Unione Europea, ecco delineati gli assetti politici più alti. Speriamo senza più ricatti e veti

27 Ottobre 2009
Fonte: Affari Internazionali rivista online di strategia, politica ed economia

Unione europea
L’Europa della Quadriga

Stefano Silvestri
26/10/2009
Nella nuova Unione Europea del Trattato di Lisbona, la vecchia “trojka” cederà il passo alla nuova “quadriga”: una simbologia certo molto più gloriosa, legata al carro del Sole ed ai trionfi degli imperatori romani. Ma l’auriga dovrà fare molta attenzione per evitare la fine di Fetonte, lo sconsiderato figlio di Apollo che non riuscì a controllare i cavalli affidatigli dal padre e dovette essere abbattuto da Zeus, per salvare la Terra. Il fatto è che oggi non sappiamo neanche bene chi terrà in mano le redini.
A capo dell’Unione sembrerebbe esserci la nuova figura del Presidente del Consiglio europeo, eletto a maggioranza qualificata, per due anni e mezzo rinnovabili, dai Capi di stato e di governo membri del Consiglio. Egli presiede il Consiglio stesso, ne assicura la preparazione e la continuità dei lavori, ma “in cooperazione con il presidente della Commissione” e sulla base del lavoro preparatorio del Consiglio “Affari generali”. Il nuovo Presidente si adopererà quindi per facilitare la coesione e il consenso del Consiglio e poi, dopo ogni riunione, si recherà al Parlamento europeo per riferire delle decisioni prese.
Inoltre, il Presidente del Consiglio europeo assicurerà, “al suo livello e in tale veste”, la rappresentanza esterna dell’Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune, tuttavia il Trattato specifica anche che sono “fatte salve le attribuzioni dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza” (art 9, B). In pratica, ciò significa che un Presidente che volesse “comandare”, o anche solo agire, finirebbe per trovarsi di volta in volta in competizione con il Presidente della Commissione o con l’Alto rappresentante, o con ambedue. Come se non bastasse, talvolta il nuovo Presidente potrebbe dover fare i conti anche con il protagonismo e con le scelte politiche del governo del paese che, ogni sei mesi, continuerà ad assicurare la presidenza “di turno” dell’Unione in tutti quei casi in cui essa non spetti al nuovo Presidente “permanente” o al nuovo Alto rappresentante, incluso quel Consiglio Affari generali che deve preparare i lavori del Consiglio europeo.
Il destriero di mister Pesc
L’Alto rappresentante, per parte sua, viene nominato con un voto a maggioranza all’interno del Consiglio europeo (con l’accordo del Presidente della Commissione) e con la successiva approvazione da parte del Parlamento europeo. Egli ha poteri molto estesi e significativi: guida ovviamente la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione, ma anche, fatto non secondario, la politica di sicurezza e di difesa comune, svolgendo quindi anche il ruolo suppletivo dell’ancora inesistente ministro della Difesa europea. Contribuisce all’elaborazione di dette politiche e le attua in nome e per conto del Consiglio. Per di più egli presiede il Consiglio “Affari esteri”, che si distingue così dal vecchio Consiglio Affari generali. Sarà l’unico Consiglio che non avrà un ministro, a rotazione semestrale, nel ruolo di presidente. Poiché è anche a capo dell’Agenzia Europea di Difesa, dove si riuniscono i ministri della Difesa, presiederà anche le loro riunioni.
Ma non basta: l’Alto Rappresentante diverrà anche uno dei vicepresidenti della Commissione, con compiti predefiniti di tutto rispetto: vigilerà sulla coerenza dell’azione esterna dell’Unione e assumerà tutte le responsabilità che incombono alla Commissione nel settore delle relazioni esterne, incluso il coordinamento delle azioni esterne degli altri Commissari. Se poi, per caso, il Parlamento europeo decidesse di mandare a casa l’intera Commissione, l’Alto rappresentante perderebbe il posto di vicepresidente del collegio, ma non quello di Presidente del Consiglio esteri. Paradossalmente, egli potrebbe così continuare ad operare come responsabile della politica estera e di sicurezza, almeno fino a che non venisse dimesso dal Consiglio europeo. Non è ancora chiaro se il costituendo “servizio per l’azione esterna” dell’Unione (il nuovo ministero degli Esteri europeo) dipenderà unicamente da lui/lei, ma è molto probabile e logico che sarà al suo, anche se non esclusivo, servizio.
Ecco dunque come sarà formata la nuova allegra brigata, i cavalli della quadriga: Presidente “permanente”, Presidente “di turno”, Presidente della Commissione e Alto rappresentante. Tutti uguali, impegnati a tirare ognuno dalla sua parte, o qualcuno riuscirà a tenere le redini? C’era un tempo, nella Repubblica Popolare Cinese, in cui si diceva che il vero padrone della Cina era il vicepresidente della Commissione Militare del Comitato Centrale del Partito Comunista. Applicando quella stessa regola dovremmo pensare che a capo della “quadriga” e dell’Europa dovrebbe risultare l’Alto rappresentante, l’unico ad avere poteri ben definiti, una forte burocrazia ai suoi ordini e il controllo di importanti partite di bilancio, oltre a poter giocare sulla doppia legittimità della sua natura di esponente del Consiglio e membro della Commissione.
Rischio paralisi
Ma l’Ue non è la Cina, né uno stato fortemente accentrato, per cui molto dipenderà dalla personalità dei singoli “cavalli”. È facile ad esempio immaginare che una presidenza di turno francese, britannica o tedesca continuerà a condizionare pesantemente gli altri protagonisti, specie se essi non saranno solidali tra loro. Così, l’idea di applicare una sorta di neo-manuale Cencelli alla scelta dei nuovi presidenti (per cui, se alla Commissione c’è un Presidente vicino ai popolari, la Presidenza “permanente” e l’Alto rappresentante dovrebbero andare a figure gradite alle altre famiglie politiche europee), rischia di essere una ricetta poco lungimirante, che potrebbe indebolire la dimensione europea della quadriga, esponendola ai fulmini dello Zeus di turno. Meglio sarebbe pensare ad un Presidente “permanente” e ad un Alto rappresentante che abbiano già dato prova di saper collaborare o che comunque siano tra loro altamente compatibili.
Altrettanto importante, almeno in questa fase di avvio, sarà la compatibilità tra l’Alto rappresentante e il Presidente della Commissione (di cui l’Alto rappresentante è anche il Vicepresidente più forte e significativo). Una lotta sorda e continua tra i due poteri paralizzerebbe sia la Commissione che la politica estera e di sicurezza dell’Unione e non permetterebbe ai nuovi strumenti (dal “servizio esterno” alla Agenzia di Difesa Europea) di partire con il piede giusto.
Né bisognerebbe lasciarsi andare a troppi voli pindarici sull’alto profilo politico del nuovo Presidente “permanente”. Il Trattato non prevede per lui le attribuzioni di un vero leader e neanche quelle di un “primus inter pares”. Gli mancano l’investitura popolare, il peso della storia e della tradizione e persino i più modesti strumenti amministrativi. Non ha particolari poteri di firma, di voto né tanto meno di veto. È un facilitatore, non un decisore, a meno di non riuscire a tirare dalla sua parte una solida maggioranza del Consiglio o quanto meno un paio degli altri membri della “quadriga”. Siamo insomma di fronte più ad un simbolo che ad un potere operativo, e i candidati andrebbero valutati prima di tutto in questa ottica simbolica.
Un “padre della patria” per Presidente, dunque, ma un energico e forte conoscitore delle realtà politiche e amministrative dell’Unione come Alto rappresentante, che abbia la capacità (anche fisica) e la voglia di prendere in mano l’eredità positiva accumulata in questi anni da Javier Solana Madariaga, aggiungendovi il peso di una molto più forte macchina burocratica e di numerosi strumenti operativi, in grado di stabilire subito un buon rapporto di collaborazione con il Presidente della Commissione Manuel Durrão Barroso.
A queste condizioni sarà forse possibile alla nuova “quadriga” di correre speditamente per i cieli europei, altrimenti rischierà di rovinare penosamente al suolo, con danno generale.
Stefano Silvestri è presidente dello Iai e direttore di AffarInternazionali.
Vedi anche:
G. Gramaglia: È davvero il momento di Tony Blair?
G. Avery: Il trattato di Lisbona e la nuova diplomazia europea
 

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