30 Gennaio 2021 Autore: Domenico Cambareri
UNIONE EUROPEA. Tecnologia avanzata, imprese industriali e difesa terrestre.
Fra strategie d’imposizione politico-industriale ai fini dell’esercizio di un’egemonia a due e strategie di contenimento e di alleanze politico-industriali compensative e di dinamico e creativo contrappeso. – Legittimità di vedersi riconosciute leadership d’indirizzo aperte e condivise, purché non di esclusivismo decisionale, e rischi d’imposizioni da direttorio. – Di egemonismo interno, si può soffrire e anche soffocare. Le predominanze finalizzate ad hoc nell’ambito delle nuove tecnologie e dei nuovi strumenti della difesa terrestre rappresentano il peggior pericolo del “fattor comune”. – Raggiungere l’obiettivo del coinvolgimento degli apparati industriali nazionali per la diffusione e l’accrescimento del know how di base e per gli investimenti h.t. – La sinergia non può essere imposta ma non può essere una parola vuota: essa è lo strumento fondamentale della strategia di coinvolgimento e di condivisione nell’ambito delle priorità politiche che devono preservare la crescita della concorrenza per evitare rischi di monopolio nel mercato interno europeo.
La stampa sia di settore che generalista continua a riportare notizie su urgenti e importanti programmi di investimenti o acquisizioni di nuove tecnologie della difesa, sia certi che ipotetici, per gli aggiornamenti degli strumenti militari nel contesto sia italiano che europeo.
In riferimento a tutto ciò, in questa prima parte presentiamo delle brevi ma importanti nostre considerazioni.
Carro da battaglia. L’alleanza franco-tedesca per la progettazione e costruzione dell’MGCS, dopo alterne e pure recenti controversie, sembra avere raggiunto un equilibrio non solo di scopo ma anche di non più conflittuale indirizzo decisionale e di avviamento sinergico del progetto industriale. Essa ha escluso a priori la partecipazione italiana e potrebbe consentire in futuro, a progetto definitivo realizzato, una partecipazione produttiva del tutto subalterna. La richiesta inglese, ultima fra le novità, di essere accettata come semplice osservatore, al momento non può rivestire alcun significato certo, In ogni caso, non serve lanciare sulla scena solo ipotesi non confortate da alcun dato concreto, visto e considerato che il Regno Unito ha sempre perseguito un suo del tutto differente itinerario, motivato sia dalle opzioni operative e tattiche prescelte dal Royal Army sia di autonomia politica.
L’Italia sta cercando di seguire delle vie alternative, ma ci pare che lo S.M. Esercito, e forse di conserva la direzione generale degli armamenti, continui a vivere in condizioni di incertezze e tentennamenti che non rappresentano fughe in avanti ma dispersone delle non potenti energie da utilizzare per focalizzare con il massimo di concretezza la scelta da perseguire.
Da un lato, si cercano e sollecitano improvvidi e insignificanti approcci con l’US Army e più che inopportune intese con l’esercito sionista, che vengono ancora di più a esporci in maniera sovradimensionata con un soggetto fonte primario d’instabilità internazionale in aree per noi e l’Europa tutta vitali. Anzi, si sa che con quest’ultimo sono stati raggiunti accordi di scambi di esperienze e valutazioni in riferimento ai mezzi blindati e corazzati. Dall’altro lato, l’Italia sollecita Polonia e Spagna a creare un’alleanza industriale per produrre in proprio un carro armato da battaglia, in competizione con il progetto franco-tedesco. Intanto, i mesi passano.
A nostro parere, è da perseguire solo questo progetto, quello dell’alleanza politica e industriale fra Italia, Polonia e Spagna. E non solo. Consideriamo i perché. La Polonia ha oggettivo bisogno di schierare un carro da battaglia pesante, senza mezzi termini, senza se e senza ma. Un carro con prestazioni alla pari degli altri, di quelli russi e di quelli occidentali. Al contempo, non vuole rimanere un utilizzatore di mezzi sempre costruiti da altri ma entrare nel novero dei Paesi che sono in grado di operare un salto progettuale e tecnologico che da sola non è in grado di raggiungere. Le considerazioni tecnologiche e politiche valgono pure per la Spagna. Essa avrebbe minori urgenze operative, ma le dinamiche politiche le impongono di operare una scelta. O accetta di rimanere un partner marginale della produzione del mezzo franco-germanico e del tutto irrilevante sul piano dell’impresa della r&s, o si accoda alla stessa stregua a progetti americani che ancora non esistono o cerca di raggiungere un’intesa strategica con Italia e Polonia.
Solo questa intesa sarà in grado di sottrarre queste e altre Nazioni all’assoluta egemonia industriale, militare e politica di Francia e Germania. Il main battle tank franco-tedesco insieme al futuro caccia da supremazia aerea della sesta generazione FCAS, sempre franco-tedesco (con una marginale partecipazione spagnola), rappresenta la punta di lancia di questa supremazia politica e del dominio tecnologico delle due Nazioni.
Ma mentre sul piano della risposta aeronautica vi è finalmente il forte dato di bilanciamento costituito dall’asse politico e industriale britannico-svedese-italiano per lo sviluppo del caccia di sesta generazione, il Tempest, vera pietra miliare per l’industria italiana perché, a differenza della realizzazione dell’Eurofighter, costruito su base quadripartita (UK, DE, IT SP), sarà realizzato su base tripartita, per cui l’onere finanziario e la percentuale di spesa cresceranno notevolmente, sul piano dello strumento di punta degli armamenti terrestri l’asse franco-germanico oggi risulta essere ancora del tutto incontrastato.
A margine del citato Tempest, non dimentichiamo che Regno Unito e Italia partono con un piccolo vantaggio, avendo partecipato, sia pure in misura notevolmente diversa, allo sviluppo del caccia “invisibile” da supporto tattico F35, dotato di tecnologie USA quasi tutte secretate, con risorse costateci sudore d’oro e con ritorni di k.h. davvero marginali
Considerato dunque che Spagna e Polonia non vorrebbero, non vorranno scontare per tanti lunghi decenni una condizione di patente e grave subalternità tecnologica, mentre con l’alleanza con l’Italia potrebbero, potranno accedere a una condizione certa di maggiore affrancamento nel campo della ricerca e dello sviluppo della tecnologia in più settori d’avanguardia, riteniamo che la condivisione del progetto di un carro da battaglia comune da parte degli Stati maggiori degli eserciti e della difesa di questi tre Paesi dovrebbe diventare quanto prima un dato certo attorno a cui la condivisione degli apparati industriali e la preliminare e conclusiva ratifica politica dovrebbero viaggiare su canali assolutamente speciali e con speditezza al fine di non perdere altro tempo prezioso, per potere iniziare a produrre il nuovo mezzo non oltre il 2033 – 2035, in parallelo con il calendario franco-tedesco.
Considerato altresì che Spagna e Austria, con una multinazionale USA operante in Europa avevano già avviato il progetto su di un carro da combattimento medio, da parte di Vienna sarebbe da valutare l’opportunità, la convenienza di partecipare a un progetto di più alto profilo militare e industriale. D’altronde, mentre negli USA è stato dato il via a un progetto per un carro da battaglia medio per i Marines, e considerato presupposto che obiettivi planetari, pluralità di esigenze, molteplicità di progetti e risorse finanziarie immense degli Sati Uniti sono imparagonabili, e che certo l’esercito americano non rinuncerà mai al main battle tank, che senso ha schierare solo carri medi e privarsi di carri pesanti da parte di Austria e Spagna? Che senso ha sul piano delle scelte militari tattiche negli scenari europei e di quelle industriali? Prendere atto di dovere svolgere ruoli di mero fiancheggiamento bellico e di scontata, totale subordinazione tecnologica?
Le sinergie delle tre Nazioni, o quattro, porterebbero a quantitativi di mezzi da produrre, anche se inferiori a quelli dei programmi degli eserciti di Parigi e di Berlino, tali da ammortizzare tutti gli investimenti e da risultare produttori di guadagni. L’accesso di Vienna e perfino della statunitense General Dynamics che già produce per gli eserciti di Vienna e di Madrid, porterebbe a un ampliamento dei partner e a un incremento delle risorse da reperire per gli investimenti di r&s e a una meno onerosa ripartizione delle spese. Pure le esportazioni e la concessione di produzioni su licenza verrebbero a costituire uno sbocco da non sottovalutare.
Il rischio di un’eccessiva parcellizzazione delle quote e di un impoverimento del ruolo trainante del progetto industriale potrebbero essere evitati benissimo ponendo precisi paletti: il cuore delle percentuali già sulla carta potrebbe individuare cifre attorno al 35% – 38% per l’Italia e al 25% per Polonia e Spagna. Percentuali che Spagna e Polonia si possono solo sognare di ottenere nella partecipazione, nei fatti soltanto produttiva del futuro sostituto del Leclerc e del Leopard 2. Il restante 10 – 12% potrebbe essere assegnato all’Austria. General Dynamics, come altra sponda dell’Atlantico, già rappresentata dall’operante gruppo industriale ASCOD, ne godrebbe i benefici attraverso le quote spagnola e austriaca.
Certo è che qui ci spingiamo molto più in là con questi esempi, ma ciò lo facciamo non per ostentare fatui vaneggiamenti quanto per tentare di prefigurare un possibile assestamento delle partecipazioni e aiutare a spingere più in avanti la proposta e non a demolirla, perché essa va letta esplicitamente sia come esigenza di concorrenza di mercato e non di subalternità passivamente subita, sia come effettivo rafforzamento dell’arricchimento tecnologico e dell’ampliamento numerico delle industrie e degli eserciti europei coinvolti, che verrebbero a goderne i benefici, e delle ricadute produttive e dei ritorni finanziari complessivi, grazie pure alla standardizzazione delle linee operative dei carri e del loro sostegno logistico.
Le caratteristiche peculiari andrebbero in pari tempo individuate senza tergiversare, ponendo come dati centrali le esigenze operative primarie del carro da battaglia per l’impiego operativo similari a quello franco-tedesco, e proprie pure a alle esigenze polacche e alle normative NATO. Gli sviluppi tecnologici raggiunti nell’ambito della produzione di materiali speciali come ad esempio i ceramidi consentirebbero il drastico contenimento dei pesi del nuovo carro, come messo in risalto da analisti che sponsorizzano lo sviluppo del carro medio, ma ciò non dovrebbe essere un obiettivo da perseguire perché le capacità degli strumenti d’offesa hanno accresciuto e accrescono la loro letalità. In particolare, stiamo assistendo a una vera rivoluzione tecnologica militare e civile con la produzione di sempre più numerosi e diversi modelli di velivoli non pilotati anche estremamente piccoli, dotati di raffinate tecnologie miniaturizzate e aperte.
Inoltre, il carro è costretto a operare in ambito dottrinario e operativo in presenza di un indispensabile ombrello fornito dalla supremazia aerea sul cielo sovrastante. Cosa che spesso non è accaduto e non potrà accadere.
Lo sviluppo ultimo, da un lato del cannone da 130/51 mm ( e uno non solo nel cassetto da 140) della Rheinmetall tedesca indica ulteriormente come gli scenari futuri si presenteranno in modi molto diversi (anche Leonardo, già Oto Melara e OtoBreda, potrà presentare sviluppi oltre l’attuale 120/45). La supremazia tecnologica attuale a livello mondiale dell’industria italiana in fatto di proiettili di medio calibro non potrebbe che arrecare ulteriori benefici, anche se le artiglierie dei mezzi corazzati sono fino ad oggi finalizzate per impieghi a corto – cortissimo raggio e non a medio o lungo raggio.
Questi aspetti critici dovrebbero portare a una svolta storica nel dotare definitivamente il carro da battaglia innanzitutto di una minima e indispensabile protezione attiva e passiva dall’offesa aerea, finora praticamente inesistente. Essi dovrebbero essere armati con dei piccoli missili antimissili e antiaerei a cortissima gittata e di lanciatori di esche o ingannatori elettronici e radar da stivare in canestri posti ai lati posteri della torretta. Altrimenti, diverrebbero non solo facile preda dei cacciabombardieri nemici ma anche dei non meno letali elicotteri caccia carri e di tutta questa nuova e sterminata panoplia di “gregari” o mezzi non pilotati (UAV) anche molto piccoli. Queste nostre considerazioni ci pare che finora non siano state presentate da altri. Eppure si riferiscono agli scenari prossimi venturi già acquisti come certi dagli Stati Maggiori.
L’insieme delle informazioni del contesto e delle nostre valutazioni siamo convinti che possano valere, svolte su un altro piano, pure per lo sviluppo di un mezzo cingolato corazzato per la fanteria d’assalto.
L’Italia deve rinnovare la vetusta e inadeguata in termini numerici e soprattutto qualitativi linea dei cingolati blindati spacciati come corazzati, i Dardo, di produzione nazionale. La Germania vanta di un indiscutibile primato da decenni già con il Marder. Il nuovo mezzo destinato a sostituirlo, il Rheinmetall Lynx KF41 IFV è già stato ordinato dall’esercito ungherese tramite un accordo di joint venture.
In un nostro recente articolo, abbiamo fatto esplicito riferimento a queste incresciose situazioni e a queste novità. In base alle notizie circolate, l’industria tedesca offrirebbe all’esercito italiano circa 500 cingolati corazzati Lynx per la fanteria, offrendo soltanto un ritorno compensativo, un offset del 70%.
Converrà accettare una tale inadeguata proposta oppure alzare la richiesta o, meglio ancora, procedere a un’offerta di investimento per sviluppo, progettazione e produzione ad altri Paesi, compresi quelli sopra citati, onde non disperdere le acquisizioni tecnologiche che si avrebbero con il main battle tank (che in Italia dovrà sostituire i pochi Ariete, in Spagna i Leopard e in Polonia i carri di costruzione sovietica) che verrebbero così proficuamente utilizzate in parte a cascata?
Non sarebbe questo secondo cartello di alleanza politico-industriale un potente comun denominatore di massimizzazione di risorse finanziarie e investimenti produttivi e di crescita per ciascuno di essi e atto a conseguire una posizione di ben minore subalternità interna?
In particolare, per l’Italia, dopo tante risorse spese per conservate una nicchia di capacità produttiva quale polo tecnologico nazionale di riferimento (consorzio IVECO DEFENSE e OTO LEONARDO), nicchia rinnovata e rilanciata fino ad oggi a livello internazionale nella produzione e acquisizione di nuovi mezzi blindati (Centauro e derivati e minori), si correrebbe il concreto rischio che tale investimento andrebbe altrimenti e assurdamente e necessariamente marginalizzato e declassato?
Bisogna continuare ad agire come per il futuro aereo di sesta generazione Tempest con Regno Unito e Svezia, come per i cacciatorpediniere Orizzonte e le Fremm con la Francia e le future corvette con Francia e altre Nazioni ancora, per i sommergibili con la Germania, il tutto con il colosso italiano e europeo Fincantieri, per gli indispensabili missili antiaerei e antimissili Aster e i siluri leggeri e i satelliti da ricognizione con la Francia, per i missili aria-aria Meteor e gli UAV più importanti con più nazioni europee (tutte produzioni o progetti sempre con Leonardo o società partecipate), oppure, nel campo terrestre illogicamente e assurdamente si vorrà far nascere la definitiva supremazia industriale del duopolio franco-tedesco, e ratificare con scelte miopi se non scellerate e autolesioniste oltre che economicamente distruttive la definitiva subalternità della ricerca e dell’industria italiana, oltre che dell’esercito?