Liberatori. Ricordi sul filo della memoria d’un ragazzo d’allora

27 Aprile 2010

Mario Di Febo

E poi li abbiamo accolti al Colosseo sventolando bandierine e cogliendo al volo le caramelle che i liberatori ci lanciavano dall’alto dei loro carrarmati.

Liberazione & liberatori. Appunti sul filo della memoria d’un ragazzino romano d’allora…..

 

Si era nel ’46 e la guerra era da poco terminata; fame e bombardamenti erano ricordi ancora molto vivi in tutti.
In quel tempo noi abitavamo insieme ai miei nonni materni, Italia e Guido, in un appartamento dell’IACP di Roma in cui la famiglia di mia madre si era trasferita il 27 Febbraio 1927 dopo che il governo aveva requisito la loro casa di via dei Marruccini per costruire, in quell’area, la Città Universitaria. In quello stesso appartamento ci trasferimmo quando, a seguito delle vicende belliche, perdemmo la nostra casa distrutta completamente da un bombardamento alleato e ci trovammo senza un tetto sotto il quale abitare.
In effetti i bombardamenti su Roma, segno infame della barbarie degli alleati, furono sicuramente uno degli eventi più spaventosi della guerra in Italia.
Il dramma ebbe inizio il 19 luglio del ‘43 quando Mussolini e Hitler si incontrarono a Feltre per fare il punto sullo stato delle operazioni. Alcuni generali insistettero perché Mussolini sostenesse una onorevole proposta di sganciamento dal conflitto, ma Mussolini sembrava impacciato, titubante, indeciso; era perfino infastidito. A fatica riuscì a dominare la sua inquietudine e a nascondere la sua sofferenza quando Hitler gli rimproverò il comportamento di alcuni comandi italiani, per i rovesci militari in Africa e in Sicilia e alla mutata situazione politica interna. Mussolini taceva, era nervoso e impaziente di terminare quel colloquio dentro il quale come un automa venne condotto da Hitler a confermare il proseguimento della guerra al suo fianco.
Hitler gli promise ingenti forze per “presidiare” l’Italia settentrionale ritenuta il nocciolo duro per gli anglo-americani.
Far arrivare alcune divisioni dal Brennero a Verona era per Hitler un giochetto di un paio di ore. I tedeschi avevano già predisposto nelle valli Altoatesine l’appoggio della popolazione locale di lingua tedesca (Hofer aveva a disposizione 250.000 uomini), ed inoltre per fermarli a Verona non c’era nemmeno l’ombra di un comandante italiano. Tutti i presidi erano comandati da ufficiali tedeschi per assicurare la tempestività di come fu poi condotta a termine.
E gli fece balenare di avere in breve a disposizione le potenti “armi segrete” che si stanno preparando in Germania e che assicureranno la vittoria all’Asse. Invitò Mussolini ad usare il pugno di ferro per eliminare nel partito e nel paese gli oppositori (compresa la monarchia).
Nel mentre si svolgevano i colloqui, Mussolini avvilito non reagì neppure quando gli venne comunicato con i dispacci giunti dalla capitale, che in quelle ore Roma stava bruciando.
Gli americani, anticipando gli inglesi, e scegliendo un drammatico giorno storico, quello dell’incendio di Nerone, con 321 bombardieri bimotori (B-25 e B-26), e numerosi caccia, in due fasi, una al mattino e una al pomeriggio, effettuarono pesanti bombardamenti sulla capitale (682 tonnellate di bombe) colpendola senza riguardo, con tanti innocenti vittime civili, nei quartieri Prenestrino, Tiburtino (il più colpito con 717 morti) , Tuscolano, San Lorenzo; e danni al patrimonio artistico millenario devastanti. Nonostante la promessa che non avrebbero mai bombardato né Roma, né Firenze, né Venezia, e neppure Assisi.
Si volevano colpire, si disse, gli obiettivi militari e le ferrovie, ma 1 aereo su 10 sbagliò su un raggio di 300 metri, e 1 su 3 lo sbagliò su un raggio di 600. Inoltre le bombe erano quelle da 500, 1000, 2000 libbre ad alto potenziale, contenenti il micidiale esplosivo RDX e lo sganciamento avvenne a salva, cioè rilasciate tutte assieme (a tappeto – il cosiddetto “area bombing”) da una squadriglia. Quindi i cosiddetti mirati obiettivi erano fuor di proposito. In effetti quando una squadriglia di bombardieri fa il salva non può mirare proprio nulla.
Eisenhower era stato del resto esplicito con i suoi piloti che aveva scelto con cura (!) personalmente: “se per salvare un solo americano dovete buttar giù il Colosseo, buttatelo pure giù'”.
Per la prima volta Mussolini, e questo non era mai accaduto, si passò due volte il fazzoletto sulla fronte. Nessuno meglio di lui sapeva cosa voleva dire questo bombardamento in una Italia già alla deriva. Hitler, già abituato a vedere le sue città distrutte, apprese la notizia con indifferenza, ma Roma non era la Germania, significava molto di più e non solo in Italia, era una ferita nel mondo, che stava osservando con il fiato sospeso, chiedendosi, dopo Roma, che cosa sarebbe accaduto.
Questo Hitler non lo capiva, ma Mussolini sì. E sapeva pure che le bombe erano buttate a Roma, ma i botti per le conseguenze politiche si volevano far arrivare fino a Berlino. Questi botti avrebbero dovuto essere psicologicamente devastanti per i tedeschi, ma l’unico a non capire fu Hitler.
Mussolini era travagliato, tormentato, ma anche solo. Oltre che avere i soliti nemici, aveva nemici gli amici di un tempo. E quelli autorevoli che avrebbero potuto fare qualcosa, facevano solo chiacchiere ma non fatti. Anzi le chiacchiere le facevano con tutti, meno che con Mussolini.
Dopo pochi giorni, il 13 agosto, altro “bombardamento di successo”. Toccò questa volta al quartiere Tiburtino, Appio e Tuscolano.
La via Casilina si trasformò in una strada disseminata di crateri; le arcate dell’acquedotto Claudio che avevano resistito per quasi duemila anni, crollarono. Le notizie riportate dai giornali dell’epoca furono molto scarse, soprattutto dopo il 25 luglio e ancora più scarse dopo l’8 settembre; non si volevano dispiacere i “nuovi alleati” evidenziando i loro massacri.
L’incursione del 13 agosto fu ancora più catastrofica:
Le conseguenze furono terrificanti, 1500 morti, 6000 feriti, 10.000 case in macerie o lesionate, 40.000 romani si ritrovarono senza tetto. Quasi in tutta la città cessò l’erogazione della corrente elettrica, del gas e dell’acqua.
Il giorno dopo la stessa scena si ripeté a Napoli, dove 430 bombardieri fecero scempio della città, senza riguardi per cose e persone innocenti.
Più che i danni materiali e la morte dei civili, l’azione sul morale dei romani fu devastante. Ma è quello che si voleva: terrorizzarli.
Al cimitero del Verano, colpito, si scoperchiarono perfino le tombe; i vivi venivano sepolti dalle macerie delle loro case, mentre i morti venivano fuori con gli scheletri dalle loro tombe, come a volersi rendere conto di quanto accadeva…. …o forse per andare incontro ai nuovi arrivati messi dentro quattro assi di legno.
A nulla era servita l’allocuzione di Pio XII diretta e indiretta di risparmiare la Città Santa dai bombardamenti. Non fu risparmiata nemmeno la tomba dei suoi genitori…
Pur attanagliati da un forte pessimismo, nessuno, ma proprio nessuno avrebbe mai pensato che gli americani avrebbero colpito la Città Eterna, la Città della Cristianità.
Qualche giorno prima avevano sì avvisato con dei manifestini. “State lontani dagli obiettivi militari”, ma nessuno pensava che gli obiettivi erano i binari delle ferrovie che passavano sotto casa, come a San Lorenzo (la stessa basilica fu ridotta a un cumolo di macerie)
Oltre tutto dall’inizio della guerra fino a questo tragico giorno non un aereo aveva fatto danni. In tre anni di guerra a Roma si era registrata una sola vittima, per una scheggia di un proiettile difettoso della stessa contraerea.
Sconvolti dalla notizia furono le persone di tutto il mondo, “intelligenti”, di cultura e di qualsiasi credo politico; turbata fu la stessa pubblica opinione americana dove il legame cristiano aveva pur sempre delle radici profonde. Poi gli addetti dissero ai loro concittadini di pensare solo ai propri figli e ai propri mariti e non ai monumenti, e così tutti gli americani approvarono la missione devastante. “Colpita Roma!”, “Roma Brucia!” erano i titoli dei giornali. Tutti gli americani furono orgogliosi dei loro piloti e fecero una gran festa! Euforia negli ambienti militari; dissero che era stato un “bombardamento di successo”.
Chi aveva qualche ricordo degli studi classici, sapeva cosa voleva dire “Colpita Roma”! e “Roma Brucia!”. Non era la stessa cosa dire “Colpita Berlino”. Molti in America non sapevano nemmeno dove puntare il dito per indicare Berlino. Mentre Roma anche su un mappamondo grande come un arancio ognuno anche distrattamente la può individuare; è nel centro di quell’emisfero che una volta era tutto “il Mondo” conosciuto, non un Paese qualsiasi.
L’effetto di quella frase “Colpita Roma!” fu dunque ridondante. In Italia fu un “crollo” molto maggiore di quelle case colpite nella capitale. Ed era quello che volevano gli anglo-americani.
Del resto il 25 luglio 1941 lo scriveva a Churchill lo stesso Roosevelt:
” Noi dobbiamo sottoporre la Germania e l’Italia ad un incessante e sempre crescente bombardamento aereo. Queste misure possono da sole provocare un rivolgimento interno o un crollo”
E lo ripeté il 31 ottobre 1942
“…deve essere nostro irrinunciabile programma un sempre maggior carico di bombe da sganciare sopra la Germania e l’Italia”
E il 30 luglio 1943 insisté:
“Bombardare, bombardare …io non credo che ai tedeschi piaccia tale medicina e agli italiani ancor meno …la furia della popolazione italiana può ora volgersi contro intrusi tedeschi che hanno portato, come essi sentiranno, queste sofferenze sull’Italia e che sono venuti in suo aiuto così debolmente e malvolentieri..”

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