Scelte politiche e irrinunciabilità allo sviluppo autostradale nazionale

09 Maggio 2009
Carlo Sgandurra
Le infrastrutture e le relative politiche pubbliche: il settore auto-stradale
1) Premessa: l’infrastruttura a supporto della crescita economica e dell’integrazione sociale. Conviene partire da taluni concetti fondamentali. Non certo per pedanteria, tutt’altro: tali concetti rappresentano proprio quei principi che devono essere tenuti costantemente presenti nell’azione di ogni soggetto inserito nella collettività organizzata, sia esso istituzionale o imprenditoriale. Ciò che è importante, ciò che è “pre-supposto”, è anche “nascosto”: da qui il rischio di dimenticarcene.
L’infrastruttura, intesa come opera ingegneristica – ma anche come “opera d’arte”, si dice in gergo: e sono opere d’arte a pieno titolo i ponti, i viadotti e le gallerie che consentono di attraversare un territorio orograficamente assai difficile, quale quello italiano – è senza dubbio un risultato: risultato di una complessa e lunga attività che coinvolge molteplici professionalità.
Però l’infrastruttura, vista come elemento della vita di una collettività umana organizzata, non è (non dovrebbe essere) un risultato: è (dovrebbe essere) uno strumento, un mezzo per il raggiungimento di un obiettivo. Il fine vero e proprio non può che individuarsi negli spostamenti di persone e cose assicurati dalla strada, o dalla ferrovia, o dal porto: cioè nella mobilità consentita dall’infrastruttura.
Nelle società contemporanee la mobilità è un bisogno prioritario. Oltretutto, è un bisogno crescente: nemmeno la “rivoluzione” insita nell’uso generalizzato delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione può contenere tale esigenza. Ad esempio, l’eventuale riduzione dei trasferimenti di persone casa-lavoro determinata dal telelevoro è (e sarà) più che compensata dallo straordinario aumento degli spostamenti di merci conseguente ad una globalizzazione economica che ha, come elementi caratterizzanti, le delocalizzazioni produttive e l’implementazione di capillari reti distributive.
Insomma, senza una mobilità efficiente non si ha sviluppo economico; essa è senz’altro una delle precondizioni per la promozione di un duraturo ciclo di sviluppo, per l’espansione dell’occupazione (segnatamente di quella specializzata), per l’innalzamento delle capacità concorrenziali e tecnologiche.
L’infrastruttura deve essere funzionale a questa esigenza, ed è essenziale che il nesso non venga mai meno. Aggiungiamo, poi, che una “cattiva infrastrutturazione” – operata, cioè, senza tenere nel giusto conto i bisogni di mobilità espressi dal territorio di riferimento – non solo non è migliorativa, ma è altamente dannosa per il sistema complessivo.
Ancora una volta, un esempio può meglio illustrare i concetti.
Preesistendo un asse (diciamo stradale) che collega A con D passando attraverso BC, viene costruita una nuova linea ferroviaria tra B e C. L’effetto positivo indotto sull’economia delle due aree “B” e “C”, in termini di intensificazione degli scambi commerciali, aumento delle opportunità di business e attrazione di insediamenti produttivi dalla regione circostante, è sicuro (anche se di problematica quantificazione). È altrettanto sicura, quale diretta conseguenza di questo sviluppo economico, una maggiore domanda di mobilità (ossia una crescita dei flussi) tra “A” e “B”, come pure tra “C” e “D”. Se già la strada era in condizioni di traffico prossime alla saturazione, si può verificare – e di fatto si verifica – un totale collasso, con pesanti rallentamenti e forte scadimento della qualità degli spostamenti tra “A” e “D”. Paradossalmente, un miglioramento (parziale) delle infrastrutture ha portato a un peggioramento (complessivo) della mobilità. e
Il discorso manifestamente si complica, imponendoci di superare un approccio tradizionale, confinato a schemi direttivi strettamente modali, per sostenere un orientamento multimodale. Bisogna individuare nelle singole reti modali (strada, ferrovia, vie navigabili, porti, aeroporti) gli elementi – esistenti o da realizzare – che rivestono un interesse comune ai fini di mobilità. La realizzazione dei nodi, il rafforzamento delle connessioni intermodali, l’attuazione dell’interoperabilità tra reti diverse sono tutte azioni indispensabili al raggiungimento dell’obiettivo e che attestano la natura altamente “di sistema” delle problematiche di mobilità.
2) L’infrastruttura stradale, in particolare.
Piace ricordare che l’infrastruttura stradale ha questo di peculiare (di straordinario, verrebbe da dire): è uno strumento di libertà, oltre che di mobilità. Può infatti essere percorsa con ogni mezzo, con ogni veicolo in commercio; può essere presa e abbandonata a piacimento, consente un numero indefinito di soste e fermate, a totale arbitrio del viaggiatore. Nessun’altra modalità trasportistica ha una libertà di tale ampiezza: negli altri casi il viaggiatore è vincolato alla partenza e all’andatura, rigorosamente predefinita, di un mezzo condotto da un professionista.
L’autostrada poi, in quanto strada “specializzata” dedicata a determinate categorie veicolari, rappresenta, nella storia della tecnica e dell’economia del XX secolo, un’innovazione che non è esagerato definire geniale, di matrice prettamente italiana. In Italia fu infatti sperimentato – per la prima volta in tutto il mondo – il concetto di separazione del traffico secondo le sue caratteristiche di fondo, tra le quali, in primo luogo, la velocità di scorrimento. Il primato dell’Italia in questo settore è stato tale che molte lingue europee, per indicare le autostrade, hanno adottato termini che altro non sono che l’esatta trasposizione della parola italiana: espressioni che, dalla Autobahn tedesca alla autoroute francese, fino alla autopistaAutostrade dei Laghi” intese come vie caratterizzate da un’alta velocità di scorrimento delle sole vetture e finalizzate ad un rapido trasporto di merci e uomini, da costruirsi, per quanto possibile, in linea retta e senza ostacoli; tale progetto incontrò subito il favore generale al punto da divenire immediatamente operativo (il primo ramo delle Autostrade dei Laghi, tra Milano e Varese, venne inaugurato nel settembre 1924, a distanza di soli 20 mesi dalla pubblicazione del progetto) e da dare impulso alla redazione di progetti analoghi per altre parti della Penisola. spagnola, sono tutte traduzioni letterali dell’italiano “autostrada”. La prima volta in cui venne utilizzato il termine “autostrada” in un documento ufficiale fu nel gennaio 1922, quando un Senatore del Regno e ingegnere civile, Piero Puricelli, pubblicò un progetto teso a potenziare la viabilità a scorrimento veloce nella zona compresa tra Milano e i laghi lombardi. La Relazione Puricelli illustrava appunto un progetto di ”
3) Ancora sull’infrastruttura come strumento di mobilità.
Aggiungiamo che il rapporto “vitale e primario” – quello tra infrastruttura e mobilità, con la prima strumentale alla seconda – deve permeare tutte le fasi dell’infrastrutturazione: non soltanto la pianificazione/progettazione/costruzione, ma anche la gestione dell’infrastruttura in esercizio impatta (in positivo o in negativo) sui livelli qualitativi e quantitativi di mobilità.
In altre parole, se è evidente che la scelta strategica della realizzazione di un nuovo asse di collegamento va ad incidere sulle condizioni di mobilità dell’intero territorio, deve essere parimenti acquisito alla consapevolezza degli operatori che la gestione dell’infrastruttura ormai costruita appare, al riguardo, (almeno) altrettanto importante. Nella “gestione” facciamo infatti rientrare:
· la manutenzione/esercizio dell’infrastruttura;
· la sorveglianza/controllo sugli utenti dell’infrastruttura;
· l’intervento nelle emergenze.
Sono tutte attività che determinano il livello di utilizzabilità dell’infrastruttura stessa: in definitiva, la possibilità che l’infrastruttura assolva al suo compito di garanzia degli spostamenti, della mobilità. Non sono discorsi astratti: vuol dire che anche le scelte operative immediate, i “prodotti” delle attività appena elencate (emblematicamente: il cantiere, il posto di blocco della polizia, il soccorso alle vittime di incidente), utilizzino modalità, tecniche, accorgimenti tali da comportare – a parità di ogni altra condizione – il minore impedimento possibile alla piena fruibilità dell’infrastruttura. Vuol dire, inoltre, che la mobilità di persone e cose deve essere, quanto più è possibile, assistita in maniera tale da supportare le esigenze connesse agli spostamenti; e qui si entra nel vasto campo di indagine della gestione stradale come servizio a un’utenza (in funzione di una mobilità sicura, di qualità e – al limite – piacevole).
4) Lo strumento della concessione.
È opportuno un cenno all’istituto della concessione.
La realizzazione di un’infrastruttura (autostradale) richiede, com’è noto, enormi investimenti. Inoltre è un investimento il cui “beneficio” per la collettività emerge, se emerge, solo nel lungo periodo. Politicamente, i Governi esiterebbero a sottrarre fondi ad altri settori – sanità, scuola, sicurezza pubblica – il cui impatto sociale è invece istantaneamente percepibile.
Per sopperire alle difficoltà nel reperimento delle risorse si adopera appunto (fin dagli anni ’60) lo strumento della concessione. Si tratta, in buona sostanza, di un accordo stipulato con un soggetto imprenditoriale mediante il quale si disciplina l’attività di costruzione dell’infrastruttura attraverso una compartecipazione di risorse pubbliche e private, prevedendo un ritorno del capitale investito dal privato attraverso il pedaggio e un piano finanziario di ammortamento.
Quella or ora descritta è la concessione di costruzione e gestione, impiegata per la quasi totalità delle autostrade italiane, ad eccezione di quelle realizzate direttamente dall’ANAS (Salerno- Reggio Calabria, Grande Raccordo Anulare di Roma, Autostrade Siciliane).
Sottolineiamo – ricollegandoci ai concetti precedenti – che è importantissimo che il concessionario tenga ben presenti, nella sua attività di gestione:
v la strumentalità dell’infrastruttura ai bisogni di mobilità dell’utenza;
v la conoscenza, lo studio, il monitoraggio e l’approfondimento di quegli elementi della dinamicità del traffico utili per le successive pianificazioni (il concessionario, che conosce meglio di chiunque altro i flussi di mobilità perché ha un preciso interesse commerciale in materia, deve mettere queste informazioni a disposizione del concedente, in vista del processo decisionale che porterà a infrastrutturazioni future).
5) Aspetti qualificanti nelle politiche infrastrutturali.
Una rassegna sui principi che dovrebbero guidare l’infrastrutturazione in funzione dei risultati attesi, può ricondursi:
Ÿ alla sensibilità al tema della ripresa infrastrutturale;
Ÿ al federalismo infrastrutturale;
Ÿ al diritto alla mobilità in genere;
Ÿ all’ intermodalità, con particolare riferimento alla ricerca e innovazione in materia.
Un primo punto degno di nota, perché finalizzato all’infrastrutturazione, è nella rimessa in moto della Legge Obiettivo: già l’attuale quadro normativo prevede che vengano finanziate opere strategiche della Legge Obiettivo attraverso la concessione di contributi quindicennali. E il Documento di Programmazione Economico-Finanziaria per gli anni 2008-2011 rilevava come dal quadro dello stato di avanzamento del 1° Programma delle infrastrutture strategiche di Legge Obiettivo e dei relativi fabbisogni finanziari fossero emerse le seguenti esigenze: à realizzare le opere già approvate, da attivare o in corso, risolvendo le criticità finanziarie e attuative riscontrate in sede di monitoraggio del Programma medesimo; à aggiornare il quadro delle priorità di sviluppo infrastrutturale del Paese attraverso il confronto e la condivisione con le Regioni, gli Enti locali e territoriali, prima di assumere ulteriori impegni finanziari per ulteriori progetti. Il Piano generale ‘Infrastrutture Prioritarie’, elaborato a seguito del confronto con i singoli territori, ha definito le opere ritenute irrinunciabili per ciascuna Regione italiana. Il suddetto Piano generale ha individuato i criteri di priorità che dovranno conformare la proposta di programmazione degli interventi infrastrutturali per i prossimi anni: la condivisione tra i livelli istituzionali (nazionale, regionale e subregionale) della gerarchia delle priorità di intervento; la coerenza con il disegno generale di programmazione dello sviluppo del territorio nazionale; lo stato di avanzamento e i livelli di sostenibilità complessiva degli interventi, nonché la compatibilità delle scelte con le risorse effettivamente disponibili e i tempi individuati per il loro impiego.
È necessario sottolineare come il raccordo con il livello politico-amministrativo locale debba assurgere a elemento caratterizzante delle future scelte infrastrutturali.
Su quest’ultima lunghezza d’onda è bene che si sintonizzino le future iniziative pubbliche mediante un “aggiornamento” del concetto stesso di concessione in rapporto a mutate condizioni politico-sociali che, appunto, assegnino rilievo crescente alle istanze provenienti dalle diversificate realtà territoriali.
È il principio del “federalismo infrastrutturale”, secondo cui la realizzazione di importanti arterie viarie può avvenire attraverso l’opera di un organismo misto tra l’ANAS e le Regioni di volta in volta interessate, per semplificare le procedure autorizzative e consentire una più massiccia e qualificata partecipazione dei soggetti attuatori diversi dalle Amministrazioni centrali dello Stato. Un punto di grande rilievo, giacché anche la pianificazione dell’infrastruttura sembra ancorarsi al contesto locale, laddove il processo di pianificazione, in passato, era svolto in maniera accentrata dall’Ente di Stato (ANAS) come supporto al Governo, con l’Ente medesimo che si faceva carico di tener conto dei rapporti con le realtà locali.
Esempi di primi passi in questa direzione:
– le attività di gestione e manutenzione del raccordo autostradale di collegamento tra l’Autostrada A4 tronco Venezia- Trieste, delle opere complementari, nonché della tratta autostradale Venezia- Padova, sono trasferite, una volta completati i lavori di costruzione, ad una s.p.a. costituita pariteticamente tra ANAS e Regione Veneto;
– è stata costituita la società CAL (Concessioni Autostradali Lombarde), controllata pariteticamente da ANAS e Infrastrutture Lombarde s.p.a., per la realizzazione dei progetti infrastrutturali in Lombardia, includente nel proprio perimetro anche il collegamento autostradale tra Brescia e Milano. La società CAL, subentrata all’ANAS nelle funzioni di soggetto concedente, ha sottoscritto il 26 marzo 2007 la nuova convenzione unica ai sensi della legge 24 novembre 2006, n. 286 con la società concessionaria ATI Bre.Be.Mi. s.p.a., per l’affidamento della progettazione costruzione e gestione del predetto collegamento autostradale.
Ma se l’infrastruttura è funzionale ad un’esigenza più grande (la mobilità quale bisogno della società e dell’economia), gli interventi pubblici nel settore infrastrutturale non possono non essere permeati dal concetto del « Diritto alla mobilità », così sancendone la portata anche ‘valoriale’. È un nuovo approccio metodologico, che sembra addirittura suscettibile di ridefinire talune categorie giuridiche fondamentali. Le diverse modalità trasportistiche si manifestano in una serie di relazioni tra uomo e mezzi utilizzate per promuovere le libertà, tra cui, appunto, quelle di mobilità (e di circolazione delle merci). Quanto al profilo collettivo, i trasporti si manifestano in modo più complesso, non solo nei rapporti interpersonali della vita comune ma anche nelle istituzioni; la collettività esce dallo stato atomizzato della convivenza occasionale, si consolida all’interno di strutture ad hoc e i trasporti emergono allora come aspetto qualificante della dimensione collettiva. I diritti che ne risultano costituiscono così un aspetto centrale dello sviluppo e le libertà ne diventano un elemento costitutivo per cui si tratta, al tempo stesso, di riconoscere sia la centralità delle libertà individuali, sia la forza delle influenze sociali sulla loro portata.
Ed è oltremodo significativo che gli stessi interventi pubblici contengano previsioni a favore dell’intermodalità: giacché, come si diceva all’inizio, la mobilità – proprio perché “sistema” – è soprattutto questione di dialogo e armonizzazione tra reti diverse.
Si può così pensare a misure quali:
Ø incentivi per l’utilizzo delle cosiddette autostrade del mare;
Ø contributi all’acquisizione di beni di investimento per il trasporto di merci per ferrovia (casse mobili, gru, container per Merci Pericolose, ecc.);
Ø contributi alle imprese ferroviarie per progetti di sviluppo del trasporto combinato;
Ø sostegno alla ricerca e alla formazione nel sistema dei trasporti, in particolare per la realizzazione di:
Ÿ un sistema informativo europeo interconnesso al sistema interportuale e agli interporti;
Ÿ un sistema di supporto all’intermodalità strada-ferrovia per consentire all’autotrasportatore di scegliere tenendo conto delle alternative modali, tratta per tratta, degli orari, dei prezzi e della disponibilità di stiva o vagone, fino alla prenotazione e all’acquisto del passaggio;
Ÿ azioni di trasferimento modale dalla strada ai servizi marittimi e ferroviari per realizzare l’obiettivo di riorganizzare il trasporto delle merci e l’intermodalità mare-terra.
Tutte le predette misure hanno anche dirette finalità di riduzione dell’inquinamento, a conferma del fatto che la mobilità può dirsi effettivamente tale solo se “sostenibile”. La mobilità sostenibile non indica soltanto una mera compatibilità del trasporto con l’ambiente ma è soprattutto un principio di organizzazione del sistema dei trasporti, che si prefigge l’ottimizzazione del consumo di energia, dei tempi, delle percorrenze; ne diventano strumenti, sul piano sistemico, l’interoperabilità, l’intermodalità e il trasporto combinato.

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