Un acceleratore di particelle a base italiana: è il Super B, un progetto dell’Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare) portato avanti in collaborazione con istituti appartenenti ad altre dieci nazioni. E ora sembra più vicino. Pochi giorni fa, infatti, il Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) ha annunciato di aver messo a disposizione 20 milioni di euro per la realizzazione della macchina e di un laboratorio internazionale di ricerca.
Il nuovo acceleratore non avrà le dimensioni gigantesche del famoso LHC e lavorerà ad energie molto più basse. L’obiettivo del progetto è far scontrare fasci di particelle estremamente compatti, piccoli e corti, estremamente densi. Secondo l’Infn, il SuperB (il nome deriva dai mesoni B, alcune delle particelle che l’acceleratore dovrebbe produrre) permetterà di aumentare di 100 volte, rispetto al limite attuale, il numero di reazioni prodotte in un dato tempo in laboratorio; inoltre, offrirà l’opportunità di studiare processi rari di decadimento di particelle che potrebbero evidenziare effetti non previsti dalle teorie oggi più accreditate.
SuperB nasce dalle idee sviluppate e sperimentate in Italia nei Laboratori nazionali Infn di Frascati, con l’acceleratore Dafne. Gli esperimenti e le simulazioni svolti finora suggeriscono che la macchina potrà produrre coppie di particelle (1.000 di mesoni B, altrettante di leptoni τ e diverse migliaia di mesoni D) per ogni secondo di operazione a pieno regime.
In totale, per costruire l’acceleratore a partire da una macchina dimessa dal 2008, il PEP II di Stanford in California (Usa), serviranno 400 milioni di euro: una cifra ben più importante rispetto ai 20 milioni messi a disposizione finora dal governo italiano. Tuttavia Roberto Petronzio, presidente dell’Infn, sembra convinto del fatto che il Miur sia pronto ad investire altri 250 milioni di euro nei prossimi cinque anni.
l’Infn spera che il Ministero approvi un piano di costruzione che preveda l’inizio dei lavori già il prossimo anno e l’entrata in funzione dell’acceleratore intorno al 2016. Si aspetta, però, anche che Stati Uniti mettano ufficialmente a disposizione quel che resta del PEP II: materiali dal valore di 100 milioni di dollari; David MacFarlane, direttore del dipartimento di fisica delle particelle e astrofisica degli Slac National Accelerate Laboratory (e dell’acceleratore in disuso), sarebbe pronto a cedere a patto di una futura collaborazione.
Le possibili ricadute pratiche? I campi sono moltissimi. C’è già chi immagina radiografie superveloci, litografie avanzate (per esempio per creare minuscoli despenser da applicare sotto pelle per la somministrazione dei medicinali) e studi di dettaglio del comportamento delle singole molecole nei processi chimici.