EL ALAMEIN, 66° DELL’EROICA BATTAGLIA: DISSENSO E APPELLO AL CAPO DELLO STATO

27 Ottobre 2008

Domenico Cambareri

(fonte: Parvapolis)


 

Ho estremo rispetto per il Capo dello Stato. Ho spesso taciuto, ma non sempre si può tacere. Soprattutto su El Alamein. La guerra fu guerra italiana, di un governo legittimo, di uno Stato sovrano. Il tradimento fu tradimento italiano. Da esso non nacque liberazione alcuna, ma disfatta, umiliazione, guerra fratricida.

Ho estremo rispetto per il Capo dello Stato. Ho spesso taciuto, ma non sempre si può tacere. Soprattutto su El Alamein. In un suo non lontano passaggio, il Capo dello Stato affermava che voltare lo sguardo indietro non serviva e non serve alla costruzione dell’unità europea. In altre e più recenti occasioni, si è appellato ad un più alto senso di coscienza come italiani e come europei. Da italiani, ha affermato, dobbiamo esprimere un rinnovato patriottismo costituzionale. Cose importanti e assolutamente condivisibili. Io non ritengo che costituzionale sia letterale sinonimo di antifascismo e di demagogia retrò. Io non ritengo che sia o sia mai stato compito del Quirinale dettare la scrittura della storia precedente, di cui è testimonianza diretta la serie dei ritriti cliché dei giornalisti Rai che accompagnano la tradizionale parata della festa della Repubblica. Ritengo che, nell’affermare il sano senso del patriottismo costituzionale, la prima cosa e il primo esempio che il Capo dello Stato debba dare e dimostrare è quello di una ritrovata dignità in cui sia senza mezzi termini, senza mezzi equivoci di sorta sanata la frattura storica in cui ancora c’è chi vuole vivere. La guerra fu guerra italiana, di un governo legittimo, di uno Stato sovrano. Il tradimento fu tradimento italiano. Da esso non nacque liberazione alcuna, ma disfatta, umiliazione, guerra fratricida. Abbia questo buon senso, il nostro Capo dello Stato, di alzarsi al di sopra di veteri e cadenti steccati di odio di sola fazione di vinti “vincitori” nella guerra di e fra bande fiancheggiatrici di eserciti stranieri, sempre di vinti. Sempre esclusivamente vinti. Non di vincitori. Nessuna cobelligeranza diplomaticamente e storicamente fondata è data ad uno sconfitto che si arrende senza condizioni. Ulteriore ignominia, ulteriore tradimento questa fantastica cobelligeranza, di uno sconfitto diventato solo fiancheggiatore del vincitore. Abbia il buon senso, il Capo dello Stato, di inaugurare un pellegrinaggio di lutto, sostando, come nella via crucis, in tutte le stazioni di morte dove partigiani ed eserciti vincitori commisero eccidi su cui è stato imposto, anche con lunghe minacce, l’oblìo. La giornata della memoria per le vittime del comunismo italo-titino è stata appena un timido inizio. Abbia il buon senso, il Capo dello Stato, di spalancare le porte del Quirinale ai parenti delle vittime combattenti e non combattenti di quelle nefande stragi. Delle vittime fasciste e delle vittime antifasciste accorse a combattere a Salò per l’Italia. E delle vittime assolutamente innocenti. Abbia il coraggio, il Capo dello Stato, di imboccare e di inaugurare la definitiva pacificazione ossia l’accordare l’animo dei non molti fanatici “liberatori” rimasti con la coscienza più viva della Nazione in cui da anni si ritrovano la gran parte degli antifascisti e dei fascisti di ieri. Il suo predecessore, Carlo Azelio Ciampi, azionista e antifascista, aveva avviato questa coraggiosa e soprattutto doverosa azione. Per questo gli è valso e gli rimane il titolo di Presidente della “cara Patria”. Dimostri, il nostro Capo dello Stato agli amici, alleati e fratelli europei che gli italiani, al di sopra delle loro divisioni e ideologie e fedi, non hanno ancora adesso quattro marce indietro e una marcia avanti. Il caso di Fini e dei suoi amici non può fare neppure testo, fanno parte della cronaca dell’irrilevanza, perché costoro hanno solo marce da sbando. Anche quando si atteggiano a inamidati manichini, come quelli utilizzati nel deserto dai tedeschi e dagli inglesi. Essi sono da considerare sobriamente come un qualcosa di non visto, di assolutamente insignificante. Abbia il buon senso e la doverosa coscienza, il Capo dello Stato, di non ridire le cose che ha detto nel sacro luogo di El Alamein, dove non vi era una commemorazione di partigiani “vincitori” o di ebrei massacrati dai nazisti. Sono cose che non avrebbe dovuto mai dire, de-contestualizzando in maniera irricevibile il perché era lì. Per di più, egli sa bene, come lo sanno gli storici, che gli egiziani ed i popolo arabi aspettavano gli italiani ed i tedeschi come i liberatori del gioco coloniale anglo-francese. Per entrare nel merito di questa de-contestualizzazione, a cui mi ritengo obbligato rispondere, ricordo che il Presidente della Repubblica è stato di recente in visita di Stato, oltre che in Russia, in Finlandia, Nazione sbranata dai sovietici. Nazione poi alleata di tedeschi ed italiani. Nazione in cui non vi fu atto antiebraico segnalato dai sionisti. Inoltre, la negatività del nazismo non è e non è mai stata la risposta a tutti i problemi, a tutte le atrocità, a tutte le ingiustizie. Questo è un giustificazionismo strumentale e infondato. I massacri degli ebrei nacquero nella Russia rivoluzionaria ad opera di ebrei comunisti contro altri ebrei. Il nazismo rappresenta l’epicentro e l’acme estremo di malattie già presenti in Europa, dalla liberale Inghilterra alla Russia zarista e poi sovietica. In tutto questo, gli ebrei furono vittime sin dall’inizio di ideologie diverse di cui il sionismo originario, laico, fu più o meno inconsapevole fomite. Oggi, è incomprensibile fare l’eco all’odierno sionismo mosso da fanatismo ed esclusivismo religioso e da esaltante millenarismo politico così come è pseudo-folkloristico e storicamente e politicamente sconclusionato fare passare dei bambini italiani di confessione ebraica con la keppià e la bandiera israeliana sotto l’arco di Tito ai fori imperiali. Non tutti gli ebrei sono stati o sono sionisti, come durante le guerre giudaiche (un milione di morti all’inizio della seconda metà del I secolo d.C. frutto dell’incontenibile fanatismo religioso di sette terribili e non certo delle legioni romane) non tutti gli ebrei erano giudei di quelle sette effettive responsabili degli esiti sanguinosi e terribili. Non tutto può essere consentito oggi ai sionisti, come di scrivere la storia universale ed ogni storia, a cui tutti si devono attenere, anche se si tratta di mera farneticazione o, nel caso dei cattolici, su chi debbano o non debbano proclamare santo, pena la scomunica lanciata da un qualche israeliano. Tutto questo, con El Alamein non c’entra alcunché. Soprattutto, non c’entra l’accenno alla guerra fascista. Richiudendo il de-contesto, su cui sono stato obbligato a puntualizzare, sappia anche tacere il nostro Capo dello Stato, visto che la fine della seconda guerra mondiale segnò l’avvento della più terribile e duratura tirannia sui popoli dell’Europa orientale. Solo da pochi giorni è stata commemorata l’invasione dell’Ungheria, e da poche settimane quella della Cecoslovacchia, ambedue Nazioni per di più da anni sotto il tallone sovietico. Un terribile regime autocratico aveva già distrutto e continuava a distruggeva ogni aspettativa e palingenesi messianica e mondana delle plebi e dei proletari. La più gigantesca avventura intellettuale si era da tempo tramutata e si tramutava vieppiù in una trappola micidiale, mortale. Anche Ernst Junger, decenni prima, alla vigilia dell’attacco alla Polonia, esprimeva simpatia verso la Russia sovietica, di cui non si conoscevano in Occidente gli stermini, già attuati, di intere popolazioni. Nessuna polemica, doverosissima precisazione, nel massimo rispetto del diritto di esprimere il proprio pensiero. Nessun riferimento personale alla biografia di chi incarna il mio Capo dello Stato, che posso rispettare e non rispettare nelle sue lotte e vicende politiche, e al mio Presidente che profondamente rispetto. Nella ricerca e nel raggiungimento di un effettivo, sano patriottismo nazionale ed europeo. Come già anticipato da chi dedicò la propria vita ai morti e al sacrario di El Alamein, nobile di origine, combattente fiero, “partigiano”, Paolo Caccia Dominioni, che dimostrò di amare la Patria sopra l’odio che rigurgita vendetta senza fine e scodinzola la coda ad ideologie di sangue. Ad El Alamein, come in tutti i campi di battaglia di terra, del mare e del cielo, i soldati italiani scrissero pagine fiere e fulgide di eroismo, che le giovani generazioni hanno il diritto di conoscere sui libri di storia, a scuola. Finalmente. Ma anche al cinema e in televisione. Basta con la farsa della guerra fascista. È per questo che ad El Alamein ci si raccoglie e ci si inginocchia con il tricolore, solo con il tricolore e con l’onore. Il resto, lo si tiene nascosto, per altri luoghi o altri momenti, o altrimenti, per quanto nobile possa apparire, finisce con l’infangare per l’ennesima volta la memoria dei caduti e con il tentare di ridividere gli italiani. E con il ravvivare lo scherno degli altri, dei nipoti, dei pronipoti, dei bisnipoti dei vinti e vincitori.

(leggi anche: Domenico Cambareri, El Alamein, 60° anniversario. 28 Ottobre 2002, fonte Parvapolis, in Documenti e articoli ante 2008)


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