24 Aprile 2002
Domenico Cambareri
(fonte: Parvapolis)
Riformismo, difesa dei traguardi sociali, sciopero generale e scioperi corporativi: la “questione sociale” ed il ruolo della destra nazionale
Per quanto le questioni della politica sociale vedano coinvolte direttamente le diverse forze dello schieramento politico al governo, e per quanto non si può sottacere che il tema della governabilità è direttamente legato alla riuscita del dialogo fra governo e parti sociali, si nota come frequentemente molti commentatori dicono quel che dicono con molto loro piacimento e interesse di parte in termini di aperta faziosità. Ad esempio, si riscontra come poco e nulla continua ad essere detto circa il ruolo e i compiti dei sindacati, sicché ancora si dà l’impressione che il ruolo di chi governa debba rimanere sub iudicio e debba ricevere la sanzione da organismi affatto differenti, sulla cui funzionalità e sul cui ruolo viene fino ad oggi messa a dormire l’applicazione di norme costituzionali.
Infatti, per come ha detto all’indomani dello sciopero generale del 16 aprile il capo della UIL, consono nei toni, nei presupposti ideologici e nei fini triconfederali, cioè che il governo deve dare risposta ai milioni di scioperanti, si lascia volutamente intendere che l’adesione allo sciopero sia da vedere come legittimazione politica formalmente concorrente alla legittimazione del voto politico.
Si continua, quindi, a marciare, da parte dei sindacalisti italiani, su territori completamente a loro vietati dalle regole liberaldemocratiche.
Quello che qui mi preme però sottolineare è come la questione della difesa dei “traguardi sociali” raggiunti abbia trovato orecchie sensibili e interlocutori interessati anche all’interno di più soggetti del Polo delle Libertà, come ad esempio fra gli ex democristiani del CCD, della CDU e della neonata e corteggiante formazione di DE, fondata e capeggiata dall’ex leader Cisl e triconfederale D’Antona. Ma anche all’interno di AN. D’altronde, questo era prevedibile in quanto le formazioni politiche con un retroterra storico, ideale e ideologico del Polo sono soltanto queste, dal momento che tanto Forza Italia quanto la Lega, sia pure in modi assolutamente diversi, rappresentano espressioni legate a forme contingenti per quanto forti e irruente di stratificazioni settoriali e territoriali di insofferenze e di reazione, al loro interno culturalmente, politicamente e ideologicamente eterogenee, della crisi dell’odierna realtà politica nazionale.
È infatti venuta da più parti, all’interno di AN, e segnatamente da Alemanno, la richiesta di trovare forme conciliative con le rappresentanze sociali e di salvaguardare il più possibile gli standard nazionali raggiunti nel contesto socioeconomico.
Per quanto AN abbia continuato e continui a professarsi forza politica di destra con grande animo sociale a cui non vuole per tradizione e per convincimento ideologico rinunciare, e per quanto io non mi trovi affatto lontano per convincimento personale e politico da questa posizione, è necessario e urgente dire che la questione deve essere ben posta. E ciò sinora non è stato fatto per molteplici motivi, anche apparentemente estrinseci, non ultimo quello di non essere riusciti, Berlusconi e i suoi, a creare un sindacato più direttamente legato a questo schieramento politico, ovvero a portare su questa posizione, in maniera ufficiale, la CISL e la UIL. Sì esistono la UGL, organizzazione sindacale di destra, tradizionalmente vicina ad AN, e diverse organizzazioni autonome, ma ciò purtroppo non ha portato ad un cambiamento radicale della geografia sindacale. Anzi, le grandi confederazioni legate alla tradizione dei trascorsi decenni “di lotte e di vittorie”, hanno resistito alla crisi dei grandi partiti dei primi anni novanta e alla crisi e spesso al collasso delle organizzazioni sindacali piccole e autonome.
Il problema della salvaguardia del dialogo e dei livelli di difesa sociale raggiunti, costituisce in effetti uno dei più delicati crinali del confronto politico e della riuscita della stagione delle riforme.
Partire col presupposto che il governo debba dialogare e trattare sempre e comunque, costi quel che costi, con le grandi organizzazioni sindacali, è un inammissibile errore che porterebbe alla mummificazione e all’emarginazione definitiva della società italiana dai grandi processi di trasformazione e di innovazione delle altre società dell’Unione Europea.
Per quanto la logica che porta alla nascita delle correnti politiche sia legata anche a motivazioni e a giustificazioni di tipo ideologico più o meno improprie, male fanno Alemanno e gli altri a spingere in questa direzione. Spero che Storace sappia mitigare e al limite smussare con forza interpretazioni, impegni e applicazioni di tale tipo in termini di richiesta politica all’interno di AN e del Polo, quanto che Fini sappia traghettare verso il “nuovo” della progettazione di riforme aventi finalità di equilibri e di standard sociali affatto diversi da quelli a carattere di socialismo reale oggi presenti. Meraviglia poi mi fa, che esponenti come Fisichella, il cui pensiero si nutre di tutt’altre idee e la cui conoscenza storica e culturale è molto più approfondita rispetto a giovani esponenti che, per quanto ministri, spesso riecheggiano acriticamente, passionalmente e “movimentisticamente” slogan che andrebbero ben bene dissezionati, e che cozzano contro le peculiarità ideologiche della solidarietà sociale e delle tematiche della “comunità” vista da destra, che preserva e difende in maniera assolutamente convinta e chiara ogni idea di promiscuità e di indifferenziazione e quindi di difesa del ruolo delle peculiarità qualitative delle molteplici forme di attività lavorative, si siano allineati su posizioni così retrò. Potrei capire e capisco le aperture interpretative e storiche di Giano Accame in tal senso – il quale è però attento nello specificare e nel porre i ma e i se – ma la questione in quanto tale assume oramai rilievo centrale nel chiarimento a destra.
Con una battuta, feroce ma fondamentalmente veritiera, dico che i comunisti in quarant’anni di egemonia hanno comunistizzato i cervelli di tutti, e solo pochi sono riusciti a sopravvivere a questa riplasmazione in negativo delle loro categorie mentali. Perciò, e men che mai per il grado di cultura spesso non particolarmente elevato, neanche gli esponenti della Destra, giovani e meno giovani, si sono sottratti a questo processo di cui oggi subiscono condizionamenti inconsci a tutti i livelli.
Il chiarimento della questione qui implica e presuppone la conoscenza di che cosa si vuole difendere degli standard dei “livelli sociali” raggiunti nei trascorsi decenni. Altrimenti, il discorso rischia di diventare un dialogo tra sordi o tra persone che sanno e altre che equivocano e scambiano gli obiettivi futuri per gli obiettivi raggiunti negli anni settanta-ottanta.
Solo affrontando questi contesti tanto essenziali quanto introduttivi al tema delle riforme, tanto AN quanto i suoi alleati potranno agire in senso di efficace rinnovamento. Efficace rinnovamento a cui sono in effetti in non pochi a lottare all’interno del Polo, giacché gruppi politicamente forti e nutriti da decenni di trascorsa militanza ed esperienza di governo della DC e delle sinistre oggi palesano idee in tal senso. Basti citare, con le pressanti e strumentali richieste di dialogo conciliativo “a perdere” del governo con le parti sociali, i numerosi interventi dell’asse CCD-CDU e dell’appendice, in questa materia pericolosissima, di Democrazia Europea. Ogni arretramento in tema di riforme, di riscatto e di giustizia sociale per tutte quelle categorie a cui è stato negato tutto dal sovietismo sindacale – i professori delle superiori e delle medie, i laureati in generale, i “quadri” che non vedono applicato il contratto sulla loro figura, i ministeriali, le sacche del ceto operaio come quelle tessili che godono di condizioni assolutamente differenziate in negativo rispetto ai metalmeccanici, i giovani che si avviano al lavoro oggi -, sovietismo sindacale che ha dimezzato retribuzioni di taluni e accresciuto a dismisura quelle di altri e che ha mortificato e condannato ogni riconoscimento dei livelli qualitativi e intellettuali nella prestazione del lavoro ad eccezione di categorie che si sono riscattate in certi modi, come quella dei magistrati, sovietismo sindacale oggi pericolosamente riaffiorato.
Il tema della conquista di livelli elevati della “socialità collettiva” deve essere riavviato entro un quadro di rifondazione civile della nazione, entro un quadro di virtuosismo finanziario e di ripristinata legittimità della difesa di tutte le attività di lavoro, e non solo di alcune, del riconoscimento a quanti sono stati sfruttati da contratti di lavoro collettivi al recupero almeno parziale dell’impoverimento arrecato da decenni di classismo alla rovescia, del riportare le condizioni retributive a criteri di allineamento europeo e di ripristino dei famosi agganci che per decenni, dall’Italia prefascista all’Italia fascista all’Italia postfascista – sono stati espressione di condizioni di equilibrio e di armonia fra gli impieghi e le professioni statali. In questa ottica, con forte volontà e con immediatezza, ad esempio, questo governo deve abolire la legge sulla dirigenza fatta con spirito corrivo, bieco e classista dai governi della sinistra e della blasonata tradizione della “nomenklatura” per asservire al carro del potere esecutivo la dirigenza pubblica “privatizzata” con retribuzioni elevatissime, assolutamente improponibili nell’ottica degli equilibri retributivi complessivi a cui facciamo riferimento, e così squilibrare e spaccare tutta la macchina pubblica.
Per ritornare ancora una volta specificamente ad AN, è bene spingersi oltre le definizioni generali delle individuazioni correntizie, giacché la posizione assunta da Matteoli, Urso e Nania, programmaticamente non liberista, riconosce l’impellenza delle riforme strutturali a largo respiro, impellenza che va attuata con regole precise, non stataliste e di carattere concorrenziale. Ciò non significa assolutizzare questo assunto e farne una regola generale, come vorrebbero alcuni circoli politici di Forza Italia, i quali mettono il credo del profitto dinanzi ad ogni cosa (il caso esemplare della Scuola, su cui Alleanza Nazionale, anche senza voler scimmiottare lo statalismo di comodo e di rendita delle sinistre, deve stare ben attenta a quel che dice, che fa e a non abdicare al suo ruolo con dei sì a Forza Italia assolutamente distruttivi nel tempo). La posizione degli amici di Fini, con Gasparri, La Russa e tanti altri deve uscire allo scoperto dal pragmatismo che la informa che, se pure ritenuta anche da me necessaria, non risolve i problemi generali e non fornisce condizioni di valutazioni oggettive su di un piano di strategia politico-economica: il pragmatismo deve necessariamente essere espressione di valutazione di calcoli in base agli ambiti di cui si discorre e su cui si è chiamati a decidere. E se non si conoscono effettivamente i problemi della Nazione e delle singole categorie nello specifico, si rischia di fare tutto fuorché sano pragmatismo. Il ruolo di mediazione finora svolto in tante condizioni da Maceratini e dai suoi amici va rilanciato, ma in termini chiari, affinché non vi siano malintese difese dei livelli della “socialità”, così come ha fatto con qualche scivolone non solo Alemanno. E la capacità di Maceratini è da mettere in conto in questo momento, purché egli sappia imprimere una svolta nel linguaggio e nella ricerca degli strumenti di attuazione necessari a quanti lo attorniano. Su Storace, ho già detto.
E’ bene che Alleanza Nazionale in particolare, e il Polo nel suo complesso, riflettano e arrivino a sagge decisioni in breve tempo, sconfessando ulteriori logiche trasformiste e di imbarco di sempre nuove ciurme. Perché, altrimenti, dal trasformismo di una rivoluzione parolaia, si passerebbe in men che non si dica e in quello che è un effettivo possibile ultimo sviluppo: il continuismo di uomini, modelli concreti, strutture di pensiero.
-
Articoli correlati
Latina. Sciopero generale e fallimento del fronte antiriformista: il significato politico del
ParvapoliS