senza fine, da brivido!

09 Dicembre 2020 Fonti: il Quotidiano del Sud, IBS, Mondadoristore, laFeltrinelli, Hoepli, Unilibro, Libreria Universitaria, La nave di Teseo Nota di Domenico Cambareri

Fra le tante volte in cui ho avuto motivo o occasione di parlare sulla storica questione unitaria e meridionale, apsetti assolutamente inscindibili, desidero qui riferirmi a una mia risposta su Linkedin agli improperi di un’arrabbiatissima professionista della bergamasca, che aveva non un dente ma tutti i denti avvelenati contro i meridionali. Risposta che ritengo che sia ancora verificabile. Alla persona in oggetto, facevo notare alcune cose. Innanzitutto, che questa falsa diatriba era rivelatrice delle condizioni di un eccesso d’impropria reattività che celvano una quasi generale fragilità psicologica e culturale e che rispecchiava i più ritriti luoghi comuni delle plebi e dei ceti marginali del “Nord”, quanto pure della puzza sotto il naso della media piccola e grassa borghesia del “Nord”. Soggetti sociali collettivi, questi ultimi, che hanno tutti i più diversificati motivi per nascondere il minimo del minimo della reatà storica e dell’attualità. Soggetti sociali collettivi su cui in pari tempo non penserei mai di potere generalizzare, quant di porre l’accentosiìu di una sicura prevalenza di questo biasimevole e becero atteggiamento, visto che ben sapevano che si era trattato di una vera e propria azione politica e bellica di spoliazione, messa al bando con i relativi massacri dei “brigamti” e di favorire la veloce decrescita demografica delle terre meridionali attraverso il processo migratorio.

E ancora, per tacitare del tutto questo contesto di elucubrazioni di campanilismo e regionalismo farneticante, aggiungevo che per porre riparo alle vessazioni e spoliazioni e per potere avviare un’effettiva e reale riduzione dell’abissale squilibrio economico e sociale fra Nord e Sud Italia, occorrerebbe che per almeno i prossimi quarant’anni il 60% del bilancio annuale dello Stato dovrebbe essere assegnato agli investimenti nell’Italia meridionale.

Facevo altresì notare che questa prima affermazione andava altresì considerata e compresa in termini dinamici, giacché essa aveva bisogno di obbligate puntellature e chiarificazioni, perché in più di un secolo e mezzo di storia unitaria la gran parte della popolazione del Nord Italia era diventata in prevalenza di origini centromeridionali, soprattutto nei grandi centri urbani e fra le persone fornite di titoli di laurea e che avevano ricoperto e ricoprivano ruoli professionali pubblici e nel settore privato. Facevo ancora notare che Lombardia e Liguria fruirono di enormi benefici economico-finanziari già all’indomani dell’unificazione con cui la casa regnate depredò sistematicamente tutto il centro-sud solo per motivi di contiguità geografica con il Piemonte, regione con cui erano così venute a costituire la piccola ma più estesa massa geoantropica della penisola. Inoltre, esse erano a ridosso delle frontiere da guarniresubito militarmente e lungo le vie di comunicazione via terra più dirette e più prossime agli altri centri produttivi e di consumo transnazionali. Il Veneto, invece, subì per moltissimi decenni un collasso simile alle regioni centromeridionali, nonostante fosse non di meno regione di confine e perdi più maggiornmente coinvolta negli eventi bellici. Però, Venezia e gli altri porti minori veneti non erano contigui a Piemonte, come lo erano Genova e Savona, dirette porte di Torino: I porti veneti erano scomodi e sconvenienti concorrenti. Facevo ancora notare, nell’estrema sinteticità degli interventi, che la dinamica storica successiva, enormemente squilibrata, in fin dei conti era venuta a presentare delle analogie, al di là delle rispettive genesi, con la realtà geoeconomica e infrastrutturale delle maggiori nazioni europee industrializzate; realtà tipicizzata dai grandi triangoli industriali. Triangoli sovrapponibili e diventati pure di dimensioni continentali, con i seguenti vertici: Londra – Parigi – Monaco, Londra – Parigi – Milano: luogo comune sul piano delle più elementari conoscenze geografiche e socio-economiche di tutta la seconda metà del ‘900, presentati come veri fulcri dell’arropproccio disciplinare ad esempio dei libri per le scucole medie inferiori di Giulio Mazzetti. Facevo infine rilevare, fra gli ulteriori riferimenti, che verso la fine del boom economico l’aggressività di non rari e forti gruppi produttivi del Nord aveva scatenato una seconda conquista del Sud grazie al ricorso a un’esteso condizionamento commerciale basato sulla corruzione e sull’instigata concussione dei vertici istituzionali delle varie amministrazioni e enti e aziende a carattere pubblico, attuando una concorrenza assolutamente disonesta e predatoria che aveva portato al veloce depauperamento e alla scomparsa di non poche realtà produttive presenti sul territori coinvolti dal macrofenomeno di desertificazione indotta. Aggiungo, in uno con la dimensione dell’accrescimento del fenomeno mafioso, quale sua diretta causa. Questo provocato collasso ha configurato l ‘insieme di questi avvenimentoi come una costante criminale dei bei colletti bianchi che dall’arco alpino lungo l’appennino ha peculiarizzato al tempo stesso e peculiarizza tuttora la costante della sclerosi definitiva dei ceti politico e amministrativo del Meridione.

Colgo questa ben specifica opportunità per rilevare che i tempi sul piano storico sono oramai ampiamente maturi sotto tutti gli aspetti a che con sollecitudine gli organi costituzionali più alti, quindi chi ricopre la carica di Presidente della Repubbica, le due Camere, il governo pro tempore e le amministrazioni regionali, provinciali e comunali di Piemonte e Valle d’Aosta con pubbliche dichiarazioni si impegnino a fare alzare e edificare a brevissima scadenza nelle piazze dei centri urbani più importanti di queste regioni e davanti alle fortezze, che furono allora utilizzate dal re sabaudo diventato re d’Italia per tenervi rinchiuse a vita molte migliai di soldati borbonici, obelischi, colonne, cenotafi e aree museali a ricordo dei soldati del Regno delle Due Sicilie che seguirono le vie dell’onore e del coraggio e della feleltà e preferirono non giurare fedeltà al nuovo Stato unitario degli italiani. Questa pagina di grande eroismo non può essere ancora tacitata, perché essa semmai magnifica gli aspetti pù positivi della nostra storia.

Essa, al tempo stesso, non può non rendere edotti gli italiani di oggi sulle terribili vessazioni e privazioni che quei soldati subirono fino alla morte e di quanto si ebbe a soffrire per l’agognata unità geoetnolinguistica e storica, peraltro e per di più mai portata a definitivocompimento. Unità che era stata per secoli disfatta soprattutto a causa di una dissennata e dispotica degenerazione dell’autorità religiosa idi confessione cattolica, divenuta egemone per avete fatto ricorso, all’origine del quasi bimillenario “fenomeno”, all’appropriazione e ricezione di poteri temporali e al loro esercizio di “diritto” e fattuale che erano e rimango in toto ancora in assoluto contrasto con la sua esclusiva missione di fede affermata e declamata; e per avere provveduto alla produzione e alla diffusione di documenti imperiali falsi atti a certificare la liceità e legittimità dell’eredità sovrana imperiale da parte del vescovo cattolico di Roma, che, messa da parte definitivamente l’incombente escatologia salvifica, si donò in toto e in perpetuo al potere sulla terra. Turpitudini senza fine, su cui non di meno si basa tutta la storia degli ultimi tredici secoli italiana e europea. E non soltanto.

Nonostante le laceranti vicissitudini vissute negli ultimi ottantatre anni e nonostante l’infimo squallore politico, istituzionale e morale in cui da decenni ci dibattiamo come impazzite e onnivaganti orde di un nuovo inferno dantesco, la nostra Patria rimane ed è grande perché è grande la sua capacità recettiva, in grado di pervenire a una naturale e inevadibile spinta verso una superiore sintesi storica. Sintesi la cui la presa di coscienza degli enormi eccessi allora perpetrati diventa espiazione morale e si realizza come vera, liberatoria catarsi per quanto nei primi tre decenni e in tutti i decenni successivi fu consumato in modo vigliacco, violento, ingiusto, anche contro popolazioni inermi e spesso terribilmente sfruttate e represse, con modalità terribili e orribili. Questa presa di coscienza nazionale ufficiale, su cui finora si è fin troppo tergiversato ipocritamente e con cinica insensibilità morale, istituzionale e storica, non potrà mai soffocare le nobili idealità che mossero i patrioti a combattere per l’unificazione e il risorgimento del nostro popolo. Questo atto non potrà che rafforzare e ridare conferma della veritiera scelta di campo di quegli anni, elevando però d’ora in poi il momento della fraternità del popolo se non al di sopra quanto meno alla pari di quelli di libertà, unità e indipendenza. – Domenico Cambareri

Desideriamo richiamare l’attenzione dei lettori su questo libro, il cui autore è un affermato ma soprattutto ben preparato giornalista, Roberto Napolitano, il quale attualmente dirige con competenza, rigore, coraggio e grande acutezza non soltanto giornalistica “il Quotidiano del Sud”.

La grande balla

La grande balla

“Quanti cittadini sanno che sessantuno miliardi dovuti al Sud vengono ogni anno regalati al Nord, nel più grande furto di stato mai conosciuto dalla Repubblica italiana nella sua storia recente? I numeri di questa operazione verità fanno tremare vene e polsi, e permettono legittimamente di chiedersi se l’Italia esista ancora. Sapete a quanto ammonta la spesa per infrastrutture di sviluppo nel Mezzogiorno? Lo 0,15 per cento del PIL, praticamente è stata azzerata. C’è un treno ad alta velocità ogni venti minuti tutti i giorni tra Milano e Torino e nemmeno uno alla settimana da Napoli a Bari o da Napoli a Reggio Calabria. Sapete che per gli aiuti alle famiglie in Campania arrivano trenta milioni, in Lombardia duecentocinquanta, in Veneto duecento? E che al Nord c’è un insegnante ogni dieci studenti mentre al Sud gli studenti sono venti per ogni professore? La grande balla vi conduce in un lungo viaggio nelle piccole grandi patrie dell’assistenzialismo, che non sono al Sud, ma tutte al Nord. La politica si è abituata da vent’anni a togliere investimenti pubblici al Sud per sostenere la cassa integrazione al Nord, soddisfare le pretese dei produttori di latte, degli obbligazionisti veneti, sistemare gli amici degli amici nel coacervo di enti pubblici proliferati con la spesa facile. Tutti collocati nelle regioni più ricche. La verità (amara) è che i maestrini dell’integrazione tra Nord Italia e Nord Europa e del teorema ‘il Mezzogiorno seguirà’ hanno sbagliato tutto. L’unica integrazione possibile è quella tra Nord e Sud Italia, per poter competere con più forza nell’arena globale.”

Roberto Napoletano è stato direttore del “Sole 24 Ore” (dal 2011al 2017) e di tutte le testate del gruppo (Radio 24, l’agenzia di stampa Radiocor, l’informazione web e specializzata), e direttore editoriale del gruppo multimediale 24 Ore. Dal 2006 al 2011 è stato direttore del “Messaggero”. Dall’aprile 2019 è direttore del “Quotidiano del Sud – l’AltraVoce dell’Italia”.

Tra i suoi libri: Se il Sud potesse parlare (2001), Padroni d’Italia (2004), Fardelli d’Italia (2005), Pro- memoria italiano (2012), Viaggio in Italia (2014). Per La nave di Teseo ha pubblicato nel 2017 Il cigno nero e il cavaliere bianco (3 edizioni, 12.000 copie), diventato uno spettacolo teatrale in tournée in tutta Italia, e Apriamo gli occhi. Perché i nostri risparmi sono in pericolo (2018).

Il Quotidiano del Sud

L’AltraVoce dell’Italia

La misura è colma

ROBERTO NAPOLETANO | 12 DIC. 2019 t

L’editoriale del direttore Roberto Napoletano l’ALTRAVOCE dell’Italia La misura è colma

l’editoriale di Roberto Napoletano

C’è un signore ineffabile che sorride sempre. Si chiama Gianfranco Battisti, dottore in scienze politiche. Lo hanno catapultato dalla Divisione passeggeri e dalla gestione del patrimonio immobiliare (Sistemi Urbani) ritenuto non più funzionale addirittura alla testa delle Ferrovie dello Stato Italiane nel luglio del 2018. Parliamo di un’impresa che ha cambiato l’Italia con l’Alta Velocità e che ha avuto come capi azienda ingegneri di ferro della stazza di Moretti. Amici fidati ci hanno riferito che non ci credeva nemmeno lui, il Battisti da Fiuggi.

Rideva certo, ma non aveva ancora perso il senso della misura perché si chiedeva: siete sicuri, proprio io? Deve esserci stato un errore di persona. Invece no, era tutto vero: il dottor Battisti non si deve più occupare di servizi di customer satisfaction per viaggiatori, dolce salato bibite, e di compravendita di mattoni e binari in disuso, ma assume le stellette di primo ferroviere italiano alla guida del colosso industriale dei trasporti. Si racconta con malizia che fosse il più alto in grado conosciuto da Di Maio e questo lo ha trasformato in un capo azienda, il resto lo ha fatto Toninelli di cui Battisti è stato mentore e ombra e di cui si sente oggi orfano. Come dire: ognuno sceglie i compagni di viaggio con cui si trova meglio, si fiutano tra di loro per tante cose a partire dalla competenza sulla materia.

Nella biografia ufficiale di Battisti c’è scritto che si occuperà di bisogni delle persone e di sviluppo sostenibile, forse è giusto per l’unico caso di capoazienda inventato tout court. Come sapete a noi i cfo promossi ceo non piacciono, ma qui il pericolo non si corre perché i titoli per fare il capo della finanza e tenere a bada i conti neppure ci sono. Speriamo, questo sì ci farebbe molto arrabbiare, che i bisogni delle persone di cui intende occuparsi non siano solo quelli da Firenze in su. Se non altro perché il suo dante causa politico, il Movimento 5 stelle, ha il proprio granaio di voti (aveva?) nel Mezzogiorno ci eravamo illusi che le ragioni di mercato di lungo termine dello Stato imprenditore italiano avessero indotto l’azienda Ferrovie a investire in modo significativo nelle regioni meridionali. A sanare la vergogna civile, prima ancora che economica, che riguarda venti milioni di persone (sì persone, signor dottor Battisti) tagliate fuori dal servizio di Alta Velocità e costrette a utilizzare treni di seconda mano o, peggio, di scarto.

Oggi apprendiamo e il grande Simone Di Meo ne ha avuto visione che a fronte di un piano ufficiale che prevede il 40% di investimenti al Sud e il 60% al Nord all’interno di un piano quinquennale da 56 miliardi, ne circolerebbe ai piani alti di FS uno ufficioso dove la cifra media (reale) destinata al Sud oscillerebbe tra l’11 e il 16%. Proviamo sinceramente imbarazzo. Questo Paese ha azzerato la quota di investimenti pubblici (0,15%) in infrastrutture di sviluppo nelle regioni meridionali drenando risorse pubbliche dovute per raddoppiare i binari, comprare treni e così via dove ce ne era bisogno e facendo invece assistenzialismo puro con quelle stesse indebite risorse dove si stava meglio. Una vergogna totale e l’atto di morte futura dell’economia italiana.

Non sappiamo se questa bozza ufficiosa comanderà sul piano ufficiale, ma….

(per completare la lettura dell’articolo, connettersi direttament a “il Quotidiano del Sud” –