Craxi dieci anni dopo. E’ passato ancora troppo poco tempo. I suoi antagonisti e i suoi beneficiati sono ancora dovunque. Siamo nel cuore della cronaca e non della storia
Non importa sapere su chi va e chi non va ad Hammamet per ricordare ed eventualmente esaltare Bettino Craxi. Dei nomi già si sanno, e purtroppo rappresentano il peggio dell’eredità craxiana così come dell’odierna compagine governativa. Come quelli che in essa ricoprono le cariche di ministro del lavoro e di ministro per la funzione pubblica. Costoro fremono troppo, troppo baciati dalla fortuna nei loro trasformismi senza limiti, non meno trasformisti degli ex aguzzini politici di Bettino. Gli uni e gli altri uniti nel vivere sempre all’ombra delle palme del potere.
Dieci anni sono ancora troppo pochi per poter parlare con un minimo di distacco degli anni del governo e della leadership craxiana. In quanto sono troppi, e sono quasi tutti ancora nei gironi dannati del potere politico gli uomini di allora, i suoi avversari a viso aperto, i suoi avversari a mezza voce, i suoi avversari nascosti; i suoi estimatori ed esaltatori che lo osannarono e lo osannano per i benefici che sparse a piene mani senza mai avvedersi delle persone a cui elargiva, se fossero costoto solo settari socialisti interessati alla cuccagna del momento o socialisti dotati di senso etico e di senso dello Stato.
Non importa cosa dice De Mita. Non importa cosa dice D’Alema. Tra il grande barone campano (di cui Mastella non è altro che il sottoprodotto politico degenere della casta feudale fuori tempo dei boiardi DC meridionali) e il pernicioso baffetto scossa elettrica corre poca differenza. Essi sono stati espressione delle forme esasperate della lotta partitocratica (non partitica) di quegli anni, e tali rimangono. Non importa cosa dicono uomini che indossavano toghe e che all’improvviso diventavano dei goleador quando sino a pochi giorni prima erano stati insiginficanti figure in piena riverenza davanti ai politici. Passioni veementi scopertamente interessate e indagini doverose che furono strumentalmente usate per fini di carriera e di successo, ancora oggi sono impossibili da spiegare. I protagonisti occupano scranni a cui si sono cementati.
Possiamo esprimere un giudizio positivo sulla sua strategia politica come sulla sua lungimiranza ( e, simultaneamente, sulla visione retrospettiva della storia politica italiana) tanto da arrivare a chiamare “fratelli” i fascisti dell’altro ieri e i neofascisti di ieri non per puro e cinico calcolo elettorale. Non possiamo al tempo stesso minimizzare il fatto che non riuscì a concepire una strada realizzativa al di fuori del percorso della solita corruzione partitocratica. Per riuscire a superare il fino allora insuperato crinale della concorrenza “a sinistra” del PCI senza perseverare nelle follie di De Martino e poi di Mancini. Ma come fare, altrimenti? Eppure, ancora oggi c’è da ribattere: ma perché mai sempre nell’orma del “vallo partitocratico”?
Questi, gli anni craxiani, sono l’apice del corrivo e distruttivo potere sindacale di cui si intravvede appena, in maniera incerta e non convinta, l’inizio del tramonto. Sono anche gli anni in cui le casse dello Stato sono letteralmente svuotate e le rapine negli enti pubblici, a qualsiasi livello, sono fatti consueti che non richiamano nessun commento, nessuna condanna di ordine morale o di presa di distanza da quanti occupano la maledetta cittadella della politica, ovvero dell’occupazione sistematica delle istituzioni dietro il paravento della democrazia parlamentare e del suffragio elettorale. Eppure, la “questione morale” imperversava e troneggiava sulla stampa politica quotidiana.
Questi sono gli anni in cui la moltiplicazione dei ministeri, dei sottosegretariati, del sottobosco politico assume crescite smisurate. Sono gli anni, questi del governo di Craxi e dei socialisti (primi gli “oppositori” di sinistra) in cui le scuole superiori sono letteralmente disintegrate e l’università trasformata in mangiatoia politica nei modi più incredibili e miserevoli, in aperta e sfrenata concorrenza con i comunisti.
Sono passati troppi pochi anni per poter cominciare a intitolare luoghi pubblici ad un uomo che si sottrasse comunque al corso della giustizia, riconfermando così la convinzione dell’intoccabilità e imperseguibilità per principio (ma non costituzionale) dei capi dell’apparato partitocratico. Riconfermando così che questa “democrazia” nata da un tradimento prima della sconfitta e da una guerra civile sempre negata, è figlia solo di disvalori: quei disvalori partitocratici che riportarono brutalmente l’Italia a prima dell’esperienza fascista. Troppo, troppo pochi anni e troppi contrasti a tinte fosche e troppi coinvolgimenti innominati e passioni vive, interessate e cinicamente operanti che ancora sono sul tappeto del presunto “dibattito” sugli anni di Craxi. Bettino, però, ebbe la coerenza politica e il coraggio di porre la questione palestinese e la questione vicino-orientale e, perciò, mediterranea, su diversa luce sino agli esiti dell’inverecondo confronto alla base Nato di Sigonella con gli americani e… al dover subire l’affronto della violazione della nostra sovranità nazionale perpetrato dagli alleati e amici americani in grande stile, facendo seguire i nostri jet sin sul cielo di Roma da loro caccia a luci spente! Cosa oggi ci può dire su tutto questo invece Silvio Berlusconi, il nostro amico Silvio, l’amico caro di Bettino, se non che continua a squassare le posizioni tradizionali della politica estera italiana e a proclamarsi a oltranza amico degli israeliani e dei progetti sionisti?
Ci sono poi da ricordare due tra i più qualificanti aspetti in positivo delle leadership di Craxi e del suo governo. Primo, la revisione del Concordato, che i successivi governi, di tutti i colori, quelli di Silvio in testa, si sono ben guardati dall’attuare e che in pratica hanno “derubricato” arrecando un criminale vulnus politico allo Stato laico per strumentali traffici con l’oltre Tevere, che certo non favorisce il contenuto della fede cristiana ma soltanto le manifestazioni più passatiste e “interessate” del folklore popolare “tradizionale” non risorgimentale del culto (postlaterano) e della correlativa supremazia storica della chiesa cattolica e degli interessi di altra natura che sistematicamente l’accompagnano. Secondo, il riavvicinamento agli USA e la decisione di accogliere gli euromissili a Comiso, per contrastare la minaccia dell’invasione o “finlandizzazione” sovietica dell’Europa occidentale.
Ecco perché, per tutto questo e non solo per tutto questo, riteniamo ancora prematuro aprire il dibattito. Non vi sono le condizioni minimali per ciò, men che mai per trinciare giudizi politici e per prosciogliere tutti. Siamo ancora nel cuore della cronaca e non della storia, purtroppo. Possiamo solo confermare la nostra condivisione delle parole espresse a chiare lettere dal Capo dello Stato: gli uomini in toga che rappresentavano il popolo italiano, perpetrarono una sistematica azione di accanimento, mai prima vista, contro Bettino Craxi.